Lotte di potere e volontà di rinascita. Il nostro calcio ha bisogno di volti ed idee nuove

Lotte di potere e volontà di rinascita. Il nostro calcio ha bisogno di volti ed idee nuove
© foto di Giulia Polloli
lunedì 7 luglio 2014, 00:00Milanello in rosa
di Giulia Polloli

Mi scuserete se inizio questo mio scritto con considerazioni che vanno oltre il mero interesse rossonero. Voglio fare una riflessione sul ciclone che ha investito il nostro calcio la sera stessa dell’eliminazione dai mondiali brasiliani. Mi ero già soffermata sull’azione dimissionaria comunicata in mondovisione da Prandelli ed Abete. Non tornerò sull’argomento, ma sulla serie di eventi che sono scaturiti, abbastanza naturalmente da quell’atto. Oltre alla creazione di fazioni opposte, sull’opportunità di lasciare la Nazionale in balìa degli eventi direttamente dal Brasile, si è creata subito la lotta per la successione. La poltrona di Abete è ovviamente merce pregiata, soprattutto per chi va in cerca di un saldo scranno da cui potersi ergere di fronte alla folla, distinguendosi dalla massa grazie ad un ruolo che consente di plasmare il futuro del nostro calcio. Qui sta il nocciolo del problema. Le candidature emerse, in verità direttamente dalle stanze del potere, non racchiudono intrinsecamente il senso di cambiamento del quale dovrebbe nutrirsi il nostro calcio, giunto ad uno dei punti più bassi degli ultimi anni. Il valzer delle poltrone, che interesserebbe ad esempio la candidatura di Tavecchio al ruolo di vertice del calcio nazionale, non implica quella ventata di novità da cui ripartire. L’attuale presidente della sezione dilettantistica del nostro calcio è parte imponente del sistema politico di uno sport che ha bisogno di nuovi stimoli e non di nuovi padroni. Si è parlato tanto della necessità di dare una svolta, della necessità di trovare nuove idee per svecchiare ed alleggerire il sistema, si è parlato dell’ingresso di volti nuovi, di persone che al calcio hanno dato molto, ma che poi sono stati lasciati pascolare in campi di periferia, senza aver la possibilità reale di mettere la loro competenza al servizio del movimento nazionale. Non mi prodigherò nell’individuazione di un nome adatto, non ho una conoscenza così ampia del sistema per potermi arrogare il diritto di giudicare l’operato di persone delle quali conosco troppo poco. Ritengo però che le ipotesi fatte sino ad ora non rappresentino un vero cambiamento, ma solo uno slittamento tra poteri forti.

Paradossalmente le dinamiche del Milan che sta nascendo possono essere assimilate allo stato di incertezza trovato a livello federale. Per ciò che riguarda la società rossonera, c’è un punto di partenza di assoluta novità: Filippo Inzaghi. La sua escalation dal campo, alla panchina delle squadre del settore giovanile, fino all’approdo in prima squadra è un processo positivo. Inzaghi ha dimostrato sullo stesso campo che l’ha consacrato tra i campioni, di avere le potenzialità, il carisma, la passione per poter diventare un punto di riferimento nella ricostruzione del Milan. L’analogia di cui parlavo non riguarda il nuovo tecnico rossonero, ma le ormai logore dinamiche che si trovano a lottare, in una sorta di monologo amletico, tra la necessità di cambiamento, pur a costo di qualche insuccesso e, invece, la naturale propensione ad essere subito competitivi o almeno a sembrare tali. Come già più volte ho sottolineato, mi piacerebbe, nonostante io sia tifosa e come tutti i tifosi vorrei veder  primeggiare la mia squadra a qualsiasi costo, assistere alla presa di coscienza pubblica dei propri limiti, ovviamente contestualizzati ad un particolare momento storico. Così come capita all’estero vorrei vedere una programmazione a lungo termine, che solo alla fine del percorso possa rilanciarci completamente nel novero delle squadre più competitive. Le mosse di mercato del Milan mi fanno pensare ad una sorta di azione tampone. Una dinamica del tipo: vorrei ripartire da zero, ma non posso permettermi di star lontano dai vertici del calcio. Le motivazioni le conosciamo tutti, il dio denaro derivante dai piazzamenti champions è manna dal cielo per la programmazione delle stagioni future. Ma così si rischia di lasciare l’opera incompleta.  Il Milan non può più permettersi di competere ad armi pari sul mercato, come avveniva fino ad un decennio fa. Il Milan ha la necessità di scovare talenti low cost, ma non solo parametri zero che poi vengono messi a libro paga con pesanti ingaggi, dei quali difficilmente ci si riesce a liberare in caso di bisogno. Il motivo per cui il Milan è sedentario in questa fase di mercato, anche nei confronti dei riscatti di giocatori che hanno dimostrato il loro valore sul campo, è noto.  A fronte di una rosa corposa ed onerosa, di fronte alla difficoltà nel piazzare giocatori che ormai non sono più adatti al progetto Milan, non ci sono risorse per investire in nuovi talenti. A meno di un intervento pesante da parte della società. Cosa che, nonostante le intenzioni, rimarrà alla stregua di un miraggio.