MN VI LEGGE IO, IBRA - Incontri che cambiano la vita: "Scarface" al femminile e il ciccione dei Soprano

MN VI LEGGE IO, IBRA - Incontri che cambiano la vita: "Scarface" al femminile e il ciccione dei SopranoMilanNews.it
© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews
venerdì 18 novembre 2011, 22:02Primo Piano
di Francesco Somma
Quarto appuntamento. Milannews.it vi legge "Io, Ibra", l'autobiografia di Zlatan Ibrahimovic

Più che come esseri umani, spesso li vediamo come icone: forti, intoccabili, a volte quasi alieni, ignorando che in realtà, sotto moltissimi punti di vista, i calciatori conducono una vita normale. Fanno un lavoro bellissimo e ben pagato, ma anch’essi (molti di essi, almeno) sognano una famiglia, dei figli a cui dare tutto l’amore possibile, ed anch’essi vivono incontri capaci di stravolgergli l’esistenza. Rispetto a tutto questo, Zlatan Ibrahimovic di certo non rappresenta un’eccezione, ed è anche facile immaginare quali siano stati gli incontri più importanti nella vita dello svedese, quelli che hanno rappresentano una svolta, sotto diversi aspetti. Scorrendo le pagine di Io, Ibra ci si rende conto che, per esempio, Zlatan ha sempre vissuto il capitolo “Donne” con un certo distacco: o meglio, fin da ragazzino l’attaccante ha in forte considerazione l’interesse delle ragazze, ed una delle cose che lusinga maggiormente della sua vita sportiva, è l’assidua presenza femminile agli allenamenti e alle partite, però nella sua infanzia e nella sua adolescenza c’è solo qualche brevissima liaison, nessuna storia lunga e nessuna strage di cuori. Ma nell’ ultima parte del periodo scandinavo, il capitolo “rosa” si chiude, trasformandosi in un nuovo libro, che ha i capelli biondi, di nome fa Helena e convince Ibra, lo slavo dannato che gira nella sua macchina lussuosa con il volume sempre troppo alto, di avere ancora tanto da imparare dalla sua città: “Non era soltanto carina, ma aveva anche quell’atteggiamento aggressivo, ed era più grande di me”. I due si incontrarono una volta per caso, poi una seconda volta, sempre casualmente, e chiacchierarono piacevolmente, fu Ibra a fare la prima mossa: “Ehi ciao, vieni da Malmö anche tu, vero?”, a procurarsi il numero di cellulare e a rintracciarla: “La chiamai e  ci vedemmo, all’inizio niente di straordinario, qualche pranzo e cose così, ma un giorno l’accompagnai alla sua tenuta di campagna, gettai un’occhiata in giro e rimasi ammirato dall’arredamento, da tutte quelle maioliche, dall’ambiente che mi circondava, insomma. Helena si occupava di marketing per la Swedish March, ma capii subito che aveva una posizione di tutto rispetto. Soprattutto, capii che non era affatto come le altre ragazzine che avevo conosciuto prima: niente isterie, proprio neanche l’ombra, lei era tosta. Era andata via di casa a diciassette anni e si era fatta strada lavorando, non ero una superstar per lei. Correva sempre di qua e di là con tacchi a spillo vertiginosi e jeans attillati, pellicce e roba di questo genere. Era come il Tony Montana di Scarface in versione femminile, mentre io andavo in giro sempre in tuta”. C’è un altro uomo che ama andare in giro in tenuta casual, e che in quei mesi si appresta a fare il proprio ingresso nella vita di Zlatan, cambiandola in maniera irreversibile. E’ nato a Nocera Inferiore, nel salernitano, ma piccolissimo si è trasferito con la famiglia in Olanda, ha lavorato nella pizzeria del papà prima di cominciare ad occuparsi di calcio. Non ha il fisico per giocarlo, ma un gran fiuto per gli affari ed ottime capacità nella gestione delle trattative. Quasi inutile dirlo, stiamo parlando di Mino Raiola, che a quei tempi ad Amsterdam aveva nientemeno che la fama del mafioso, sebbene non lo fosse affatto. A vent’anni si mise contro la Federcalcio olandese per abolire una norma ai limiti dell’assurdo. Mino ha un grande orgoglio, ed