ESCLUSIVA MN - Gandini: "Il Milan del futuro nasce nel 1899"

ESCLUSIVA MN - Gandini: "Il Milan del futuro nasce nel 1899"MilanNews.it
© foto di Pietro Mazzara
venerdì 8 ottobre 2010, 18:00Esclusive MN
di Claudio Sottile
Umberto Gandini, dirigente classe '60, è il Direttore Organizzativo del Milan. In rossonero dal 1993, laureato in Giurisprudenza, per lui un passato in Fininvest nel settore dei diritti televisivi, e nell'hockey su ghiaccio come atleta e dirigente.

Umberto Gandini non lavora alla Farnesina. Nel mondo del calcio, però, è definito il ministro degli esteri rossonero. Poliglotta, con vocazione europeista e arte della mediazione, in una 24ore sempre pronta. Nell’ESCLUSIVA di MILANNEWS ecco il Milan del futuro, nelle parole di un dirigente che l’anno prossimo diventa maggiorenne. Diciott’anni, e c’è ancora tanto mondo da vedere: dal 1899.

Umberto, cosa si prova nell’essere definito “ministro degli esteri” milanista?
“Sicuramente è una cosa molto piacevole, pur essendo un titolo importante è un po’ riduttivo. Non mi occupo solo di relazioni internazionali con le organizzazioni ma ho anche un quotidiano lavoro col il sig. Galliani, nella gestione di quello che il Milan fa tutti i giorni”.

Cosa significa essere un Direttore Organizzativo?
“Sono entrato nel Milan nel 1993, allora c’era la carica di Direttore Organizzativo che era una funzione prettamente legata alla prima squadra: trasferte, partite ufficiali e amichevoli, San Siro, Milanello. Nel corso degli anni è cambiato molto il mondo di riferimento, e anche l’interpretazione del ruolo ovviamente cambia a seconda della persona deputata. Nel mio caso sono arrivato con un’esperienza di diritti televisivi, in un momento in cui la televisione per il calcio è diventata molto importante. Questo tipo di preparazione mi ha portato con il sig. Galliani a seguire ed ampliare l’aspetto dei ricavi del Milan ed entrare in quel sistema di gestione della società, avendo relazioni internazionali e nazionali con Lega, Federazione e Coni. Piano piano ho assistito tutte le attività della società, perché anche se non ho una responsabilità diretta su ricavi come stadio o attività commerciali, lavorando d’intesa con l’Amministratore Delegato ho possibilità di spaziare su tutto quello che viene fatto al Milan, compresa fondazione Milan di cui sono consigliere”.

Dal settembre scorso sei nei quadri dell’ECA, state nuovamente pensando all’idea di una Superlega come ai tempi del G14?
“L’ECA è associazione europea dei club di calcio, è riconosciuta da UEFA e FIFA, è formata da squadre rappresentanti di quasi tutte le federazioni europee, che sono cinquantatre. I membri sono selezionati in base a criteri sportivi e meritocratici. Non è aperta a tutti, bensì è riservata a chi abitualmente gioca le coppe europee o ha nel proprio passato un DNA europeo. Oltretutto, per le società qualificate in Champions ed Europa League, c’è la possibilità di essere club associati per due anni. Abbiamo circa 200 club o membri o associati dell’ECA, il presidente è Karl Heinz Rumenigge del Bayern, io sono stato nominato primo vicepresidente, il secondo è Sandro Rosell del Barcellona, il terzo McClelland dei Glasgow Rangers. Rappresentiamo gli interessi dei club europei a tutti i livelli, principalmente con le istituzionali continentali come l’UEFA, con la FIFA per quanto riguarda la politica calcistica, e con le altre componenti che sono l’associazione dei giocatori a livello europeo, o l’associazione delle leghe, le autorità politiche, la Comunità Europea con la Commissione Europea. Per la Superlega, essendo un’associazione di categoria non abbiamo alcun progetto, non siamo un’organizzazione perché non organizziamo gare. Abbiamo la nostra attività nazionale ed internazionale, sotto l’egida della FIFA, e lavoriamo affinché tutte le nostre competizioni diventino sempre più interessanti, attraenti e appetibili per il pubblico, e quindi generino sempre più ricavi, per continuare a gestire questo tipo di spettacolo. È fallita in passato perché uscire da un sistema è sempre molto difficile, noi preferiamo essere attori di primo livello piuttosto che rompere con la struttura che esiste e andare a cercare avventure di altro tipo, da un punto di vista semplicemente commerciale e non sportivo. Il Milan è una società di calcio, che gioca all’interno di campionati organizzati, fa un’attività sportiva che è diventata nel corso degli anni business, ma rimane sempre contraddistinta dagli aspetti sportivi. La questione Superlega continuerà ad esistere, e se ne parlerà ma perché sono cose che interessano a media e addetti ai lavori, ci sarà sempre qualche esterno all’organizzazione che vuole creare cose di questo tipo, ma non è in cima ai nostri pensieri, assolutamente”.

