Lo scudetto del 2006, una barzelletta di cui solo Moratti va orgoglioso

Lo scudetto del 2006, una barzelletta di cui solo Moratti va orgoglioso
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venerdì 1 luglio 2011, 00:00Editoriale
di Luca Serafini
Giornalista sportivo a Mediaset, è stato caporedattore di Tele+ (oggi Sky). Opinionista per Telenova e Milan Channel. I suoi libri: "Soianito", "La vita è una" con Martina Colombari, "Sembra facile" con Ugo Conti.

Le ricerche in questi anni sono state (in)fruttuose. Il collega e amico Franco Rossi lo ha detto 5 anni fa, da allora si sono impegnati in tanti per smentirlo, ma non ci sono riusciti: lo scudetto del 2006 è l’unico caso di titolo assegnato a tavolino nella storia mondiale degli sport professionistici a squadre. Proprio in Italia esiste un caso molto significativo: il titolo del 1927 revocato al Torino per illecito, rimasto vacante e mai assegnato. Nel nostro Paese c’è un altro caso che fa giurisprudenza al contrario: il titolo dei Vigili del Fuoco di La Spezia, vinto regolarmente negli anni della Seconda Guerra Mondiale, ma mai riconosciuto dalla Federazione e dalla Lega, senza una credibile motivazione.
Ora, forse la Juve non era esattamente la società più qualificata per chiedere alla nostra Federazione, immobile esattamente come un Abete, la revoca di quello scudetto regalato all’Inter nel 2006, ma certamente aveva tutto il diritto di pretendere una risposta. Che la nostra imabarazzatissima Federazione, attiva solo grazie all’entusiastico volontariato di Demetrio Alberini, dopo 12 mesi non ha ancora dato, infatti. L’Inter partecipava ai banchetti di Juve, Milan, Fiorentina e Lazio, intendendo i banchetti come le tavole milionarie del calcio italiano, spartendosi come le altre i diritti televisivi anche a costo di tradire due consorelle come Roma e Fiorentina che – all’opposizione sul tema – furono abbandonate in extremis dall’alleato più importante, l’ineffabile Massimo Moratti che va tronfio di quello scudetto ricevuto per corrispondenza sulla spiaggia di Forte dei Marmi. Al mare. Luogo dove la sua squadra vinceva da lustri triangolari estivi e trofei Tim quasi fatti in casa. Quello scudetto pesa sull’immagine e la credibilità del nostro calcio né più né meno come Calciopoli, essendone stato il triste ultimo atto.
Ma a quei banchetti c’erano, con Carraio, Bergamo, Pairetto, Mazzini, Moggi eccetera, anche Abete il quale, non sentendo non vedendo non parlando proprio come Moratti e nessuno dei due si accorgeva – o forse fingevano di non accorgersi – di quanto fosse inquinato quel mondo. Aspettarsi ora che uno sottragga all’altro lo scudettino di cartone passato di mano in mano in un comitato dei saggi pirandelliano, è una perdita di tempo. E di quello scenario, lo scudetto elemosinato a tavolino non fu certo l’atto più aberrante, sebbene appunto quello finale.

Mai vista tanta isteria nel mercato. Basta vedere e sentire con quale enfasi televisioni e giornali annunciano colpetti come il rinnovo di Crespo al Parma o Rosati al Napoli o Mantovani al Palermo. Dei “no” di Criscito, Inler, Sanchez non c’è grande risonanza. Eppure è quello, uno dei problemi: il nostro calcio esporta, non importa. Il sistema fiscale, la mancanza di stadi di proprietà e quindi l’obbligo di pagare affitti esorbitanti per campacci sterrati, l’assoluta assenza di controlli sul marketing dei prodotti originali, i pericoli e i costi che si affrontano e si sostengono per andare allo stadio, la buffonata della tessera del tifoso quando poi a Pegli, Trigoria, Bari i “tifosi” accerchiano, minacciano e lanciano bombe, sono handicap che il nostro Paese non riesce a colmare.
I tifosi del Milan, frenetici e impazienti come raramente ci è capitato di captare, devono aggrapparsi a una certezza: se davvero la loro squadra, dopo essere tornata a dominare in Italia, vuol tornare ad essere protagonista in Europa, dovrà fare i conti per forza con la cessione di Pirlo. Ed è evidente che qualcuno di importante arriverà al suo posto. Ma noi da questa settimana abbiamo deciso di non inseguire più Mister X (abbiamo detto e scritto a maggio che è Fabregas) né Mister Y né Mister Z: si rischia di essere smentiti ogni minuto, non tanto e non solo dagli eventi al dettaglio di un mercato difficilissimo, ma dai nostri stessi colleghi, magari sullo stesso sito, magari poche ore dopo aver detto e scritto l’esatto contrario di un altro o di un’altra. A questi altri lasciamo il compito di fare i segugi e indagare minuto per minuto sulle tracce di Mister X. Noi preferiamo continuare a fare semplicemente i giornalisti.