IL GRANDE BARONE LIDDAS

IL GRANDE BARONE LIDDASMilanNews.it
© foto di Giacomo Morini
sabato 21 novembre 2009, 00:00Terza pagina MilanDay
di Milan Day
MilanNews collabora con LA TERZA PAGINA, "storica" rubrica del blog MilanDay.it.

Qualche giorno fa (precisamente il 5 Novembre) ricorreva il secondo anniversario della scomparsa del grande Nils Liedholm, e questa è l’occasione, quindi, per dedicargli questa puntata di Terza Pagina. Quando parliamo di Liedholm, parliamo di un vero “pezzo di Milan”, di un monumento che ha rappresentato qualcosa di indelebile e di incancellabile per la storia della nostra società. Il fatto di aver vinto cinque dei diciassette scudetti del Milan (quattro da giocatore ed uno da allenatore) è solo uno dei suoi primati. Il Barone fu, innanzitutto, il perno del Gre-No-Li, il famoso trio svedese che trascinò il Milan tra la fine degli anni Quaranta ed i primi anni Cinquanta, e di cui Nils rappresentò il punto di equilibrio. E’ stato il primo della meravigliosa stirpe di Capitani che hanno fatto la storia del Milan dal dopoguerra in poi: Nils Liedholm, Cesare Maldini, Gianni Rivera, Franco Baresi e Paolo Maldini. Il primo di cinque autentici monumenti, due dei quali (Baresi e Maldini junior) sono stati scoperti e lanciati in serie A proprio da Liddas. Fu l’allenatore che riuscì a regalare al Milan lo scudetto più desiderato e prestigioso, quello della Stella, riuscendo a mantenere la promessa fatta al suo collaboratore tecnico, Nereo Rocco, che più di ogni altro ci teneva a quel trionfo e che non arrivò a godersi quel momento in quanto il destino se l’era portato via qualche mese prima. Nel maggio del 1979 alzando lo sguardo al cielo dirà “Caro Paròn, te l’avevo detto che ci avremmo pensato noi…”. E’ stato, e resterà per sempre, il primo allenatore del presidente più vincente della storia del Milan, Silvio Berlusconi. Col nuovo patron rossonero non fu molto fortunato a livello di risultati, ma è innegabile che il Milan berlusconiano gli abbia voluto bene e non abbia mai perso occasione di riconoscergli quanto dovuto. Le cose fin qui dette basterebbero per capire la grandezza del personaggio, ma Nils Liedholm è stato molto di più ancora. Una cosa su tutte va sottolineata: Liedholm è stato uno dei pochi personaggi della storia del calcio a non subire, in quasi sessant’anni di carriera, un solo coro contro o un insulto: amato dai tifosi milanisti, rispettato da tifosi, giocatori e tecnici delle squadre avversarie. Da calciatore era elegante e corretto al tempo stesso, nonostante fosse, anche, un instancabile corridore (tra i suoi soprannomi, Brera l’aveva ribattezzato “Zatopek”): pensate che nelle 359 presenze ufficiali in serie A con la maglia del Milan non è stato mai ammonito. Da allenatore ebbe sempre uno stile ed un aplomb tipicamente scandinavo, un garbo innato, un’umanità, una lealtà, un’eleganza che non lo abbandonò mai, anche nelle circostanze più impensabili. Mai una polemica, mai una frase fuori posto, neanche quella domenica del 1981 in cui l’arbitro Paolo Bergamo annullò per fuorigioco la rete regolarissima segnata al Comunale di Torino dal difensore Maurizio Turone, negano alla sua Roma il secondo scudetto. Per quell’episodio ancora oggi tra romanisti e juventini non corre buon sangue, ma sapete cosa dichiarò il Barone nel dopo partita? “Abbiamo buttato alle ortiche un’occasione unica. Si doveva e si poteva vincere. Si deve considerare che la Roma, come società, è giovane di tradizioni. Se questo è stato un peso e se –tecnico e giocatori- siamo stati ingenui, può darsi. Bisogna tuttavia riflettere che siamo stati battuti dalla Juventus, un club nobile con giocatori d’esperienza, quasi una Nazionale. Abbiamo fatto il nostro dovere fino in fondo, ma dobbiamo guardare al futuro. In un paio d’anni diventeremo perfetti”. Capito? Roba da far impallidire gli