un’ambizione ancora più grande, proprio come Ibrahimovic, all’epoca in cerca di un valido agente. Il giornalista Thijs Slegers, amico di Ibra, fece da intermediario ed organizzò un incontro tra i due all’Hotel Okura di Amsterdam: “Misi la mia bella giacca di pelle di Gucci, non avevo affatto intenzione di fare la figura del buzzurro, il mio orologio d’oro, e parcheggiai la Porsche proprio davanti all’albergo”. Ibra entra sicuro di sé al ristorante dell’albergo, dove c’era un tavolo prenotato, immaginando un tizio in completo gessato  con un orologio d’oro ancora più grosso del suo, invece…: “Ma che razza di individuo era quello che entrò dopo di me? In jeans e T-shirt Nike e con quella pancia enorme, sembrava uno dei Soprano. Chi diavolo è questo qui? Dovrebbe essere un agente quella specie di gnomo ciccione? E quando ordinammo cosa credete, che arrivò un piattino di sushi con avocado e gamberetti? No, arrivò una valanga di roba, cibo per cinque, e lui divorò tutto come un dannato!”. Ok, dal punto di vista fisico Mino Raiola aveva completamente deluso le aspettative di Ibrahimovic, ma quando cominciarono a parlare, lo svedese rimase ammirato dalla grinta e dalla chiarezza del campano, uno che parla senza giri di parole, e capì di volerci lavorare fin da subito, ma c’era un problema: “Sapete cosa fece quel bastardo sfacciato? Tirò fuori quattro fogli A4 su cui c’erano nomi e cifre, tipo Christian Vieri 24 gol in 27 partite, Filippo Inzaghi 20 gol in 25 partite, David Trezeguet 20 gol in 24 partite, Zlatan Ibrahimovic 5 gol in 25 partite”. Poi Raiola chiese: “Credi che possa venderti con una statistica del genere?”. Ibra rimase di stucco, ma il manager aggiunse: “Tu ti credi tanto figo, eh? Credi di potermi impressionare con il tuo orologio e la tua Porsche, ma non è così. Io trovo che siano tutte cazzate. Vuoi diventare il migliore del mondo, oppure quello che guadagna di più?”. Ibra rispose: “Sì, il migliore del mondo”, e l’altro: “Allora bene, perché se diventi il migliore del mondo poi arriverà tutto il resto, ma se insegui solo il denaro allora non otterrai mai niente, capisci?”. Ibra capiva. “Allora pensaci su e poi mi fai sapere, ma se vuoi lavorare con me devi fare come dico io”. “S’intende”. “Dovrai vendere tutte le tue macchine, tutti i tuoi orologi e cominciare ad allenarti tre volte più duramente, perché adesso la tua statistica fa schifo”. Non era il genere di incontri che è facile mettere in preventivo, così come Raiola non era il solito agente, ma per quanto dure e pesanti fossero le parole del campano, Zlatan riflettè e capì che erano giuste. “Cominciai ad andare in giro con la noiosissima Stilo del club, ripresi l’abitudine di indossare la tuta e capii di essere stato poco esigente verso me stesso. Non ero sufficientemente motivato, cominciai a dare tutto quello che avevo negli allenamenti e nelle partite, ma non è facile cambiare nell’arco di una poche settimane, Mino mi stava addosso come una sanguisuga”. “A te piace quando ti dicono che si il migliore”, diceva Raiola, Ibra rispondeva che sì, gli piaceva, ma quello aggiungeva: “Non è vero, tu non sei il migliore, sei una merda, non sei niente, devi lavorare più duro”. Lo svedese ribatteva: “La merda sei tu, non fai altro che lamentarti. Vieni tu ad allenarti”. Poi si mandavano a quel paese, il rapporto si faceva teso, tesissimo, ma poi ai due bastava guardarsi per comprendersi meglio. Era solo l’inizio di un’epopea, monografica, internazionale, basata sulla classe, sul lavoro ma anche sull’astuzia e sull’ambizione. Raiola-Ibra è la storia di un rapporto professionale, legato al mondo del calcio, tra i più solidi e fortunati della storia. Da Amsterdam in avanti nulla sarà più come prima, nulla sarà definitivo, nulla sarà monocromatico, ma tutto sarà sempre e comunque fantastico.

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