G. Galli: "Decisiva una riunione con Sacchi dopo la nebbia di Belgrado, ci chiamo all'una di notte"

Giovanni Galli, ex portiere rossonero, è intervenuto in una diretta Instagram con Carlo Pellegatti. E' stata l'occasione per ripercorrere tappe storiche dell'avventura in rossonero dell'estremo difensore rossonero.
Sulla finale col Benfica del 1990: "Eravamo in un momento difficile, venivamo dalla sconfitta in finale di Coppa Italia, la sconfitta di Verona... Doveva essere la stagione con il maggior numero di trofei che avremmo potuto vincere, la Supercoppa Italiana, la Supercoppa Europea e la Coppa Intercontinentale. Sarebbe stato uno strike storico, inimmaginabile. Perdemmo la finale di Coppa Italia, ci fu la sconfitta di Verona che tutti ricordiamo. Noi fummo bravi, trovammo una squadra molto organizzata e la colpimmo come loro avrebbero voluto colpire noi. Il loro gioco era appoggiarsi sulla punta e favorire gli inserimenti del trequartista, invece fummo noi bravi a sfruttare la stessa situazione di gioco, con Rijkaard che sfruttò un'apertura di Van Basten. Fu una partita ricca di emozioni e di tensione, non giocavo in campionato, facevo solo la Coppa. Decisi che il mio percorso col Milan era terminato, andai in sede e feci presente dell'opportunità che mi si era presentata. La società fece scegliere l'allenatore che mi fece giocare quella partita. La curva continuava a cantare Giovanni Giovanni Giovanni. Quando finì la partita mi misi a sedere sul palo della porta, mi lasciai andare perché la tensione era stata tanta. Ruud ebbe un infortunio, quando si fece male gli dissi che avrei portato il Milan in finale anche per lui. Mi vide seduto al palo, fece 50 metri e mi abbracciò. Un compagno straordinario".
Sulle sfide col Malines ai quarti di finale: "Pensando al Malines si pensa ad una squadra di secondo piano, ma chi disputava la Champions erano solo le squadre che avevano vinto il campionato. Era la squadra che dava il maggior numero di giocatori alla Nazionale belga. Noi giocammo i quarti di finale con la Nazionale belga, non con il Malines. Era la squadra più forte del Belgio, soffrimmo in maniera incredibile all'andata, soffrimmo molto anche al ritorno, tant'è che vincemmo ai tempi supplementari".
Sugli ottavi contro il Real Madrid: "In un ottavo di finale di solito trovavi una squadra di seconda fascia, la successiva abbiamo incontrato il Real. C'erano un po' di conti in sospeso. La prima gara vincemmo 2-0 a San Siro. Al ritorno i giocatori del Real battevano le mani contro una rete metallica per intimorirci. Mai mi sarei aspettato questo atteggiamento da provinciali da una squadra storica e campione, dove cercano di farti paura per poterti battere".
Sulla Stella Rossa e le due partite: "La Stella Rossa era stile Malines ma più cattiva. In difesa erano dei picchiatori, non avevano paura. Ricordo quella gara per diverse cose, la meno piacevole l'incidente a Donadoni, sfiorammo il dramma. Quando entrammo la prima sera, quella della nebbia, lo stadio era strapieno. All'1 di notte dopo la gara arrivò una chiamata di Arrigo, chiamò 4/5 giocatori, ci riunì, ci guardò in faccia e ci chiese: "Cosa dobbiamo fare per vincere?". Le nostre risposte lo rasserenarono. Gli rispondemmo: "Dobbiamo giocare come sappiamo, dobbiamo tornare ad essere il Milan". Il giorno prima c'era l'assillo e avevamo perso. Senza Virdis, Ancelotti squalificati, senza Gullit infortunato, senza Donadoni... Non avevamo niente da perdere. Dovevamo giocare a viso aperto senza aspettarli. Questo mise Arrigo nella condizione di trasformare quella che era una preoccupazione in un aspetto positivo. All'uscita dal centrocampo andavamo sempre a cercare Marco spalle alla porta, l'avversario con la scusa di cercare la palla gli prendeva sempre la caviglia. Quella partita la giocò al 30%. La seconda volta si ribaltò la gara, giocammo noi a rincorrere la porta avversaria e Marco giocò una gara straordinaria".
