C&F - Yonghong Li come i Glazer? Ecco come lo United ha ripagato il suo debito

C&F - Yonghong Li come i Glazer? Ecco come lo United ha ripagato il suo debitoMilanNews.it
martedì 28 marzo 2017, 15:00News
di Matteo Calcagni
fonte calcioefinanza.it

Se vi piace il calcio fate un giro in internet, in particolare su Facebook, noterete che la vostra bacheca negli ultimi giorni si sta riempiendo di foto del tour asiatico di Michael Silvestre. L’ex giocatore di Inter e Manchester United sta girando il continente più appetitoso del calcio moderno, per inaugurare le nuove academies dei Red Devils. Vestito di tutto punto con la maglia dello United, lo si vede immortalato mentre sorride attorniato da bambini indiani o malesi, mentre taglia nastri e dispensa sorrisi. La campagna asiatica del club, in questo caso, vuole che il giocatore stia girando da una scuola calcio all’altra su un modello nuovo fiammante di un’auto, prodotta dalla stessa casa che sponsorizza, a colpi di milioni, la maglia rossa e bianca del Manchester United. Sopra ogni album di foto, ovviamente, il nome dell’azienda è taggato in bella vista. I social media manager chiamano questo processo engagement, mentre chi segue l’economia del pallone preferisce contare quanti soldi tale processo porti alle casse della squadra: 236 milioni di ricavi commerciali nel 2014.

Un processo di crescita costante, che ha portato lo United ad essere una delle squadre con i ricavi più alti, grazie ai ricchi contratti firmati anche con la squadra fuori dalle coppe. Il debito è vivo e lotta insieme a loro, ma Van Gaal ha un portafoglio che molti altri allenatori gli invidiano. Gli sponsor fanno a pugni per far parte delle iniziative del club. Eppure, fino a non molto tempo fa, i tifosi sono arrivati a bruciare fuori da Old Trafford dei fantocci che riproducevano l’effige di Malcolm Glazer, scomparso nel 2014 e a lungo capostipite della famiglia che dal 2005 possiede il club. Ora le cose sembrano un po’ cambiate: «Molti fan dello United non amano particolarmente i proprietari, ma si sono rassegnati alla situazione», spiega al Guardian Andy Green, analista finanziario e tifoso del club che i questi anni ha tenuto minuziosamente il conto del costo dell’operazione di leveraged buyout con la quale la famiglia Glazer comprò la squadra nel 2005, scatenando le ire dei tifosi e sfociate nel 2010 nella protesta delle sciarpe gialloverdi a Old Trafford. Una rassegnazione dolce, quella dei fan del club di oggi: prima protestavano, ora si godono la lussuosa campagna acquisti di Van Gaal, appena ricominciata con l’arrivo di Depay.

Dall’Opa ostile alla rabbia del 2010

I soldi, in fondo, possono anche riappacificare: a chi non è andata giù si è creato un nuovo club, vedi lo United of Manchester. Era il maggio del 2005 e la famiglia Glazer arrivava dagli Usa per acquistare un club quotato in Borsa a Londra e che nel 1998 aveva visto la possibile scalata alla maggioranza del club da parte di Rupert Murdoch, bloccata dal Governo inglese. Ai Glazer invece andò meglio, ma fu un’azione dura. Un’Opa ostile, dopo che per regolamento l’acquisizione della quota superiore al 30% del pacchetto azionario li obbligò di fatto a mangiare tutta la torta. L’operazione fu in totale di 1,47 miliardi di dollari e tecnicamente definibile come leveraged: in casi come questi, si fa leva sui debiti contratti per portare avanti l’acquisto, scaricandoli sulla società comprata.

Immaginatevi quindi un tifoso che vede il proprio club fino a quel momento sano, inondato di debiti. Per loro fortuna – dei tifosi, ma soprattutto dei Glazer – quella macchina da soldi che era lo United era già partita. Nel 2005, anno di insediamento di Malcolm alla guida del club, i ricavi totali erano di 246,4 milioni di euro. Certo in calo rispetto ai 259 del 2004, ma comunque una cifra ragguardevole: la squadra era seconda in Europa, seconda solo al Real Madrid e tallonata dalle italiane Milan (234 milioni) e Juventus (229). Dopo 10 anni, lo United è ancora secondo, dopo aver però sfondato il muro dei 500 milioni di ricavi. La Juventus è 10° con 279 milioni, il Milan 12° con 249.

Ma nel maggio 2005, i ricavi non interessavano a nessuno. E non interessava nemmeno che la famiglia Glazer, già proprietaria di Tampa Bay Buccaneers, fosse una tra le famiglie più ricche degli Usa. Interessavano i debiti scaricati su una società di fatto sana. Il tutto precipita, nonostante i soldi arrivino. Nel 2008 il Club vince la Champions League in finale contro il Chelsea, finale replicata (con sconfitta) nel 2009 a Roma contro il Barça. I ricavi hanno sfondato quota 300 milioni già nel 2007 (la Juve lo farà alla fine di questa stagione), ma il mercato è quasi solo in uscita: se ne va gente come Ruud Van Nisterlooy o Cristiano Ronaldo, perché sul club pende un debito derivato dall’operazione dei Glazer di 819 milioni di euro (che pendono sulla Red Football Joint Venture, società controllante dello United) e bisogna mantenere dritta la barra, per non affondare.

