Milanello calda: Ibra ha tradito tutti. Adesso anche Boateng diventa un caso

Milanello calda: Ibra ha tradito tutti. Adesso anche Boateng diventa un casoMilanNews.it
© foto di Pietro Mazzara
venerdì 7 ottobre 2011, 00:00Editoriale
di Luca Serafini
Giornalista sportivo a Mediaset, è stato caporedattore di Tele+ (oggi Sky). Opinionista per Telenova e Milan Channel. I suoi libri: "Soianito", "La vita è una" con Martina Colombari, "Sembra facile" con Ugo Conti.

Vanno rispettati i disagi altrui, sempre. Diceva papà: “Chi vive con 1000 euro al mese, ha problemi per 1000 euro. Chi vive con 1 milione al mese, ha problemi per un milione. Ma pur sempre di problemi si tratta”. Giusto. Si rischia facilmente di cadere nel qualunquismo commentando le esternazioni che Zlatan Ibrahinmovic ha serenamente snocciolato in settimana. Logico che, d’acchito, vengano in mente milioni di operai, muratori, impiegati, minatori, contadini che a 30 anni guadagnando a malapena la pagnotta, sono già molto stanchi, con poche motivazioni se non la speranza – un giorno – di realizzarsi, magari anche solo con un gratta e vinci. Logico che, d’acchito, si pensi fosse difficile non attendersi brutte sorprese da uno che ha cambiato maglia come noi la camicia ogni giorno: questo fa parte del professionismo, dove sentimenti e bandiere sono chimere dei tifosi e di qualche romantico. Non serve nemmeno scavare nella dietrologia: se Ibrahimovic avesse voluto alludere all’intenzione di non andare più in Nazionale, o alla delusione per un mercato che non gli ha costruito intorno una squadra con Hamsik, Fabregas, De Rossi, Ganso e qualcun altro, avrebbe parlato di questo e non dei figli che giocano a pallone con la baby-sitter (che, per inciso, operai, muratori, impiegati, minatori e contadini non hanno). I figli sono una cosa seria, non c’entrano con il calciomercato o con una Nazionale per quanto modesta. Serve, piuttosto, immaginare la reazione di una società, il Milan, che lo paga milioni e milioni l’anno. Serve, piuttosto, pensare allo sconcerto del suo allenatore che lo considera(va) un leader e gli permette(va) tutto. O a quello dei suoi compagni di squadra che non disdegna mai di mandare a quel paese platealmente in campo o alzando la voce negli spogliatoi, come è accaduto domenica sera al termine della sconcertante partita contro la Juventus. O alla stizza dei tifosi che pagano per andare a vedere le sue prodezze in campionato o per aspettare che finalmente diventi decisivo anche sul palcoscenico internazionale. Insomma, per reagire alla confessione (perlomeno è un segno di lealtà) di stanchezza di uno che va in suv ogni giorno a giocare a pallone nel più grande centro sportivo d’Europa, sarebbe sufficiente pensare a quanta gente si sia sentita tradita da quelle poche frasi. E si potrebbero trarre le conclusioni, ciascuno per il suo. Ma alla fine, però, dopo che Ibra lascia le rettifiche, gli aggiustamenti, le spiegazioni, le interpretazioni al suo manager, al suo biografo, a chi lo conosce bene, un ultimo dubbio deve assalirci per forza, per serenità di giudizio: e se ci avesse presi tutti in giro? E se avesse tradito anche, o soltanto, chi come noi si indigna e suona il trombone del moralismo? Chi ha il diritto di negare o di criticare il disagio di un altro?

Così nel breve volgere di qualche settimana, dopo aver preso atto della crescita assente di Pato, aver esaminato i misteri Taiwo ed Emanuelson, setacciato gli errori crescenti di Allegri a Torino e in generale nella gestione di alcuni giocatori, ci troviamo ad aggiungere Kevin Prince Boateng tra i casi che tengono banco a Milanello. Il ragazzo vola alto. E’ un eccesso costante. L’atteggiamento nei confronti dei compagni a Torino è stato a dir poco sorprendente per arroganza, come ben si evinceva dalla faccia di Seedorf quando la mezzala dal nome e cognome di un rapper lo ha mandato sulla forca per una palla troppo lunga. Il successo, di squadra e personale, del 2010-2011 sembra avergli un po’ dato alla capoccia. La sua maglia è la più venduta dal marketing rossonero, assai più di quelle di Ibra, Pato, Robinho, Thiago. Le ragazze muoiono per lui, i tifosi sono gasati dalla sua esuberanza. Il problema è che ora il moonwalk sembra farlo staccato qualche centimetro dalla terra. Il problema è che l’umile e modesto anarchico centrocampista trasformato in modo geniale in dirompente trequartista, sembra colpito dalla sindrome di Hollywood. Quando diciamo che, prima di sbarazzarsi di Costacurta Maldini Pirlo Seedorf Ambrosini Inzaghi e lo stesso Gattuso se non sbrocca, bisogna pensare quanto siano umanamente importanti nello spogliatoio, quale tipo di esempio costituiscano per quelli che arrivano, intendiamo dire che non è facile sostituirne la grandezza e lo spessore, che sono loro a rappresentare nel tempo lo stile-Milan e a garantirne la continuità. Non gli indolenti, i lavoratori stanchi o le pop-star.

In questo scenario francamente un po’ deprimente, ci sono ancora ottime ragioni per restare ottimisti. Il Milan ha la squadra più forte del campionato, quando e se la rosa è a disposizione per intero e la forma psicofisica accettabile. I rientri di Abate, Robinho e Pato, il recupero dello stesso Boateng, la ritrovata condizione degli stremati Van Bommel e Seedorf saranno una linfa decisiva per vincere le prossime partite contro Palermo, Bate Borisov e Lecce, fondamentali per risalire in classifica e mantenere il primato in Champions. La capacità di analisi di Allegri che l’anno scorso ha sempre fatto tesoro dei suoi (dichiarati) errori sembra garantire che in futuro verrà data fiducia e verrà dato modo di crescere a ricambi importanti come Aquilani, Antonini, Taiwo, Emanuelson, El-Shaarawy e soprattutto Pippo Inzaghi. Sembra garantire che la prossima volta per Cassano entrerà Inzaghi e non Emanuelson. Il silenzio rabbioso di Galliani indica queste strade. E’ necessario che tutti si facciano un bell’esamino di coscienza con un po’ di autocritica. E, soprattutto, è necessario crederci. Tutti.