Sei quotidianamente a contatto con UEFA e FIFA, in che stato di salute le giudichi?
“Io credo che godano di ottima salute, perché sono due enti molto forti, gestiti bene, e che quindi hanno sicuramente un futuro ben assicurato.Questo non vuol dire che non ci siano problemi, non tanto nella loro gestione, quanto nella loro politica. È più un discorso che come ECA facciamo a livello politico riguardo alla nostra attività primaria, che è quella delle competizioni. Noi sappiamo che siamo interessati a discutere con loro su come sono gestiti i calendari, le squadre nazionali nei confronti dei club, la gestione dei ricavi, da questo punto di vista sono, come tutti gli organismi, criticabili”.

Negli scorsi anni avete vinto la battaglia affinché le federazioni nazionali corrispondessero un indennizzo ai club, per ogni giocatore impiegato nelle fasi finali di un torneo ufficiale. Ora vi state battendo per un’assicurazione che copra in caso di infortuni gravi in qualsiasi appuntamento delle squadre nazionali, amichevoli comprese, a che punto siete?
“Da un punto di vista di indennizzo propriamente detto, esiste un accordo per il quale i giocatori, che partecipano alle fasi finali di campionati continentali o mondiali, generano una compartecipazione agli utili da parte dei club che li hanno sotto contratto. È un risultato ottenuto qualche anno fa, e che ha avuto una pratica applicazione sia nel 2008 sia nel 2010, e andrà avanti almeno fino al 2014, sia con FIFA sia con UEFA. Il discorso delle assicurazioni, invece, è relativo al fatto che i giocatori sotto contratto con squadre di club vengono portati a fare l'attività per una federazione nazionale, e rischiano nel giocare di subire infortuni. Questi infortuni comportano l’impossibilità per la squadra che l’ha sotto contratto di utilizzarlo in partite, continuando a pagarne il salario. È una disarmonia che vorremmo cambiare, stiamo discutendo soprattutto a livello europeo ma anche con la FIFA, sperando che una soluzione europea porti ad una soluzione mondiale. Vorremmo che non soltanto per le partite dei gironi finali, ma anche per le partite di qualificazione e amichevoli, qualora un giocatore subisca un infortunio di una certa importanza ed entità, che comportasse un’inabilità agonistica di un certo periodo, il suo salario venga coperto da un’assicurazione centralizzata”.

Il calcio italiano, a tutti i livelli, è in crisi?
“Domanda difficile e risposta molto complicata. Bisogna capire cos’è crisi. Se è di risultati, per via della nazionale ai mondiali, è sicuramente un aspetto ciclico. In tutti gli sport di squadra ci sono cicli fortunati e meno fortunati, abbondanza e scarsità di talento, come quello che stiamo sperimentando adesso. Non vedo una generazione di calciatori italiani talentuosi, tali da aspirare a vittorie, bisogna concentrarsi su lavoro, dedizione, allenamento, e ingegno.A livello di club abbiamo l’Inter campione d’Europa in carica che va a dicembre a giocare il mondiale per club, difficile dire che il calcio italiano sia in crisi. La Lega ha un campionato interessante, ha venduto ad altissimo livello di ricavo il biennio di diritti televisivi, difficile chiamarla crisi. Ci sono tanti aspetti che dovrebbero essere migliorati, il discorso stadi è il primo, inteso non come fonte di ricavo, ma come palcoscenico dove giocare il miglior calcio possibile. Noi abbiamo le altre leghe europee che sono tutte più avanti di noi perché hanno impianti dove è bello andare, giocare, dove ci sono tanti servizi, la gente si comporta bene, dove c’è tutto per vivere una bella esperienza di calcio. In Italia salvo sporadiche eccezioni, non abbiamo questo tipo di scenari, e questo è da tanti anni e temo che continui, il punto di crisi del calcio italiano”.



Verso quale direzione i club italiani dovrebbero orientarsi per incrementare i ricavi? Ad esempio il filone dei diritti televisivi è ormai in esaurimento?
“Il problema principale del calcio italiano è che la torta dei ricavi non è equilibrata, perché è clamorosamente sbilanciata verso i ricavi televisivi, che rappresentano il 65-70%, a volte l’80% dei ricavi di una squadra. 'è un mercato commerciale molto nazionale e poco internazionale, salvo rare eccezioni, e rappresenta numeri non particolarmente significativi, oltre ad un ricavo da stadio pressoché inesistente. I nostri concorrenti hanno ricavi molto più proporzionati, sia commerciali sia televisivi sia di stadio, addirittura cinque o sei volte più grandi di noi, ed è questa intuitivamente la strada verso cui dovremo dirigerci. Dobbiamo far salire i ricavi da stadio, che non sono solo i biglietti, anche se abbiamo anche un problema di affluenza, ma tutta una serie di servizi acquistabili allo stadio”.

