Il Milan fallisce, senza troppe sorprese, il primo match point per il terzo posto. Il trofeo Berlusconi test probante per capire chi parte e chi resta?

Il Milan fallisce, senza troppe sorprese, il primo match point per il terzo posto. Il trofeo Berlusconi test probante per capire chi parte e chi resta?
© foto di Giulia Polloli
lunedì 3 novembre 2014, 10:57Milanello in rosa
di Giulia Polloli

“Per la prima volta tutto dipende da noi”. Così aveva detto Pippo Inzaghi nella conferenza alla vigilia della gara contro il Palermo. Con il destino nelle proprie mani, il Milan ha fallito l’occasione più importante di questi primi mesi di campionato: agganciare la Sampdoria al terzo posto per poi incontrarli nello scontro diretto della prossima giornata. La carica del Palermo, trascinato da un Dybala esaltante e dal giovane Lazaar che si insinua in ogni zona del campo, non lascia scampo al Milan, incapace di riprendersi dopo il doppio svantaggio subito nell’arco di tre giri d’orologio. A dire il vero, la partita è iniziata subito in salita per i ragazzi di Inzaghi, che dopo solo un minuto sono costretti a correre ai ripari per un problema muscolare ad Alex, costretto ad abbandonare il campo. La stanchezza accusata nelle scorse settimane, magari non sarà la causa del dolore lancinante che lo costringe ai box e che proietta un Zapata spaesato al centro della difesa, ma le parole di Inzaghi all’indirizzo della disponibilità del suo giocatore hanno lanciato oscuri presagi.

Zapata entra senza avere nemmeno il tempo di scaldarsi, Inzaghi in conferenza accenna ad un dolore che ne ha condizionato i primi interventi: certo è che a beneficiare di questa emergenza è il Palermo che prima, proprio grazie ad un intervento scomposto dello stesso Zapata e poi grazie al suo scivolone in area, trova due gol  che consentono di gestire la partita al meglio. Non è questione di destino, moduli, entusiasmo mancato: il Milan aveva lanciato segnali d’allarme già nelle scorse gare quando, l’appuntamento con la vittoria e le buone prestazioni, non si sono concretizzati. Troppo facile puntare il dito contro gli errori dei singoli, più difficile è trovare un motivo plausibile per un insufficiente stato di forma, sia fisica che mentale. L’attacco più prolifico del campionato è seguito a ruota da una difesa vulnerabile e da un centrocampo di quantità, che però non riesce a dettare i tempi per le manovre. Non basta poter schierare un reparto avanzato di qualità, se poi mancano il dialogo, la forza fisica che consente di sbaragliare le linee di chiusura avversarie e che, di solito, consente a più uomini di arrivare almeno a ridosso dell’area. I dati relativi agli attacchi del Milan sono desolanti: solo due i tiri nello specchio della porta difesa da Sorrentino, che proprio a S.Siro ha festeggiato le duecento presenze in serie A e altri cinque tentativi offensivi. Troppo poco per una squadra che, comunque, è proiettata, dalla classifica, a poter ottenere buoni risultati. Inzaghi si assume le responsabilità del risultato e della carenza di idee, fa da scudo ai suoi ragazzi, ma in molti frangenti non può essere abbastanza convincente. Torres ha lavorato per la squadra, ma rimane pressoché impalpabile. Menez ha raccolto qualche applauso durante il primo quarto d’ora, salvo poi eclissarsi senza più riuscire a trovare quei guizzi che avevano mandato in ebollizione il sangue dei tifosi rossoneri. Honda ha bisogno di poter rifiatare per trovare la condizione migliore, quella che gli ha consentito di far breccia tra i pali dei portieri: lo dimostra la punizione calciata nel finale di primo tempo, quando la palla si deposita leggera sulla barriera avversaria. Manca il coraggio di assumersi la responsabilità di un gesto egoistico, a volte: calciare in porta per mettere alla prova la tenuta del fortino avversario. Spesso al limite dell’area si scarica al compagno o si perde l’attimo vincente per sorprendere il portiere avversario. Qui bisogna migliorare, ma non solo qui. I quattro attaccanti buttati in campo contro il Palermo, a prescindere dallo schieramento tattico, non hanno saputo organizzare la loro presenza in campo. In panchina, forse per la prima volta in stagione, si è visto un Inzaghi in difficoltà. A volte il sentore che  permette di commentare le sue scelte, porta a pensare che l’allenatore rossonero, volente o nolente, sia legato ad alcuni uomini chiave, senza i quali vengono letteralmente scardinate tutte le sue certezze. L’assenza di Muntari non è stata sopperita da un Poli troppo spesso evanescente e da Saponara al suo rientro dopo mesi di inattività. A dire il vero quest’ultimo ci ha provato, soprattutto all’inizio, a creare quelle trame di gioco che l’avevano reso famoso. Anche in questo caso, si continui a parlare al passato. Manca qualità, lo sottolineo, nella zona mediana. Il rientro di Montolivo, a questo punto della stagione, viene visto come manna dal cielo. Anche Van Ginkel ha voglia di dimostrare il suo valore e la partita in programma mercoledì sera, il trofeo Berlusconi, potrebbe diventare il trampolino di lancio di molti degli esodati. Ci si chiede perché, Armero, Zaccardo, Albertazzi, Essien, Niang, lo stesso Pazzini non abbiano trovato più spazio. Concludo come avevo iniziato: “ora sono loro ad avere in mano le chiavi del loro destino”.