Il Cholismo al tramonto, portato a scuola di calcio dal Piolismo

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giovedì 25 novembre 2021, 23:11News
di Pietro Andrigo
fonte tuttomercatoweb.com

A furia di ripetere la stessa formula, si rischia di non riconoscersi più. Tra poco meno di un mese, Diego Simeone festeggerà i suoi primi dieci anni alla guida dell’Atlético Madrid. I risultati che ha raggiunto in questo lasso di tempo, specie considerato il duopolio Real-Barcellona, sono qualcosa di impressionante. I Colchoneros non erano la potenza, spagnola ed europea, che sono oggi, prima dell’arrivo del tecnico argentino. La sua guida tecnica è diventata una sorta di oggetto di culto, con epigoni sparsi in giro per il mondo. La cifra dell’Atletico è il cholismo, una filosofia calcistica che quasi mai incontrato il favore della critica, ma se ne è spesso disinteressata, andando comunque a vincere. 

Il cholismo sta tramontando. Almeno, quello che abbiamo imparato a conoscere negli anni. E Simeone lo sa meglio di tanti altri, ragion per cui ha cercato un’evoluzione. Dolorosa come lo sono tutte. Il 4-4-2, che era un marchio di fabbrica, è finito in soffitta, cedendo il passo a un più malleabile 3-5-2. Conte l’ha sempre definita una scelta offensiva ed è in quel solco la lettura di Simeone, che per esempio contro il Milan ha schierato due quinti pronti a spingere e due interni molto propositivi. Il risultato, ma ben prima della partita persa contro i rossoneri, è un cocktail che non ha trovato la miscela giusta. Non è un caso che l’Atleti non abbia vinto nessuna delle tre partite giocate in casa in questa fase a gironi di Champions League, e i tre punti li abbia ottenuti solo dopo una gara - quella di San Siro - molto discussa e discutibile a livello di prestazione arbitrale. Mentre cambia, il cholismo resta attaccato ad alcuni suoi capisaldi: su tutti, la cattiveria agonistica, a tratti decisamente eccessiva. Ma anche la tendenza a mettere al primo posto un obiettivo molto preciso: non giocare, ma distruggere il gioco avversario. Un comandamento che non sempre dà i suoi risultati. 

Il piolismo è la dimostrazione che giocare “bene” per vincere non è solo estetica.L’ismo a Pioli, un tempo etichettato come il normal one, non risulterà probabilmente gradito. Però il modo in cui il Milan sta in campo, e la vittoria di ieri sera, insegnano che per vincere si possono anche fare le cose per bene. Il che non vuol dire praticare un bel calcio a prescindere, laddove per bello non è ancora chiaro quale sia il canone estetico di riferimento, quanto fare quello che si vuole fare nel modo che si vuole fare, perché lo si vuole fare in quella specifica maniera. Il calcio del Milan, accidentalmente anzi no, risulta poi spesso molto piacevole da seguire, pur se nei singoli interpreti deve confrontarsi - almeno, ha dovuto confrontarsi in questo girone della morte - con avversari di livello superiore. È fluido, prevede scambi di posizione e toglie punti di riferimento, ragiona fuori dagli schemi per quello che siamo abituati insieme. Al Metropolitano di Madrid, lo scontro tra due filosofie, l’una ben formata e l’altra in divenire, ha decretato la vittoria del Milan e ribadito la supremazia territoriale che in buona parte si era vista già a San Siro. Una piccola lezione di calcio, da chi, va detto, firmerebbe per raggiungere i traguardi che ha tagliato Simeone in questi dieci anni. Però il calcio cambia, va avanti, e adeguarsi può essere faticoso. Una buona volta, ha avuto ragione chi dice che il risultato è casuale, la prestazione no. Avendo giocato due partite meglio dell’Atletico, il Milan ha perso la prima per episodi e vinto la seconda per merito. Resta in mezzo al guado: non a caso è un -ismo in divenire.