Non buttiamo via l'eredità di Simoncelli

Lo choc, la mestizia, il vuoto, le domande, i perché, hanno frullato le nostre anime in questi giorni. Ognuno ha vissuto la sua sofferenza, perché tutti abbiamo sofferto, ognuno ha detto la sua, perché tutti avevamo qualcosa da dire. La famiglia di Marco Simoncelli e la sua fidanzata, leggeri, quasi disarmanti per quanto sereni, ci hanno trasmesso rassegnazione, ci hanno ricordato (o insegnato) con quale, con quanta dignità si possa accettare come la morte faccia davvero, ineluttabilmente parte della vita. Ora che la vita, la nostra breve intensissima vita terrena, prosegue e quella di Sic invece no, proviamo ad avere la forza di custodire gelosamente l’eredità che ci ha lasciato. Proviamo ad avere il coraggio di far diventare il modo di Marco, il nostro modo. Anche solo una piccola parte.
Il sorriso, anzitutto. E poi la sua esuberanza. La semplicità. La naturalezza. Le virtù che lo hanno reso un nostro simpatico amico, senza conoscerlo. Raccontano i ragazzi della redazione motori di Sport Mediaset che qualche tempo fa uno di loro criticò severamente Simoncelli per una sua caduta. Fosse accaduta una cosa simile nel calcio dove fa il silenzio stampa chi vince, il dirigente o l’allenatore o il giocatore avrebbe rotto i ponti, negato interviste, vomitato veleni, lanciato anatemi. Sic prese il cellulare, chiamò in redazione e disse: “Vengo in studio a fare la moviola della mia caduta”.
E lo fece. Gli uomini intelligenti non perdono il senso dell’ironia, dell’autocritica, della misura. Nella gioia come nella sofferenza. Gli uomini miti, pacati sono a volte devastanti, esagerano quando fanno le cose che amano fare, come andare in moto. Accettano la rabbia dei colleghi, dei critici, dei tifosi, perché nel loro animo questa diventa anche la loro rabbia. Infatti sanno per primi se sbagliano, sanno per primi quando sbagliano. La loro insofferenza sta nel fatto che non avvertono alcun bisogno di sentirselo dire.
Noi del calcio, abituati a cercare nelle cantine della dietrologia, sempre polemici, suscettibili, permalosi, saccenti, presuntuosi, non buttiamo via il suo modo, la sua eredità.
In MotoGp Marco Simoncelli non vinceva. Non ancora, almeno. Ma era assolutamente un campione: per il suo modo di essere, per il suo modo di porsi, per il suo modo di vivere. E per il suo modo di cadere, infine. Ricordiamocelo. Un po’ più a lungo, non soltanto per questi giorni di angoscia.

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