Superpippo e un calcio che non c'è più. Bastano poche parole per andare in gol

Superpippo e un calcio che non c'è più. Bastano poche parole per andare in golMilanNews.it
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mercoledì 1 febbraio 2012, 09:30News
di Antonio Vitiello
fonte di Luigi De Angelis

Da ascoltare tutta d’un fiato. Con lo stesso atteggiamento che in tanti anni abbiamo avuto davanti ad ogni sua azione, davanti ad ogni sua rocambolesca o scaltra giocata. D’altra parte la principale dote di Filippo Inzaghi è proprio questa. La capacità di rendere ogni fatto sportivo carico di magia, di attesa, di sensazioni uniche. E poco importa se questa volta non si è trattato di uno di quei memorabili gol che magari ti risolvono una partita altrimenti stregata. Chi come Superpippo possiede quella capacità lì, riesce a rendersi protagonista di un’avventura anche solo con poche parole. Per questo l’intervista rilasciata dal bomber rossonero a “Milan Channel” per spiegare le ragioni del suo eterno amore alla maglia che indossa dal 2001, credo che valga davvero una delle sue numerose e ormai leggendarie prodezze sotto porta. Un momento unico, che dovrà essere ricordato quando il numero nove non si agiterà più sul filo del fuorigioco, tenendo in costante apprensione difensori, guardalinee e tifosi. Un momento che val la pena guardare e riguardare. Specie per quanti credono che nel calcio e più in generale nello sport, al di là dei milioni, al di là del business, al di là di ogni possibile scandalo, esistano ancora delle bandiere, dei campioni esemplari dentro e fuori dal campo, degli atleti appassionati in grado di commuoversi in modo autentico per ciò che fanno. Poteva permettersi qualsiasi scelta Pippo, è del tutto scontato per un campione di 38 anni che ha alle spalle una carriera ad altissimo livello oltre che ricca di successi.

Ma la sua vicenda ha comunque il pregio di valorizzare il fascino antico di un calcio che non c’è più, contribuendo al tempo stesso al recupero di tutta la sua più nascosta semplicità. Ha parlato di stadio, Inzaghi, tradendo in più di un passaggio un filo di emozione, di gol, di ultimi saluti da dare al suo pubblico, di maglia, di colori, di statistiche a cui lui tiene tantissimo, di ricordi difficili da cancellare. Come si legherà tutto questo suggestivo copione di un romanzo che sembra non avere fine, con la cruda attualità di un futuro ancora da scrivere non è dato di sapersi. Certamente un club come il Milan che ha nel suo dna la vittoria, deve andare avanti per la sua strada. E Allegri ha l’assoluto dovere di condurlo verso i traguardi sperati. Proprio dal mister però, da oggi, è lecito aspettarsi un piccolo sforzo in più nella già complessa gestione di una squadra di levatura mondiale. Lui che rispetto all’epopea rappresentata da Inzaghi costituisce il nuovo, cerchi di immedesimarsi laddove sarà possibile farlo, in una storia che com’è naturale che sia, non è tenuto a sentire come propria. Cerchi di pensare che il pubblico di fede rossonera avverte di poter vivere nuovamente delle emozioni forse antiche, per un giovane e valido allenatore intento giustamente a lasciare il proprio segno, ma per un’intera tifoseria ancora assolutamente attuali. Per ragioni anagrafiche da un lato e di prioritari obiettivi stagionali dall’altro, è chiaro che non ci potrà, non ci dovrà,  essere alcuna disputa, alcuna tensione al riguardo. Ma il degno riconoscimento ad un professionista che ha fatto la storia del suo club, quello sì, Allegri lo può, anzi lo deve concedere a Filippo Inzaghi.