addetti ai lavori di oggi, capaci solo di cercare alibi e di gridare ai complotti ed allo scandalo. I giornalisti lo rispettavano e lo stavano ad ascoltare con attenzione e curiosità, dal momento che, tra una disamina ed un’altra, era capace di raccontare aneddoti che lo riguardavano (spesso al limite del mitologico) e di regalare delle autentiche “chicche” che incantavano gli interlocutori. A chi gli chiedeva quale fosse stata la sua miglior partita, rispondeva “Quella in cui marcavo Alfredo Di Stefano”, ed a chi gli faceva notare che in quella partita “l’argentino aveva segnato tre gol” lui rispose “sì, ma ha toccato solo tre palloni”! Ed ancora quando disse “abbiamo preso quel jocatore perché sa fare tutto: jocare a destra, a sinistra, al centro, stare in panchina o in tribuna”. Ed a lui si deve la frase passata alla storia “Si joca meglio in dieci che in undici” con cui rispose ad un giornalista che gli faceva notare che la sua squadra aveva strappato un risultato positivo nonostante l’inferiorità numerica. Col suo modo di fare era in grado di far sorridere anche i suoi calciatori per spiegargli delle scelte tecniche dolorose. Nel gennaio del 1985 il Milan è di scena a Roma per giocare contro la Lazio. Le due squadre hanno già consegnato le distinte ufficiali all’arbitro, ma a causa di una nevicata senza precedenti, le due squadre vengono informate che la partita è rinviata al giorno dopo. Tutta la squadra è convinta che la formazione sarà la stessa, ma Liedholm ne conferma dieci undicesimi, sostituendo Incocciati con Virdis. Quando Incocciati chiede spiegazioni, “Mister, perché ieri ero in formazione ed oggi no?”, la risposta di Liddas fu “Ecco appunto, tu già jocato ieri, oggi joca Pietro che è più riposato…”. Per la cronaca, la partita (a cui assistetti personalmente) finì 1-0 per noi con gol di Virdis. Liedholm non “abbandonava” mai i suoi giocatori, e per proteggerli agli esordi o per smorzare le possibili critiche usava sempre paragonarli a grandi del passato: “Mandressi è il Rensenbrink giovane”, “Antonelli è il nuovo Cruijff”, “Baldieri mi ricorda Paolo Rossi”.
Al di là del suo modo di fare Liedholm fu uno splendido giocatore ed un grandissimo allenatore.
In Italia giunse nel 1949 quando aveva ormai 27 anni, e quando era già un calciatore affermato. L’anno prima, infatti, aveva già condotto la sua nazionale alla conquista della medaglia d’oro alle Olimpiadi. Era molto considerato in patria, al punto che il suo CT disse che “una squadra di 11 Liedholm sarebbe imbattibile”. Al Milan giocò per 12 stagioni consecutive, diventando il Capitano che trascinò il Milan alla conquista di quattro scudetti, due Coppe Latine ed una finale di Coppa dei Campioni (persa ai supplementari contro il Real Madrid nel 1958). Centrocampista di classe purissima, era dotato di una grandissima precisione nei passaggi, tanto che divenne celebre l’aneddoto secondo cui “Una volta San Siro mi tributò un applauso lungo cinque minuti: avevo sbagliato un passaggio dopo anni. La mia prima stecca alla Scala del calcio”. Tra i suoi ricordi più belli, da ricordare che disputò, da capitano, la Finalissima della Coppa del Mondo con la maglia della Svezia contro il Brasile, segnando tra l’altro il gol del provvisorio 1-0 (vincerà il Brasile 5-2). Giocò al Milan (e solo nel Milan) fino all’età di 39 anni (nel 1961), arretrando il suo ruolo con l’avanzare dell’età e finendo la carriera come libero. Nils è il quarto giocatore più anziano a scendere in campo con la maglia del Milan (l’ultima gara la disputò all’età di 38 anni, 7 mesi e 13 giorni): lo precedono solo Paolo Maldini, Albertosi e Costacurta. In totale furono 394 presenze e 89 gol. E pensare che al momento della partenza per l’Italia, sembra avesse detto a suo padre “Tranquillo papà: un anno, massimo due, e poi torno”. Invece in Svezia non ci tornerà più!
