FLY EMIRATES, IL FUTURO

FLY EMIRATES, IL FUTUROMilanNews.it
© foto di Giacomo Morini
giovedì 30 aprile 2009, 10:13Il Punto
di Milannews Redazione
fonte di Francesco Letizia per TMW

D.I.C. è una sigla che a Liverpool conoscono bene: per diversi mesi queste tre lettere hanno fatto sognare ad occhi aperti i Reds anche se ben intesi, banche e debiti permettendo, dell'attuale proprietà americana ad Anfield non ci si può certo lamentare. "Dubai Internacional Capital" è una società, ramo della "Dubai Holding", che aveva deciso di investire sul plurititolato club inglese: un affare da 400 milioni di sterline saltato solo a causa della forte confusione ai vertici della società, tra Tom Hicks, George Gillett e Rick Parry. L'uomo (anche se, in questo caso è giusto parlare di famiglia e non di singolo) che si cela dietro questa società è Mohammed bin Rashid Al Maktoum: un nome che non dice nulla ai più, ma una vera e propria istituzione politica nei paesi mediorientali. Si dà il caso che "Big Mo", come viene soprannominato dai suoi fedeli, sia l'Emiro di Dubai, nonchè di conseguenza (secondo accordi alla base della Federazione) il Primo Ministro degli Emirati Arabi Uniti: un Paese ricco di petrolio, il più occidentale e probabilmente anche il più sicuro, ricco e tranquillo della zona del Golfo Persico. Il capo di stato? Khalifa bin Zayed Al Nahayan. Brancolate ancora nel buio? Vi accendiamo la luce: togliete Khalifa dalla ridondante nomenclatura, aggiungete Mansour... Bingo, questo nome dovreste conoscerlo: in sostanza il fratello del proprietario del Manchester City, l'incubo invernale dei tifosi del Milan, colui che ha salvato Barclays dal fallimento e che ha partecipazioni ovunque, da Ferrari a... Mediaset. Come nel migliore dei gialli, il colpevole è una vecchia conoscenza e non un personaggio a sopresa, ed è questo che dà un certo interesse alla storia: se a Milano sbarcasse in visita di piacere l'equivalente di Totò Le Moko, per ricordare un vecchio film del "Principe della risata", non te lo ritroveresti di certo al fianco di Adriano Galliani a San Siro, in bella mostra, durante Milan-Palermo. Ed invece sulla poltroncina d'onore nera a profili rossi, c'era uno dei figli del suddetto "Big Mo" (ci scusi lo Sceicco se abbreviamo per comodità):conoscendo Adriano Galliani, vecchia volpe in cerca d'affari specie in tempo di -66 (milioni, non punti nè gradi), non può essere un dettaglio da archiviare con la semplice scusa dei contratti pubblicitari per Beckham, o del vedere quanto è bella la Madunina ad Aprile. EK091, altra sigla, altro enigma: è verosimilmente il volo con cui l'importante esponente della Famiglia (a proposito, i figli maschi sono 7 e di cui uno campione di skeet e partecipante alle passate Olimpiadi, perdonateci se non siamo riusciti ad individuare quello giusto) è sbarcato a Malpensa. E' la chiave di tutto, anche se sembra un dettaglio da minuzioso narratore: il volo è Fly Emirates, guardacaso (ma non troppo) la compagnia di bandiera degli EAU.

Fly Emirates come la maglia dell'Arsenal. Come quella del PSG, come quella dell'Amburgo; come il main sponsor di New Zealand. Emirates come l'Emirates Stadium. Come anticipato qualche mese fa da MilanNews (notizia poi ripresa dai media nazionali, pur senza la citazione, ahinoi), c'è odore di nuova sponsorship sulla maglia rossonera: battere ogni record, raddoppiare i 10 milioni di Bwin, è l'obiettivo di via Turati. Tanto rumore per un contratto di sponsorizzazione? Forse, ma qui rilanciamo: il -66 pesa più di qualsiasi distacco dai cugini dell'Inter accumulato nelle ultime tre stagioni, e non, sia ben chiaro, per disimpegno della Proprietà, ma per effettivi limiti della struttura della società. Non ci giriamo troppo intorno, la ricetta si chiama stadio di proprietà, come ripetuto più volte da Galliani: quale miglior occasione da sfruttare che l'innamoramento degli Sceicchi per il Milan? 100 milioni di pounds (quasi il 30% del totale dei costi) per 15 anni di "affitto" al nome per l'ex Ashburton Grove diventato Emirates Stadium: pesando i blasoni di una squadra che non ha mai vinto una Champions League contro la seconda dell'albo d'oro, il Milan può ottenerne almeno il doppio per la costruzione, in due anni, di un gioiellino simile a quello londinese, che porta incassi ai Gunners per 119 milioni di euro, contro i 26 di San Siro. Per intenderci, a parità di condizioni, il bilancio approvato l'altro giorno si trasformerebbe virtualmente da un -66 ad un +27 solo con lo stadio. Più complesso il discorso partecipazione in società: "il Milan ai Milanisti" è una politica che non vale solo per la panchina, ma in primis per la società e nessuno può garantire al Milan un futuro migliore del Presidente Silvio Berlusconi stesso. Più facile invece che si apra uno spiraglio per una quota di minoranza, con sostanziale impotenza da un punto di vista esecutivo, ma soldi freschi per il bilancio e grande pubblicità per gli Emiri. Insomma, il vecchio detto diceva "Se Maometto non va alla montagna, la montagna va da Maometto": il Milan da Maometto ci è andato per ben due anni in ritiro invernale, e ora può ricevere la visita ricambiata, con tanto di montagna... Di petrodollari. E se i condizionali diventassero indicativi, il merito principale sarebbe della pietra dello scandalo, l'affare Kakà: chi l'avrebbe detto che i Milanisti un giorno avrebbero persino dovuto ringraziare Mansour ed il Manchester City delle tanti notte insonni di gennaio...