Kakà al bivio. Quella clausola nel contratto dimostrerà se è campione anche nella vita

Kakà al bivio. Quella clausola nel contratto dimostrerà se è campione anche nella vita
© foto di Giulia Polloli
mercoledì 2 aprile 2014, 15:24Milanello in rosa
di Giulia Polloli

“Non si vende Kakà”. Quel coro ce l’ho ancora ben impresso nella memoria, così come le sensazioni di sollievo e vittoria dopo la mancata cessione, nella finestra invernale del mercato, di uno dei giocatori simbolo di quel Milan. Così, come ricordo l’emozione di quella che sembrava una vittoria, ancor meglio rammento la delusione di veder partire il brasiliano in direzione Madrid qualche mese dopo. Questioni di bilancio, l’offerta era irresistibile. Questa la spiegazione, plausibile dal punto di vista meramente economico,per un addio straziante. Quello che successe, poi, lo sappiamo tutti.

Così quando in estate Kakà è rientrato a Milano, mi sono chiesta più volte quale fosse il tassello mancante per giustificare, anche da parte madridista la cessione, senza contropartita di sacchi di moneta sonante, per un giocatore che comunque, seppur in fase calante, rimaneva un grosso investimento mai ammortizzato.

Non nego, anche  perché l’ho scritto più volte, che tutto potesse essere ricondotto ad una sorta di riconoscenza, di amore, di nostalgia, per una squadra, per dei tifosi, per una città che aveva reso immortale le gesta del Kakà calciatore. Poi, ovvio, la necessità di dover giocare per provare ad approdare ai mondiali in Brasile, la voglia di rimettersi in gioco dopo stagioni deludenti. Insomma, ho creduto davvero di poter leggere, tra le righe, una bella storia di calcio e sentimenti, cosa rara questa accoppiata, nel calcio moderno ormai tutto improntato sul business.

Ed eccola la doccia fredda, quelle parole in calce sul contratto del brasiliano che lo liberano nel caso in cui la Champions diventi un miraggio. Quelle parole affidate ai social network da parte del preside dell’Orlando City, Phil Rawlins “Noi siamo pronti, quando tu lo sarai Ricardo” lasciano adito a pochi dubbi. Evidentemente un contatto c’è stato, altrimenti il presidente Rawlins non si sarebbe esposto con una frase di questo genere. Se poi abbia parlato direttamente non Ricardo o con qualcuno a lui vicino, non mi è dato saperlo. Di certo c’è che mi sento proiettata nuovamente in uno stato di prostrazione di fronte all’ipotesi di un nuovo addio.

Mi spiego: il ritorno di Kakà ha segnato una linea di demarcazione ben precisa in una stagione che già prima di cominciare aveva assunto degli aspetti grotteschi. L’addio dei campioni, dei senatori, dello zoccolo duro, almeno a livello di storia e tradizione rossonera, è stato il protagonista degli ultimi due mercati. Il ritorno di Kakà è stato, a mio avviso, come una luce abbagliante che riportava nello spogliatoio quei valori accantonati dalle nuove leve e rimpianti da quei pochi giocatori che con la maglia rossonera hanno vissuto anni intensi di storia. Lo stesso ho pensato di Seedorf. Il suo arrivo a Milanello è stato provvidenziale per ridare morale ad un gruppo ormai spento.  Clarence e Ricardo insieme stanno rispolverando il senso di appartenenza, il valore della maglia, l’importanza di scendere in campo con quel logo sul petto. Ora che il Milan ha ripreso a credere in se stesso, ecco che spunta il rischio di dover ricominciare tutto da capo.

La partita contro il Chievo non ha dimostrato null’altro se non che il Milan può ancora credere in se stesso e alzare la testa. L’avversario non è stato di quelli impossibili, l’abbiamo visto. Il Milan ha vinto senza strafare, ma ha vinto. Kakà è stato l’uomo partita, per la bellezza del secondo gol, per aver trascinato il suo Milan fin qui. Poi Balotelli, Taarabt, Ramì, lo stesso Poli subentrato a De Jong. Tutti pronti a sacrificarsi, a giocare per la squadra. Lo ha dimostrato anche il reiterato tentativo di mettere Honda di fronte alla porta avversaria. Forse per la prima volta in questa stagione, al di là dell’intensità del gioco, al di là del risultato ottenuto, ho visto una squadra in campo e ho visto un uomo che, con la fascia sul braccio, ha trascinato i suoi compagni alla vittoria.

Per questo il pensiero di dover abbandonare anche questo ricordo, ancor prima di averlo fissato nella memoria, mi sembra assurdo. La clausola unilaterale sul contratto, a fine stagione, dimostrerà di che pasta è fatto l’uomo Kakà. Perché se come calciatore l’abbiamo riaccolto con affetto, come uomo non avrà una seconda opportunità.