Su Marco Van Basten e Maradona: "Van Basten era l'eleganza assoluta. Quando lo vedevi correre in mezzo al campo sembrava l'artista Bolle. Anche in allenamento, era tutto eleganza. Un altro giocatore elegante come Van Basten era Antognoni. Giocava a calcio guardando le stelle. Marco si è rivelato più determinante, Antognoni ha vinto la Coppa del Mondo. Per lui fare tre gol in una partita o sbagliare un calcio di rigore era la stessa cosa, sembrava che non avesse emozioni. Giocava a calcio e dipingeva, questo era Marco Van Basten. Maradona era un talento assoluto, le poche volte che veniva ad allenarsi, poi era all'ultimo anno, mi divertivo da matti. Avevo il pallone in mano, per sorprenderlo mi girava le spalle, io prendevo il pallone, lo lanciavo, gli arrivava veloce a due metri e lui lo rendeva giocabile in qualsiasi modo. Con qualsiasi cosa di sferico, se gli tiravi una pallina da tennis o un melone era la stessa cosa. Le belle sfide con lui erano durante gli allenamenti, quando veniva era come portare un bambino alle giostre, non voleva più andare via. A volte facevamo accendere i fari, il problema era portarlo al campo, non farlo andare via":
Sulla settimana prima di Napoli-Milan nell'88: "Abbiamo parlato di un particolare che ci ha portato a quella partita. Berlusconi voleva mettere un uomo sul palo, ebbi con lui una discussione, gli dissi: "Noi abbiamo la barriera a nove metri, se io metto un uomo sul palo, i giocatori mi vedono tutti davanti e non vedo la palla". Siamo stati una settimana a discutere su questa cosa qua. Quando ho preso gol, mi sono seduto al palo, a pensare cosa mi avrebbe detto il presidente dopo, ma non mi ha detto niente, anche perché abbiamo vinto meritatamente. Maradona segnò, in barriera c'erano Virdis e Gullitt: Virdis salta, la palla passa sopra la testa di Virdis e si disegna una parabola che va all'incrocio dei pali. Tanto di cappello".
Su Roberto Baggio: "Lui a 17 anni si è rotto il crociato. Aveva questa grande sofferenza, ha giocato una carriera, facendo quello che ha fatto, con un ginocchio disastrato. Non voglio togliere niente a nessuno, nel calcio italiano ci sono stati tantissimi campioni, Baggio è qualcosa al di sopra. Aveva tecnica, aveva forza, era geniale. Ancora ho negli occhi il gol che fece con il Brescia alla Juventus. Quel gol lo fa solo chi ha la magia nel cervello e nei piedi".
Su Milan-Steaua: "Ero uno dei 90.000, non che in quella finale abbia fatto moltissimo (ride ndr). Il portiere non deve essere protagonista per forza. Quando è chiamato in causa deve rispondere, l'importante è la partecipazione che hai alla partita. Devi vivere la gara nella sua interezza, in tutte le sue sfaccettature. Non devi essere protagonista per forza, il voler essere protagonista ti porta ad eccedere, questo non serve".
Su Kakà: "Con Kakà non ho giocato, ma avevo un'adorazione per questo giocatore, era elegante, a parte la fisicità era elegante nel giocare. Lui aveva la capacità di saper leggere la partita. Sono quei giocatori che hanno qualcosa in più".
Su Milan-Liverpool ad Atene: "Che gioia. Partita sofferta, gli inglesi a volte diventano troppo presuntuosi. Credo che abbiano pagato caro questo, il fatto di aver vinto precedentemente".
Su Inzaghi: "Pippo è stato un centravanti particolare, ti sfido ad andare a vedere i suoi gol, non ce n'è uno da fuori area con palla a terra. Oppure un gol dribblando due avversari in area, aveva la capacità di leggere dove sarebbe andata la palla, poi non gli dovevi chiedere alto".
Sulla finale del 1994: "Dalla semifinale, quando Capello sapeva che non avrebbe avuto Costacurta e Baresi, giocò 3/4 partite per cercare di sistemare la difesa. In quella partita ha potuto giocare sull'avversario. Ha trovato tutte le contromosse per poter vincere quella partita. In Italia abbiamo una scuola di allenatori preparati, il nostro campionato è il più difficile in assoluto, l'allenatore che vince in Italia ha conoscenze".
Su Rui Costa: "Le mie figlie sono diventate tifose della Fiorentina e del Milan per via di Rui Costa. Era un faro che si muoveva in mezzo al campo, se avevi bisogno di un passaggio sapevi che c'era lu"i.
Su Savicevic: "Era un genio, un altro alla Maradona. Quei giocatori che hanno talmente tanto talento che a volte diventano pigri. Savicevic è stato un grande, ma se avesse avuto voglia di migliorarsi sarebbe diventato un giocatore da ricordare nei secoli dei secoli".

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