Gazzetta, Menez si racconta: "Senza il calcio forse sarei finito in galera. Voglio giocare altri 7-8 anni, poi la panzetta"

Gazzetta, Menez si racconta: "Senza il calcio forse sarei finito in galera. Voglio giocare altri 7-8 anni, poi la panzetta"MilanNews.it
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
sabato 20 dicembre 2014, 08:00Primo Piano
di Salvatore Trovato

L’attaccante rossonero, Jeremy Menez, ha rilasciato una lunga intervista alla Gazzetta dello Sport, nella quale ha parlato del suo passato, dagli anni turbolenti dell’adolescenza (il francese viene dalla Banlieu 94, una delle periferie più difficili di Parigi, quello che lui chiama "il quartiere") al rifiuto di trasferirsi al Manchester United: "Forse, e sottolineo il forse perché come fai a dirlo, se non avessi avuto il calcio sarei finito in galera. Del resto, ci sono finiti un sacco di miei amici: furti, droga, quelle cose lì, che ci caschi se sei giovane, vorresti tutto ma i soldi sono pochi. Ho continuato a sentirli anche quando erano dentro e ogni volta era come rendersi conto di quanto sottile sia il filo che divide una vita felice da una vita buttata via, o comunque rovinata. Dal quartiere me ne sono andato a Sochaux  al momento giusto, a 13 anni, l’età in cui puoi iniziare a fare le stupidaggini più grosse. E a 16 anni sono rimasto lì e non sono andato al Manchester United, anche se mi voleva Ferguson, perché pensavo non fosse il momento giusto, non ero pronto: non dico che sarebbe stata una cattiva strada, ma sentivo di essere troppo giovane per un salto così. Magari avrei fatto una carriera anche migliore, che ne so: so che non mi sono mai pentito".

NO SOCIAL - Gli amici, appunto, quelli che Menez ha lasciato a Roma e che ha ritrovato (come Philippe Mexes) a Milano, ma anche e soprattutto quelli che hanno condiviso con lui l’infanzia: "A Filo Mexes voglio bene perché abbiamo diviso un sacco di cose, Totti e De Rossi sono un bel ricordo di Roma e li ho nel cuore, ma i miei veri amici non sono nel calcio, a parte Benzema che è un fratello: li sento spesso, li vedo ogni volta che posso, sono rimasti gli stessi che lo erano già quando non ero famoso e nessuno di noi aveva una lira. Però ci divertivamo un sacco". Questo è Jeremy Menez, semplice, umile, legato alle sue origini. Un fuoriclasse dei nostri tempi che non ama le mode, come i social network: "Troppo facile, così: prendi il telefonino, fai una foto, scrivi quattro cose e condividi tutto con il mondo. Automatico, freddo. Ma poi? Quasi non pensi neanche più a quello che scrivi, dunque a quello che dici. Se ho qualcosa da dire a qualcuno in particolare lo dico a lui, se proprio ho qualcosa che devo dire a tutti magari faccio un’intervista. I social sono un modo per farsi amare dalla gente, questo è sicuro: ma perché? Io non ne ho bisogno: se qualcuno mi ama non dev’essere perché scrivo cosa faccio e cosa penso su Facebook, su Twitter o perché metto una foto su Instagram".

FUTURO - Per Menez e i suoi 27 anni è ancora lontano il giorno del ritiro: "Non mi immagino da vecchio, anche se so che fa parte della vita e se invecchi bene vuol dire che hai vissuto bene: oggi per me l’età che passa è soprattutto quella che mi avvicina al momento di smettere con il calcio e invece voglio giocare ancora 7-8 anni, perché come ha detto da poco Ibrahimovic anche io mi sento un vino, più invecchio e più sono buono. Ha ragione, da giovane credi di essere il migliore, sbagli e non te ne accorgi neanche: ora che l’ho capito, vorrei godermela". Come detto, ci sarà tempo per pensare alla vecchiaia, con un altro "obiettivo" ben preciso: "Alla faccia degli esteti, dico che nell’uomo un po’ di panzetta non guasta: quando smetterò di giocare ce l’avrò, ci metto già la firma, perché mi piace molto mangiare. Tatuaggi? Il primo lo feci a Roma, il nome di mia mamma Pascale. Ho detto: 'Provo'. Ma se ne fai uno sei morto: ti fai il secondo, il terzo e poi ti ritrovi pieno. Io ho pieno soprattutto il braccio sinistro. Se i tatuaggi sono un po’ l’immagine di una persona, anche in questo caso ho fatto solo ed esattamente quello che avevo in testa, come sempre".