Principi rigidi..che guaio! 22 milioni e le commissioni. Le intenzioni fallite di Cardinale. Il Milan società sana, ma non ricca

"I am a man of fixed and unbending principles, the first of which is to be flexible at all times". Ho voluto mettere in lingua originale questa frase del Senatore Repubblicano Everett Mckinley Dirksen. Non ci possono così essere equivoci nella traduzione, visto che è indirizzata alla dirigenza del Milan, che l’inglese lo conosce bene. “Io sono un uomo di principi rigidi e immutabili, il primo dei quali è quello di essere ogni volta flessibile".
Mi sono venute in mente queste parole, quando ho letto che nelle due partite di Champions League, disputate a San Siro, l’Inter abbia incassato circa 22 milioni di euro. Quanto il Milan ha risparmiato per non aver concesso un congruo aumento di stipendio a Calhanoglu, a Kessiè, con annesse le commissioni agli agenti o al rappresentante di Marcus Thuram, arrivato a costo zero, è più o meno quello che avrebbe visto ritornare in cassa, costruendo una squadra forte, da quarti e semifinali di Champions. Perché? Per principio, mai le commissioni!
Si è usata la tattica non la strategia. La differenza è nota a tutti. La tattica è una politica dei piccoli passi, che ti porta a conseguire obbiettivi ridotti. La strategia è vincente, vuole dire adottare un piano a lungo termine, ad ampio respiro. Forse era l’intenzione ambiziosa di Gerry Cardinale, ma fallita. Almeno per ora. Nel settembre del 2023, il proprietario di Redbird in una delle sue rarissime interviste ai media italiani, infatti affermò categorico: ”Voglio cambiare il calcio italiano“.
Per quanto riguarda la società rossonera era meglio non cambiare nulla. I suoi propositi sono infatti miseramente naufragati, perché il Milan, con una rosa forte, ma mal guidata sotto tutti gli aspetti, manageriali e tecnici è nono in classifica, alla “disperata” e triste caccia della posizione numero otto in classifica che gli eviti le partite dei primi di agosto. Uscito malissimo dalla Champions League, dopo aver perso contro la Dinamo Zagabria. Con l’obbiettivo certo di vincere la Coppa Italia, il trofeo che come disse una volta Ancelotti, interessa solo a chi lo vince.
Ora il compito si è ancor più complicato perché, come ho detto già in questa rubrica, non sì è capita la differenza tra costi e investimenti. E più grave perché il Milan è guidato da uomini di alta finanza. Non rendersi conto, se non solo a parole che era vietato, assolutamente vietato, scendere dal treno della Champions, perché si sarebbe rischiato il disastro, è stato l’errore più grave. Per evitarlo era sufficiente poco. Innanzitutto meno presunzione. Poi uomo esperto nel mercato, un allenatore italiano, di alta caratura internazionale, un direttore dell’area tecnica di spessore condito tutto da un pizzico di milanismo e due o tre giocatori di livello. Anche dal costo superiore ai 30 milioni. Un confine più protetto di Check Point Charlie. A tale proposito tornare sulla prima frase del pezzo.
Attendiamo con passione, dunque la partita di finale di Coppa Italia. La vittoria sarebbe una gioia per tutto il popolo rossonero, dopo mesi tribolati, vissuti tra Scilla e Cariddi nei giorni di tempesta. Poi però, la mattina dopo, guardando il futuro, torneranno le preoccupazioni. Nulla si saprà sulle strategie di uomini più avvezzi alle tattiche. Sul budget senza Champions, sul futuro assetto manageriale e tecnico sui rinnovi. A proposito, aspettavo oggi l’annuncio di quello di Maignan, portiere sottopagato viste le sue qualità degne dei cinque più forti al mondo. Credo che si dovrà ancora aspettare. Il verbo da sempre più di moda in Casa Milan. Con il rischio di perderlo, cadendo negli errori del passato. A causa di ancora vecchi e perdenti principi.
Ho ancora la speranza, si sta però affievolendo, che abbia avuto torto un mio amico, che, qualche tempo fa mi disse: "Caro Carlo, il Milan è una società sana, ma non è una società ricca!" E senza Champions League lo sarà ancor meno!

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