L'anticipo di Galli - Il paradosso di Theo: troppo forte, troppo inaffidabile

Sapevamo da tempo che Theo Hernandez non avrebbe fatto parte del progetto tecnico del nuovo Milan targato Tare-Allegri. La sua partenza verso l’Arabia è divisiva: per alcuni si tratta di una grave perdita; per altri una decisione necessaria. In molti speravano che lo strappo con il club potesse ricucirsi; altrettanti o forse più, che il nostro difensore di fascia spesso accostato - per me in maniera eccessiva - a Paolo Maldini, partisse per nuovi lidi consentendo un congruo incasso dasommare a quanto ricevuto dal Man City per la vendita di Reijnders, così da poterci muovere sul mercato con forza e, soprattutto, con solerzia.
Per i primi Theo era una forza della natura, inarrestabile sulla fascia sinistra, capace, spesso con la collaborazione di Leao, di rompere gli equilibri creando superiorità numerica, un piede mancino educato ed efficace, un assaltatore come l’ha ben definito l’amico Di Maso. I numeri parlano a suo favore: 34 goal e 45 assist in 6 stagioni, equamente distribuiti nonostante si sottolinei da più particome le ultime due stagioni siano state le peggiori dal punto di vista del rendimento: un rendimento deludente, inutile dirlo, anche a causa delle cattive prestazioni della squadra, di cui Theo è stato ora corresponsabile, ora capro espiatorio, in una combinazione di cui è difficile (e forse inutile) distinguere cause ed effetti.
Per coloro che sono più critici, e mi ci metto anch’io, Theo ha sempre peccato dal punto di vista difensivo, lì dove lo strapotere fisico è importante ma non è tutto, dove occorre lucidità e contezza dell’intorno, dove l’attenzione non può mai calare, dove ogni istante può essere decisivo e può valere un goal salvato o subito. Non abbiamo dati a sostegno, ma abbiamo nella nostra memoria quanto spesso abbia sbagliato i posizionamenti, le letture di traiettoria della palla, dello sviluppo offensivo del gioco da parte degli avversari. A tutto ciò si aggiunga la mancanza di un’abilità fondamentale per il difensore moderno da grande club: la proattività, ossia la capacità di prevedere quando la propria squadra, in fase di possesso, può perdere palla e quindi di posizionarsi in anticipo per riconquistarla o per non concedere lo spazio alle proprie spalle in cui gli avversari possano inserirsi. Troppe volte lo abbiamo visto dover rincorrere l’avversario a causa di questa negligenza: e, quel che è peggio, è che sembra quasi che col tempo i difetti si siano acuiti invece di ridursi, forse anche a causa di un atteggiamento un po’ guascone (a essere benevoli).
Sappiamo, insomma, che non sarà facile trovare un sostituto che sappia esaltare il pubblico così come ha saputo fare Theo in questi anni con le sue imperiose ripartenze e sappiamo anche che chi arriverà sarà sottoposto al confronto con “Ruota fumante”, non dalla prima partita ufficiale ma dalla prima partitella di allenamento, magari a ranghi ridotti.
Sappiamo anche, però (e dal mio punto di vista la fiducia sarà massima fino a prova contraria), che i garanti del progetto tecnico, Tare ed Allegri, non solo sapranno scegliere gli interpreti ma sapranno creare il clima di lavoro giusto per la rinascita rossonera, una “conditio sine qua non”, affinché tutti i giocatori possano trovarsi nel contesto migliore così che il loro talento si mostri in tutta la sua essenza cosa che da troppo tempo non vediamo e che, come più volte detto, non è da imputare soltanto ai giocatori e allo staff tecnico ma alla società in toto.
Insomma, nel paradosso di Theo – troppo forte per essere ceduto a cuor leggero, troppo inaffidabile per lasciare dei veri rimpianti – si legge il paradosso di un gruppo formato da buoni e ottimi giocatori, ma che non è mai riuscito a essere squadra fino in fondo: quante volte nell’ultimo anno abbiamo pensato “stiamo perdendo contro una squadra che è costata tutta intera come un nostro giocatore”? Allora grazie di tutto, Theo: ci hai entusiasmato, ci hai fatto divertire, ci hai resi orgogliosi. Ma adesso è il momento della squadra, più che dei solisti.
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