LA LETTERA DEL TIFOSO: "Il racconto di un milanista in quarantena" di Michael Dossena

LA LETTERA DEL TIFOSO: "Il racconto di un milanista in quarantena" di Michael Dossena
lunedì 16 marzo 2020, 18:30La lettera del tifoso
di Pietro Andrigo

Da dove possiamo partire? 
Giovedì 20 Febbraio 2020, normale serata nel nostro bar, solite chiacchiere, solita gente. Si parla di tutto, come sempre, e si parla anche di calcio, di Milan. Io e i miei amici rossoneri siamo appena stati allo stadio il lunedì precedente, e abbiamo assistito ad una buona vittoria col Torino. Rebic ha matato il Toro. Avanti così. Nessuno di noi immaginava cosa sarebbe successo il giorno dopo, nessuno. Il risveglio è traumatico: un ragazzo, 38 anni, è ricoverato all’ospedale di Codogno, a pochi chilometri dal nostro paese. E fin qui, direte, che c’è di così speciale? La diagnosi è incredibile: coronavirus, l’epidemia scoppiata a Wuhan, nella lontanissima Cina, è arrivata in Europa, in Italia, nella bassa lodigiana. A pensarlo viene da ridere, o da piangere, dipende dai punti di vista. Le reazioni, sanitarie, politiche, governative dei giorni seguenti tutti le sappiamo. La mia piccola città, Casalpusterlengo, diventa, insieme ad altre 9 città del basso lodigiano e ad una città sul padovano, zona rossa. Cosa significa? Non si può entrare, non si può uscire, tutto è chiuso, eccezion fatta per supermercati e farmacie. Per 14 giorni. Vi lascio immaginare le sensazioni che ognuno di noi può aver provato. 
Da quel maledetto 21 Febbraio, la nostra vita è stata stravolta, in tutto e per tutto. Studio, lavoro, vita sociale. Tutto in stand-by. Tutto.
L’unico spiraglio di normalità viene dato dalla Serie A, dal calcio, dal Milan. O almeno così credevo inizialmente. Sabato 23, Fiorentina Milan. Una partita paradossale. Da lì, sono iniziate sospensioni a catena, da lì tutti hanno iniziato a capire che la situazione era grave, che non si limitava ad una piccola zona della bassa Lombardia. L’unico pensiero che mi ha allietato i primi giorni è stato “beh, domenica c’è l’AC Milan, almeno potrò avere un paio d’ore in cui non pensare a nulla, in cui potrò staccare il cervello, dopo giorni di puro inferno”. Poi, tutto il mondo, sportivo e non, ha iniziato a capire un concetto semplice, elementare, ma che a volte sfugge un po’ troppo: nessuno vive in una bolla isolata, soprattutto in situazioni come queste.
Milan Genoa si gioca, no non si gioca, sì a porte chiuse, no a porte aperte, poi non si sa, un giorno così, il giorno dopo cosà. Rinvio al lunedì successivo, poi no Sabato, poi Domenica pomeriggio, a porte chiuse. Sta bene. Prima, nel bel mezzo della settimana, si deve giocare una semifinale di Coppa Italia, a Torino, contro la Juventus. Si gioca, tutti sono concordi nel dirlo, io mi preparo ad alleviare la pesantezza dei 13 giorni passati in isolamento col resto del mondo. Dicono addirittura a porte aperte, ma senza tifosi provenienti dalla Lombardia. Non ne capisco il senso, ma tant’è. Io voglio solo vedere il mio Milan. Il giorno prima arriva la news, si gioca, ma a porte chiuse. Giusto, penso. 
I Mister parlano, la squadra si prepara e parte, arriva a Torino. 
Dopo poco, ennesima notizia: non si gioca più, semifinali rinviate a data da destinarsi.
Mi cade il mondo addosso; non fraintendetemi, ho compreso la situazione, ho compreso la gravità del momento. In quel momento volevo solo non pensare. Si arriva alla Domenica prefissata per Milan Genoa. San Siro vuoto, partita persa. Lì realizzo. Il calcio si deve fermare. Il calcio deve essere sfogo, passione, divertimento. Se ciò, per ovvi motivi sanitari, non può avvenire, è giusto fermarsi, cedere il passo. Il Milan, il calcio, sarebbero sicuramente un aiuto per tutti noi. Ma c’è poco da fare, ci sono interessi in gioco molto più importanti. C’è la salute, valore costituzionalmente preponderante. La mia riflessione è una: chi dovrebbe decidere delle sorti del Calcio cosa aspettava a prendere una decisione? 
Diceva Freddie Mercury “the show must go on”. Non sempre. A volte lo show, il carrozzone, deve fermarsi. E cedere il passo.

Michel Dossena