Una volta smesso di giocare, intraprese una altrettanto splendida carriera di allenatore, ed è proprio in questa veste (per ovvi motivi anagrafici) che abbiamo avuto modo di godere di questo splendido personaggio. Fu un vero mago, sia ad alti livelli che in serie B (portò in serie A il Verona ed il Varese, e salvò incredibilmente il Monza in quella che definì “…la più grande impresa della sua vita!”). La carriera ad alti livelli cominciò poco dopo che aveva smesso di giocare e lo fece proprio alla guida del suo Milan, squadra che allenerà in tre riprese (dal ‘63 al ’66, dal ’77 al ’79, dal ’84 al ’87) e con cui riuscì a conquistare uno scudetto. Altrettanto belle le avventure da tecnico con la Roma (dal ’73 al ’77, dal ’79 al’84, dal ’87 al ’89 ed infine nel ’97), squadra con cui conquistò uno scudetto (1982/83) ed una finale di Coppa Campioni persa ai rigori col Liverpool. Nelle sue squadre portò sempre qualcosa di nuovo e di rivoluzionario: col Milan riuscirà a vincere un campionato giocando senza punte, sfruttando il tourbillon sulla tre quarti di giocatori di qualità che si inserivano in zona gol grazie al movimento instancabile di Chiodi; con la Roma sperimentò con successo il sistema di gioco che lo rese famoso, la “zona lenta a ragnatela” sul modello di quella zona difensiva tipicamente sudamericana. Ci si difendeva tenendo la posizione e non più l’uomo fisso, la chiusura degli spazi ed una ragnatela di passaggi (“se tieni il pallone per 90 minuti, sei sicuro che l’avversario non segnerà mai un gol”). In quegli anni scatenò un dibattito inedito sulla contrapposizione tra la “zona del Barone” ed il gioco (tipicamente italiano) “a uomo del Trap”. Eppure lui continuava a ripetere che non aveva inventato nulla di nuovo, “perché nel calcio, inventare cose nuove, significa riesumare mode tattiche antiche…Questi giovani allenatori sono bravi perché lentamente, giorno per giorno, si stanno avvicinando al tipo di preparazione che io svolgevo negli anni Quaranta”. Ebbe il coraggio di lanciare in serie A dei giovani promettentissimi che sarebbero diventati dei campioni (Antognoni, Baresi, Maldini, Giannini e Peruzzi su tutti), così come fu molto abile a far rendere al massimo dei giocatori che erano già avanti con gli anni e che sembravano sul viale del tramonto. Oltre alle competenze, fu un personaggio straordinario ed unico che riuscì, col suo garbo ed il suo fine senso dell’umorismo, a gestire abilmente tutti i gruppi di calciatori che ha allenato e che ne conservano un grande ricordo.
Questo era Liedholm, l’uomo del calcio che vanta il maggior numero di tentativi di imitazioni, senza che nessuna sia mai riuscito ad avvicinarsi.
A pensarci bene c’è qualcuno che nei modi e nello stile lo ricorda abbastanza, e cioè Carletto Ancelotti, guarda caso uno degli allievi prediletti del grande Barone Liddas!



di Gianpiero Sabato
 

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