Sacchi: "Il mio Milan è stato un leader positivo per tutto il calcio italiano"

Sacchi: "Il mio Milan è stato un leader positivo per tutto il calcio italiano"MilanNews.it
lunedì 6 dicembre 2021, 13:10Le Interviste
di Antonio Tiziano Palmieri

Arrigo Sacchi, storico allenatore del Milan all’inizio dell’era Silvio Berlusconi, ha rilasciato un’intervista esclusiva ai microfoni del club rossonero. Intervista pubblicata sui social della società. Sacchi ha parlato del passato e del presente in vista della sfida di domani sera contro il Liverpool, dicendo: “Il Milan è stata la squadra più brava delle italiane e quel Milan ha aiutato molto il calcio italiano. Non è una casualità che dal 1989 al 1999, abbiamo vinto 16 coppe europee. Nella scaletta, questo club è al primo posto con le sue visioni, con la sua competenza, con la sua storia e con il suo stile. ‘Vincere, convincere e divertire’. Quel Milan è stato un leader positivo per tutti. Ha insegnato a tutti che era meglio attaccare che farsi attaccare. Ha insegnato a tutti che era meglio avere il dominio del gioco che lasciarlo agli altri. Il Milan ha insegnato che bisognava lavorare. Inclusione, bellezza del gioco, divertimento e innovazione erano elementi che bisognava cercare. Per me una vittoria senza merito non era una vittoria. Una volta abbiamo vinto 4-0 contro la Roma e ho scritto una pagina e mezza di errori. Tassotti mi fa: ‘Lo sapevo che dovevamo vincere 8-0’. Quando sono arrivato al Milan ho cercato di convincerli. Ancelotti nel suo libro ha scritto che ero così convinto che alla fine li ho convinti tutti. Dovevamo giocare contro il Napoli, contro Maradona…un fenomeno. Gli dissi beh se la palla ce l’abbiamo noi, Maradona non l’avrà. Se quando la palla ce l’hanno andremo ad aggredire il portatore così il suo passaggio non sarà così preciso. E quando la palla ce l’ha Maradona? Saremo compatti in modo da raddoppiare e triplicare. Riempivamo gli stadi dappertutto perché la gente si divertiva. Andammo a Napoli a vincere e vincemmo il campionato, la gente applaudiva. Quando mai capita questo negli stadi italiani? Ma ci sono sempre i momenti difficili. Il presidente della Stella Rossa e il sindaco di Belgrado fermarono il pullman su cui noi stavamo e dissero: ‘Veniamo a salutare i futuri campioni d’Europa’. Noi avevamo dominato a Madrid e riuscimmo a pareggiare, non a vincere. Per 15 giorni ricordai ai miei giocatori che dovevamo fare una grande partita e il 5-0 fu fantastico, li sovrastammo.

Andammo alla partita contro la Steaua. Avevamo giocato il sabato contro il Cesena, che era in lotta per la salvezza. Non facemmo una grande partita e finì 0-0. Dopo le partite tornavo quasi sempre a Fusignano. Arrivo a casa e mia moglie mi dice di chiamare il presidente che aveva chiamato 4/5 volte. Allora per fortuna non c’erano i cellulari, lo chiamo e mi disse che la squadra si era mossa male. Io gli dissi che la mente umana poteva pensare intensamente una sola cosa alla volta. Noi con la testa eravamo già a Barcellona. Avevo letto che giocavamo contro i maestri del calcio ballato e della tecnica e che dovevamo aspettarli e uccellarli. Ma erano due anni che facevamo cose diverse (ridendo…). Mi ricordo che in allenamento si alzò in piedi Gullit e disse che li avremmo attaccati dal primo secondo finché avevamo energie. E così fu. Quella squadra aveva raggiunto una mentalità vincente. Se quella squadra giocava in 30 metri, nessuno poteva batterci. Contro il Benfica arrivammo stanchi nel secondo tempo e li tirammo fuori proprio il meglio. I due difensori centrali seguivano l’uomo e non sapevano staccarsi. Con due passaggi siamo andati in porta con Van Basten che venne in contro e mandò in profondità la mezz’ala Rijkaard. Mi ero raccomandato con Ancelotti che non andasse lui in profondità perché era lento in uno scatto di 50 metri. Erano tutte persone affidabili. Dicono che ci sia una concomitanza fra la grandezza del sogno e la grandezza del lavoro che raggiungi. Noi siamo andati oltre. Un giorno un giocatore mi disse che lavoravamo troppo. E io gli dissi che facendo poco non avevo mai visto ottenere risultati. Poi gli dissi anche che dovevamo divertirci per una proprietà transitiva. Per come riuscivamo a distrarre dalle loro problematiche la gente che ci guardava. Era un gruppo intelligente che ho fatto lavorare molto, andando oltre i sogni, sia a livello collettivo che a livello individuale”.