Insomma, se non fosse per Alex Ferguson, che fa tanto con poco, a quest’ora i Glazer avrebbero rischiato grosso. Lo sanno bene due dei figli di Malcolm, la cui auto che li sta accompagnando allo stadio viene un giorno accerchiata e spintonata da alcuni tifosi. Qualche giorno prima, era emersa la notizia tutti e sei i figli di Malcolm avevano preso in prestito dal club 15,5 milioni di dollari per “scopi personali”. Il debito cresce, tanto che nel 2010 la rabbia esplode definitiva. I Glazer hanno avviato una politica di rialzo dei prezzi dei biglietti e, allo stesso tempo, hanno cercato di isolare alcuni tifosi allo stadio, relegandoli in alcuni settori di Old Trafford a loro dedicati. Sugli spalti compaiono le sciarpe gialle e verdi del Newton Heat, che dello United è stata la squadra genitrice. Un attacco mirato a Glazer. Sì, perché ora i ricavi interessano e si fa in modo di non acquistare prodotti ufficiali per chiudere i rubinetti alla proprietà americana. E ad Old Trafford abbondano sciarpe gialloverdi e cori “Die Glazer, Die”.

Il ritorno in Borsa e l’impennata dei ricavi

Il club è in difficoltà e allora si pianifica il ritorno in Borsa. Non a Londra, ma a Wall Street. Una decisione dettata dal bisogno di rastrellare fondi tra gli azionisti, visto che il debito del club si è assestato a 435 milioni di euro. Glazer cerca di stabilire la forchetta del prezzo per azione tra i 16 e i 20 dollari. Una mossa che permettereb al club di gonfiare il proprio valore da 1,47 a 3,34 miliardi di euro. La Securites Exchange Commission (Sec, ovvero l’ente regolatore della borsa americana) blocca subito i piani speculativi di Glazer, decidendo che il prezzo di collocamento per azione è di 14 dollari. Circa la metà dei 190 milioni di euro che il club rastrella finiscono nelle tasche della famiglia Glazer, mentre il resto serve a ripianare parte dell’enorme debito della società, che intanto continua a crescere.


Il debutto del Manchester United alla borsa di Wall Street

Il tutto accade negli stessi giorni in cui il club sottoscrive un accordo da 559 milioni di dollari in 7 anni con la Chevrolet. Esatto, la stessa casa che produce le auto che sta portando Michael Silvestre in giro per l’Asia. Ed ecco che in molti, in Inghilterra, sono certi che ai Glazer sia andata bene. Ferguson che riesce a tenere a galla la squadra con pochi acquisti e una società che nel tempo diventa una macchina da soldi sono due buoni motivi per credere che, da un’altra parte, le cose per la famiglia Usa sarebbero state peggiori.

Lo United è diventato sui ricavi un modello da imitare, se non da replicare: si veda il trasloco da Manchester a Milano dell’ex dirigente Michael Bolingbroke, che ha massimizzato i ricavi soprattutto dello stadio. Ma negli anni, non c’è stato solo Old Trafford. Il club è stato uno di quelli che si è internazionalizzato meglio, assieme al Real Madrid. Sono stati aperte sedi operative a New York e Hong Kong, ma soprattutto il marchio può contare su 200 licenziatari in giro per il mondo, pronti a produrre e distribuire tutti gli oggetti possibili, biancheria per la casa compresa. Nell’estate 2013, grazie alle partite amichevoli, lo United ha incassato 14 milioni di euro. Tutti li vogliono, anche se il club di fatto non vince la Champions da quella sera uggiosa di Mosca del 2008. Tutti, soprattutto gli sponsor: dopo Chevrolet, è arrivata la Adidas con i sui 94 milioni all’anno. A tutto questo si aggiungono gli ingenti ricavi futuri garantiti dalla Premier in materia di diritti tv.

Una vittoria dall’altissimo costo

Oggi il club vale 3,1 miliardi di dollari (2,73 miliardi di euro). Quando i Glazer lo acquistarono, valeva 1 miliardo di euro. Il debito ora è di 528 milioni di euro, perché quest’anno è mancata la Champions, Van Gaal ha speso una barca di soldi sul mercato (il saldo negativo di acquisti/cessioni è di 110 milioni di euro) e per il prossimo anno le entrate dovrebbero abbassarsi a 490 milioni. E sul club pesano ancora gli oneri del leveraged del 2005. In tutto, il costo dell’operazione è ammontato in 10 anni a 800 milioni di euro tra interessi e commissioni. Vista la fine delle proteste violente e i 9 trofei vinti in 10 anni (secondi dopo il Chelsea), il Guardian sentenzia: «I Glazer hanno vinto, ma a che costo?». E in effetti, ce lo chiediamo anche noi.