Andando allo stadio in Italia, si vedono pochi tifosi con la maglia ufficiale della propria squadra del cuore, come mai non attecchisce in casa nostra il fenomeno merchandising?
“Il merchandising è molto vasto, ad esempio c’è un discorso culturale rispetto alle magliette. Nel corso degli anni è molto cambiato, prima era trendy indossare la maglia dei Los Angeles Lakers, adesso vedi gente con la maglia del Milan, l’ho visto all’estero, è interessante vedere anche negli USA, durante una partita del loro campionato di calcio, gente del pubblico che indossa la nostra maglia, o quella di Chelsea e Manchester Utd. E poi è una questione di regole, in Italia non sono tali da proteggere fortemente i marchi, sia quelli dello sponsor tecnico sia quelli della società, e quindi assistiamo a fenomeni di contraffazione, per la volontà di essere più furbo, volendo fortemente qualcosa della società anche se non originale. Peraltro si deve considerare un aspetto legato ai costi, il prodotto originale avendo determinate caratteristiche costa tanto, il prodotto non originale non avendo caratteristiche di qualità costa molto meno”.

Il Milan vuole costruire uno stadio di proprietà?
“Non è una priorità, siamo molto contenti di giocare a San Siro, che è uno dei migliori stadi al mondo, ed è anche un impianto glorioso. Sicuramente necessita di lavori di ammodernamento e miglioramento, che assieme all’Inter e al Comune di Milano cercheremo di fare, e poi è legato anche al dato storico. San Siro è stato costruito da un presidente del Milan, lo sentiamo come casa nostra, e riteniamo che sia la strada giusta operare su San Siro piuttosto che fare investimenti di altro tipo”.

Nell’affare Ibrahimovic sei stato in prima linea durante il blitz catalano, qual è l’operazione di mercato che più l'ha esaltato?
“Sicuramente l’operazione Beckham, per tanti motivi. È stata figlia delle mie relazioni con Beckham, con la proprietà stessa, e con la Major League americana. Il fatto di portarlo da una pura indiscrezione di stampa a un evento durato per due stagioni, è stata la soddisfazione più grande”.

Quale, invece, quella che ti ha più deluso?
“Non mi occupo di mercato in primis, ci sono state operazioni concluse poi saltate, ricordo Cissokho saltato per un problema medico. Dimostra che la società era sul giocatore giusto al momento giusto, ma che per una serie di dettagli non ha portato a compimento, un vero peccato”.

L’obiettivo sportivo per la stagione in corso?
“L’obiettivo è essere competitivo fino alla fine su tutti i fronti, lo scopo per cui il Milan è costruito anno per anno è la ricerca del vertice. Le previsioni non portano vantaggio a nessuno, noi crediamo di avere una squadra capace di competere sia a livello nazionale sia internazionale fino alla fine, cercheremo di farlo il più a lungo possibile”.

Che forma assumerà fuori dal campo il Milan del futuro?
“Il Milan fuori dal campo è un esempio per tutti, e deve continuare ad esserlo. Essere un club da seguire perché innova seppur nella tradizione di un club nato nel 1899, ha un grande futuro davanti. Deve continuare ad avere un ruolo di guida e leader, grazie alle performance sul campo e di tutti quelli che hanno operato fuori dal campo, soprattutto durante la presidenza del dott. Berlusconi, che l’ha portato ad essere il club più titolato al mondo, e uno dei club più stimati e invidiati del panorama internazionale”.

Per te cos’è il Milan?
“Il Milan è la mia seconda famiglia, la mia professione, la mia squadra del cuore da quando ero un ragazzo. È diventato un lavoro dopo che era una passione, quando cominci ad essere tifoso di una squadra a sei anni, non vivendo nella città della squadra per cui tifi, la passione è vissuta come la maggior parte dei tifosi milanisti, non avendo la possibilità di frequentare San Siro. Mi sono trovato sempre benissimo al Milan, ho un rapporto pluriennale professionale con il sig. Galliani e il gruppo proprietario del Milan, avendo iniziato a lavorare in televisione nel 1988, è una seconda famiglia, anche perché passo la maggior parte del mio tempo con i colori rossoneri”.