La pugnalata di Pirlo alla sua storia rossonera

La pugnalata di Pirlo alla sua storia rossoneraMilanNews.it
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
venerdì 11 maggio 2012, 12:00Primo Piano
di Emiliano Cuppone

I tifosi del diavolo avranno sentito una fitta alla schiena questa mattina, quasi arrivasse una pugnalata inaspettata, marzo è passato da un po’, ma quest’anno le idi fatali sono state quelle di maggio. Andrea Pirlo si veste da novello Bruto ed affonda la lama nel cuore dei tanti innamorati rossoneri che l’hanno acclamato e sostenuto per 10 anni, non risparmia il nemico Allegri, naturalmente, stupisce ancor di più quando colpisce il suo Cesare, Carlo Ancelotti.
L’intervista rilasciata dall’ormai a tutti gli effetti bianconero a “La Gazzetta dello Sport” ha lasciato l’amaro in bocca, una spruzzata di veleno da chi non te l’aspetti, da chi un anno fa piangeva disperato all’idea di lasciare il Milan, per ritrovarsi a distanza di 12 mesi a danzare festoso sulle ceneri della sua storia con il diavolo.
In primis il bresciano ribadisce quanto affermato nell’immediato della vittoria scudetto, lui è approdato alla Juventus per dimostrare di essere ancora il numero uno. Poi si scaglia contro Allegri, reo di averlo escluso dalla formazione tipo del suo Milan tutto muscoli e niente cervello, almeno secondo l’ormai ex Trilly rossonero, e contro la società, rea di non avergli riservato un trattamento differente rispetto agli altri senatori rossoneri, di qualche anno più vecchi ed in quanto tali degni di minore considerazione rispetto a Re Andrea.
Stupiscono le parole di Pirlo, lasciano a bocca aperta chi per anni gli è stato accanto, sostenendolo, urlando il suo nome, idolatrandolo, rendendolo quel numero uno che lui oggi si sente. Dimentica, forse, che arrivò al Milan con la nomea di eterna promessa, di incompleto, trequartista troppo lento e poco incisivo per sfondare davvero. Fu solo grazie ad un’intuizione illuminante di Carlo Ancelotti, bravo a riprendere un’idea di Mazzone spostandolo a centrocampo, a renderlo il campione che oggi tutti conosciamo, lo stesso Carlo Ancelotti che oggi da Pirlo viene ritenuto meno preparato del guru bianconero Conte.
Stona la sua voglia di dimostrare tutta la sua qualità ed il suo valore, con quella scelta di abbandonare Milanello per non cambiare ruolo, per non sottostare alle scelte tattiche di Allegri, giuste o sbagliate che fossero. Certo, però, la scorsa stagione non sembravano così folli quelle scelte, con Pirlo che veniva da un paio di stagioni in netto calo, figlie di qualche difficoltà in più a fare la differenza senza gente intorno pronta a fargli legna in quantità (anche Gattuso ed Ambrosini accusano le fatiche dell’età da qualche tempo), tormentato dagli infortuni lungo tutta la stagione. Eppure l’anno scorso, sotto la guida “dell’ingrato Allegri”, il bresciano era partito titolare, poi una lunga serie di stop, il rientro quando il Milan vinceva e convinceva, grazie anche, e soprattutto, a quel Mark Van Bommel che aveva portato solidità ed equilibrio in mediana, chiudendo la sua prima stagione in rossonero con la casella 0 alla voce sconfitte e con un bagaglio di sole 7 reti subite.
L’illuminato Pirlo non ha accettato di essere messo alle spalle dell’olandese, non poteva abbassarsi a cambiare ruolo, magari spostandosi a fare la mezz’ala, lui voleva il suo trono davanti alla difesa e non si fidava di Allegri l’ammazza senatori.

Eppure altri suoi compagni di lungo corso hanno avuto una reazione diversa, Clarence Seedorf, per esempio, lo scorso anno si era visto mettere in ombra dall’esplosione di Boateng che, nella visione meritocratica del tecnico toscano, si era preso di diritto il posto di trequartista. L’olandese, però, aveva saputo mettersi in gioco per l’ennesima volta, tornando a fare la mezz’ala, mettendosi al servizio della squadra, diventando fondamentale nella corsa scudetto. Gennaro Gattuso lo scorso anno veniva da una stagione intera passata fra tribuna ed infermeria, aveva rifiutato le sirene russe nonostante un trattamento pessimo ricevuto da Leonardo, ed era stato capace di ritagliarsi un ruolo fondamentale nel Milan di Allegri grazie alla corsa ed al sudore. Capitan Ambrosini lotta da una vita, quasi mai è partito da titolare del Milan nella sua carriera, eppure è sempre stato pedina fondamentale, rialzando la testa mille volte, riprendendo a correre sempre più convinto nonostante una carriera quantomai falcidiata dagli infortuni.
Dimostrare di essere il numero uno, sarebbe stata questa la molla che avrebbe spinto Andrea Pirlo a scegliere la Juventus, almeno secondo quanto riferito dallo stesso bianconero. Andare via e farsi costruire una squadra intorno, giocare con la consapevolezza di avere un paracadute di due settimi posti sulle spalle, pronto a salvarti l’onore in caso di sconfitta che nessuno ti avrebbe addebitato, questo è dimostrare di essere il numero uno. Non sarebbe stato giusto far ricredere un allenatore che ha dimostrato di saper cambiare idea su un giocatore, non sarebbe stato da numeri uno rimanere nella squadra che ti ha dato tutto per dimostrare di essere ancora il migliore, mettendoci sudore e sangue per riprendersi la maglia da titolare, non sarebbe stato da numeri uno, non sarebbe stato da Andrea Pirlo.