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© foto di Giuseppe Celeste/Image Sport
venerdì 9 marzo 2012, 10:00Primo Piano
di Francesco Somma

Da Palermo a Londra. Dalla sicurezza e dalla forza scaturite da un risultato roboante e meritato, ad una serata fondata sul terrore e da tenere saldamente in testa, come lezione da tesorizzare per il futuro. Da salvare c’è il risultato, che alla lunga è l’unica cosa che conta. Da salvare c’è il ritorno – anzi, la conferma del ritorno ad altissimi livelli – di Christian Abbiati, perché per quanto si debbano distribuire equamente i meriti tra i 180 minuti, senza la doppia prodezza del portierone rossonero, da zero metri su un Van Persie fortunatamente placabile, da qualche giorno staremmo probabilmente commentando qualcos’altro da una vittoria che definire sofferta è riduttivo. Una vittoria da cui si riparte, in un modo o nell’altro, con il bonus “buona sorte” arrivato improvvisamente a livelli di riserva.

I pensieri che ci sono passati per la testa sono stati mille, o forse uno solo: quello di un incubo che vogliamo non si ripeta più. E invece l’ultima notte di Champions ci ha detto chiaramente che se sotto il profilo tecnico e dell’organizzazione del gioco, il Milan è secondo in Europa a non più di tre squadre, dal punto di vista della maturità e dell’approccio agli impegni che contano, c’è ancora tanto da crescere. Una lacuna non da poco, che volendo essere sbrigativi e faciloni può essere assimilata all’esperienza internazionale di Massimiliano Allegri, ma che a ben vedere è più generale. Perché se è vero che l’allenatore è sempre e comunque il massimo rappresentante del gruppo, è altrettanto vero che martedì in campo – insieme a Mesbah ed El Shaarawy – c’era gente esperta, che di serate da non fallire ne ha vissute a decine. Ecco perché non ci piace attribuire tutte le colpe al tecnico; ecco perché siamo soddisfatti, ma non sorridenti, per l’arrivo della qualificazione.