Il rovescio della medaglia: un interrogativo scomodo

Il rovescio della medaglia: un interrogativo scomodoMilanNews.it
© foto di ALBERTO LINGRIA
martedì 15 maggio 2012, 16:00Primo Piano
di Francesco Somma

L’avevamo presentato come un pomeriggio scialbo: niente da chiedere da una parte, ancora meno dall’altra. L’ultimo confronto di una cavalcata che ha lasciato l’amaro in bocca ai rossoneri, passerella prestigiosa per un Novara già in Serie B. Invece, parlando soprattutto di campo, le emozioni non sono mancate, come sempre quando si acquisisce un risultato in rimonta. Ma evidentemente, il senso dell’indimenticabile giornata vissuta domenica a San Siro, va oltre il risultato pressoché inutile: lo si può racchiudere nell’ultima, folle esultanza di Pippo Inzaghi sotto la sua curva, nell’abbraccio collettivo intorno a un Gattuso una volta tanto distrutto dall’emozione, oppure nella splendida coreografia con cui la Curva Sud ha salutato i tre Grandi all’addio. Alla fine, insomma, l’emozione ha prevalso su tutto e tutti: ammirare San Siro in uno scroscio di applausi, girarsi intorno e vedere dappertutto lacrime e occhi lucidi, rientra di diritto nell’albo delle sensazioni rarissime. Questa è la faccia più bella di Milan-Novara, però quando si volta la medaglia ci si trova di fronte una domanda tremenda: e adesso? Con gli addii di Zambrotta, Van Bommel, Nesta, Gattuso e Inzaghi, un intero, vincente e glorioso Milan, ha smesso di esistere, materializzando di fronte alla società di Via Turati, uno scettro a lungo rimandato (a torto o a ragione), quello della rifondazione.

Perché di questo, tra qualche settimana, bisognerà cominciare a parlare: c’è da ricostruire, con l’aggravante di ripartire da una stagione deludente, da una serie di addii che probabilmente non finiranno a Milan-Novara. Ma aldilà della girandola dei nomi, tra l’altro prematura, il futuro non si presta a facili ottimismi. Da un lato popolo rossonero vuole rimanere a livelli altissimi in Italia e tornare a presenziare alle grandi sfide di Champions League: dall’altro la società fa i conti con l’oggettiva difficoltà di tenere testa ai ritmi e ai budget imposti dalle grandi d’Europa. Un top player potrebbe anche arrivare, magari in buona compagnia, ma il discorso è un altro: non bastano i nomi per fare una squadra. Anche i gruppi più luccicanti hanno bisogno di tempo per diventare una squadra rodata e capace di dettare legge. Lo insegnano la storia e il calcio, gli stessi che assicurano futuro e successi a chi li insegue con fame ed ambizione.