Dal 1986 a oggi: come il Milan ha indirizzato il mercato del calcio italiano: ieri ristorante, oggi pizzeria

Dal 1986 a oggi: come il Milan ha indirizzato il mercato del calcio italiano: ieri ristorante, oggi pizzeriaMilanNews.it
© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews
venerdì 13 luglio 2012, 21:00Primo Piano
di Gaetano Mocciaro

Lo diceva Galliani l’anno scorso che il campionato italiano è diventato da ristorante di lusso a una pizzeria. Non tutti però avevano capito che si trattava di una pizzeria... da asporto. Le cessioni in un colpo solo di Thiago Silva e Ibrahimovic con lo stesso Galliani in un primo tempo a Parigi a trattare la cessione del brasiliano lo  aveva fatto intuire. Un’offerta, aziendalmente parlando, da prendere al volo perché in tempo di crisi generale, di buchi di bilancio e di fair play finanziario mai più i ricapiterà di generare, fra costo dei cartellini (62 milioni) e risparmio sui due ingaggi (108 milioni) ben 170 milioni.
E con questa doppia operazione che capiamo come il termometro del livello e della salute del calcio italiano sia ed è sempre stato, da 26 anni a questa parte il Milan. È da quando è partita l’era Berlusconi che i rossoneri hanno dettato le mode del mercato, influenzando anche il modo di operare all’estero.

Già dal 1986 si capisce che qualcosa sta cambiando: Roberto Donadoni, promettente ala dell’Atalanta e praticamente della Juventus considerato il canale preferenziale fra i due club passa al Milan per la cifra all’epoca considerevole di 10 miliardi di lire (si pensi che il record mondiale dei trasferimenti apparteneva a un certo Diego Armando Maradona, dal Barcellona al Napoli per 13,5 miliardi). Quello di Donadoni fu il primo atto di forza berlusconiano che avrebbe da lì a qualche anno condizionato il mercato.

L’anno dopo altri soldi a palate: arriva Ancelotti per quasi 6 miliardi, Gullit per oltre 13: una cifra mai spesa dal Milan per un solo giocatore. E con lui spesi altri 3,5 miliardi per Borghi e appena 1,75 miliardi per Marco van Basten. E i gioielli restano, il Milan non può cedere i più forti.

E il Milan comincia a vincere: arriva lo storico campionato 1987/88 superando in volata il Napoli. L’anno seguente arriva Rijkaard, altri 5,8 miliardi di lire che, in quel periodo, erano cifre molto importanti. Il Milan sbaraglia la concorrenza anche in Europa: vince la Coppa dei Campioni 1989 e 1990. Si capisce che per stare dietro ai rossoneri bisogna iniziare a spendere tanto. Ma il Milan continua ad alzare l’asticella: già nella stagione 1989/90 il Milan può permettersi di schierare in Coppa Italia una formazione totalmente alternativa a quella del campionato, cosa che nessuno finora era riuscito di fare. È solo la fase embrionale del turnover, che arriverà pochi anni dopo.

È nell’estate 1992 che succede di tutto. Prima di tutto la Serie A apre a un numero illimitato gli ed ecco che il banco inizia a saltare, perché i superbulimici rossoneri in un sol colpo si portano a casa i primi due classificati del pallone d’oro 1991 Jean-Pierre Papin e Dejan Savicevic, oltre a tenersi stretto gli olandesi e tutti gli altri. La regola però pone un paletto, ossia che i giocatori non italiani in campo debbano essere sempre e solo tre fra campo e panchina. Ecco che il concetto di turnover inizia a farsi più concreto: Capello può concedersi il lusso di far giocare Gullit solo 15 volte, Savicevic appena 10. Ma c’è un’altra cosa in quell’estate che sconvolge il mercato ed è l’acquisto da record di Gianluigi Lentini, che alza notevolmente l’asticella per le avversarie.

Da lì si scatena tutto: per stare dietro al Milan le squadre iniziano a spendere non solo per rinforzarsi ma anche per avere una rosa più ampia. Idem in Europa, dove piano piano già a fine anni ’90 tutti i club più competitivi possono contare su una rosa di 22 titolari.

Nel frattempo e nonostante il modo del calcio abbia potuto godere di nuove entrate grazie ai diritti televisivi e alla Champions League questa politica di rose ampie e di stipendi importanti ha portato ad avere dei costi di gestione che hanno iniziato a cambiare le cose, sia per il Milan che per il calcio italiano. Nel 2009 si è avuta la prima sensazione che il ristorante di lusso stava davvero diventando pizzeria: il Milan berlusconiano che mai aveva ceduto un giocatore per esigenze di bilancio dà al Real Madrid Kakà per 64 milioni di euro. Il primo atto di forza degli altri club: il Real Madrid di Sanz come il Milan del 1986. E oggi la parte del potente spetta ad Al-Thani, con un’offerta incredibile per Thiago e Ibra che non si può rifiutare. E le altre italiane? Anche loro hanno già dato, basti ricordare Zidane dalla Juve al Real Madrid oppure Eto’o dall’Inter all’Anzhi. Con Sneijder che potrebbe seguire la stessa strada anche in nome del fair-play finanziario. C’era una volta la grande Serie A, grande ristorante di lusso ora pizzeria.

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