Serafini: "L'abbaglio Bonucci"

Serafini: "L'abbaglio Bonucci"MilanNews.it
© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews
lunedì 23 ottobre 2017, 21:12News
di Antonio Vitiello
fonte di Luca Serafini per altropensiero.it

Succede, eccome se succede. Qualche volta. Un campione o addirittura un fuoriclasse conclamato cambia squadra e tac!, l’incantesimo svanisce. Di norma il maleficio colpisce chi cambia Paese, si sa come vanno le cose: nuovi compagni, nuovo allenatore, nuovi metodi, nuovi moduli. La lingua, il cibo, il clima, la moglie che facendo shopping si perde in centro e non si ricorda dove l’attende l’autista. La dura vita del calciatore emigrante.

Qui però si parla di un ragazzone di 30 anni che da Torino è andato a stare a Milano. Un’oretta di treno con la sua bella famiglia, trequarti d’ora in Suv. Costo dell’operazione: 40 milioni. Ingaggio per lui: 7 milioni netti a stagione. Si parla infatti di uno che ha vinto 7 scudetti, ha giocato 2 finali di Champions, una all’Europeo per Nazioni, 227 presenze nella Juventus, 73 in Nazionale, candidato (diciamo segnalato che è meglio) per il “Pallone d’oro”, il “The Best Fifa”, insomma un fenomeno. Uno che sposta gli equilibri, indebolendo oltremodo la Juventus e rinforzando oltre misura il Milan. Appena arrivato nel nuovo club gli hanno dato anche la fascia di capitano (un sacrilegio per moltissimi tifosi rossoneri integralisti), adducendo si trattasse del più esperto, del più carismatico, del più vincente se non l’unico del gruppo. Eppure non è un centravanti, un’ala imprendibile, un fantasista dal piede magico. Non è insomma uno dei quelli che ti vincono le partite da solo. E’ soltanto uno stopper, oggi si dice un difensore centrale. “Li chiamano impianti, ma restano sempre dentiere”, diceva la mia povera nonna.

Puff. La magia ha riportato il principe Leonardo Bonucci allo stato di Ranocchia. Gli scappano via da tutte le parti, lo anticipano, lo dribblano, lo scavalcano. I tifosi avversari lo spernacchiano, il fuoco amico lo devasta uguale, nascono come funghi quelli che l’avevano sempre detto. Leonardo sembra un ragazzino da solo nel bosco alle sei di sera. Smarrito, incerto, impaurito. Invece di gridare e chiedere aiuto, Bonucci ringhia, scalcia, tira gomitate, si fa buttare fuori e – ironia della sorte – squalificare proprio alla vigilia della sfida tra Milan e Juventus. Un incubo. Altro che favola: un film di Hitchcock.

Detto della modesta sagacia che sta manifestando l’allenatore Vincenzo Montella, capace in questi ultimi tempi di oscurare anche altri giocatori dal rendimento certificato, nonché mortificare un drappello di giovani di belle speranze pagati uno sproposito, non si capisce bene cosa succeda a Bonucci. Nel calcio moderno i calciatori hanno uno staff personale nutrito: il mental-coach, il nutrizionista, il fisioterapista, lo stilista, il tatuatore, oltre alle maestranze domestiche. Tutto per superare scogli plebei come l’ambientamento e la conseguente depressione.

Cosa accade dunque, caro vecchio Leonardo? L’ideale sarebbe saperlo da lui, ma interrogarlo è un esercizio vano, nel tentativo di stanarlo dal bunker dei “serve pazienza”, “cresceremo”, “si aggiusterà tutto”. Un abbaglio è un abbaglio, ma non può durare 10 anni, quelli trascorsi pensando fosse un ottimo giocatore se proprio non volete dire un campione come invece fanno quei pazzi del “Pallone d’oro”, del “The Best Fifa” e gli analisti come il sottoscritto che pensavano – e pensano – si sia trattato di un grande colpo per il Milan. Una granitica certezza non può franare miseramente in modo così repentino, inevitabile.

Gli eruditi scienziati del calcio emettono puntualmente sentenze sbrigative e inappellabili, rovesciando con disinvoltura qualsiasi precedente storico, enunciando piccole verità che pesano enormemente sul verdetto finale: “E’ sempre stato sopravvalutato”, “Un conto è giocare con Barzagli e Chiellini, un altro con Musacchio e Romagnoli”, “Troppi soldi” fino all’immancabile sensitivo, vedi sopra: “Io l’ho sempre detto che…”.

Non sarò così frettoloso. Il caso meriterebbe una riflessione più seria. Sprofondare in un precipizio così ripido e buio in 5 mesi è un evento che mi spaventa a prescindere, a chiunque capiti. Se poi, come me, si è tra quelli che hanno descritto l’operazione come l’affare dell’anno, in grado di spostare qualche equlibrio (non tutti), pensando si trattasse davvero di uno dei più forti del mondo nel suo ruolo… Beh, allora dopo 50 anni di calcio da appassionato e tifoso e più di 30 da giornalista anche io sto sprofondando in un precipizio di dubbi e insicurezze. Per colpa sua, caro Leonardo.

La ricetta che mi sono prescritto per uscire dal mio stato avvilente dopo una carriera molto soddisfacente – sia pure non gratificante come la sua –  è abbassare umilmente la cresta e la prosopopea, perché forse ogni tanto mi sono preso un po’ troppo sul serio nello sdottorare sul pallone, dimenticando come non sia una scienza esatta, anzi. La mia ricetta è uscirne da solo, ricominciando a studiare la materia che più amo, parlarne e confrontandomi con amici e colleghi (e la donna, avendo la fortuna che si interessi al calcio) cercando di avere equilibrio, capire dove ho sbagliato, impegnandomi ad avere più attenzione, concentrazione, per valutare meglio gli uomini e le loro azioni, riconsiderare il mio lavoro.

Banale, forse, caro Leonardo, ma mi creda: è una strada che vale umilmente la pena di percorrere. Anche perché non credo di conoscerne un’altra.