Gimenez a GQ: "Le critiche non mi toccano, lavoro per diventare migliore. Al Milan devi vincere: punteremo allo Scudetto"

Gimenez a GQ: "Le critiche non mi toccano, lavoro per diventare migliore. Al Milan devi vincere: punteremo allo Scudetto"MilanNews.it
Ieri alle 08:00Primo Piano
di Niccolò Crespi

Nelle scorse ore l'attaccante rossonero Santi Giménez si è raccontato in una lunga intervista concessa a GQ México, svelando aneddoti inediti e curiosità sul suo recente approdo al Milan. Tra emozioni, sogni realizzati e retroscena poco noti, il Bebote ha ripercorso le tappe del suo percorso, dalla crescita personale alla nuova avventura in rossonero, aprendo una finestra autentica sulla sua vita dentro e fuori dal campo.

L'arrivo al Milan e il primo incontro con Furlani e ibrahimovic

“Ovviamente io non mi pongo limiti e non ho limiti. L’ho sempre detto e lo sostengo: credo che non ci sia un tetto per nessuno. Se vuoi continuare a crescere, continuerai a crescere fino alla morte. E anche quando muori, vai nella vita eterna e continui a crescere. Semplicemente non bisogna guardare indietro. E se guardi indietro è solo per prendere la rincorsa, perché in questa vita non ci sono limiti. L'incontro con Ibra? Sì, è entrato con la maglia del Milan e me l’ha data. C’era scritto ‘Giménez’, con il numero 7. È stata un’esperienza bellissima".

Le pressioni e le difficoltà, ma sempre con coraggio e mai con paura

“Il Milan è un club che ha vinto sette Champions e non so quante altre coppe, tantissime. E' uno dei club più importanti della storia e i tifosi sono abituati a vincere. Non si accontentano del secondo posto. Lo scorso campionato sono arrivati secondi e (Christian) Pulisic mi diceva che comunque la gente li crocifiggeva. Immagina ora.. è una situazione molto complicata per il Milan. Ma quella è la misura con cui i tifosi del Milan ti giudicano. Essere campione o essere campione, e questa responsabilità ti fa diventare un vincente. Ti contagia, la gente ti contagia. La prossima stagione è semplicemente questo: pensare a vincere lo scudetto”.

Mentalità Milan e la trombosi a 17 anni

“Nel Milan mi hanno spiegato ogni singola regola. Vogliono che siamo professionisti dentro e fuori dal campo. Credo che il talento per giocare lo abbia sempre avuto, ma se non mi fosse successa la trombosi a 17 anni, oggi non sarei qui. Lì ho trovato Dio, e questo mi ha fatto apprezzare ancora di più il calcio. Dio ci usa in piattaforme diverse. A me ha messo nel calcio, e devo farne il miglior uso. È stato un miracolo poter tornare a giocare. Da quel momento ho deciso di camminare con lui. Quando mi dissero che forse non avrei più potuto giocare, mi misi a piangere con mio padre. Gli chiesi: ‘Perché proprio a me?’. E lui mi rispose: ‘Non lo so, ma solo Dio lo sa’. Quella frase mi ha cambiato la vita. Mi sono inginocchiato sotto la doccia, al buio, e lì ho sentito la sua presenza. Da quel giorno ho deciso di camminare con Dio. È la chiave della mia vita.”.

Il rapporto con gli infortuni

“Essere infortunati è orribile, è la cosa peggiore che ti possa capitare, anche se hai due opzioni: vederlo come qualcosa di negativo o come un’opportunità. Ogni volta che mi infortuno cerco di viverlo come un’occasione per diventare più forte, per crescere. È come una ‘pausa mentale’ per tornare meglio. Di solito non prendo farmaci, sono contro i prodotti chimici, ma a volte, per il desiderio di star bene e giocare senza dolore, devi prendere qualcosa. È questa la passione del calciatore: anche se hai dolore –che capita in quasi tutte le partite– devi comunque scendere in campo. Puoi chiederlo a qualsiasi giocatore: si gioca più spesso con dolore che senza”.

Essere attaccante

“Ho due modi di vedere le cose. Oggi nel calcio moderno la gente guarda solo le statistiche, se hai fatto gol o assist. L’unica cosa che conta per molti è il voto in pagella. E se hai pochi gol o assist, anche se hai fatto una grande partita, non conta. Non tutti sono così, ma molta gente sì. Dall’altro lato, penso che la pressione sugli attaccanti sia giusta, perché alla fine sono quelli che guadagnano di più, che generano di più, che hanno più responsabilità con i tifosi. Sono i più amati. E quando dai tanto, è giusto che ci si aspetti tanto. Quindi sono d’accordo: l’attaccante è il più giudicato”.

Critiche e social

“Sì, vedo le critiche perché mi arrivano, sono umano e vedo i social, ma non mi toccano. Non mi rendono triste, né felice, né mi fanno ridere. Semplicemente continuo per la mia strada. Se hai chiaro il tuo obiettivo e la tua missione a lungo termine, quello che succede attorno a te non conta. Se sai che il cammino è già tracciato per diventare ciò che vuoi –ovviamente con lavoro, impegno e sacrifici–, allora il resto non ha importanza. Credo che lo stesso valga per uno come Vinícius, ad esempio. Lui riceve tante critiche, ma è focalizzato sul suo obiettivo. Oggi le persone non giudicano i comportamenti, ma in base alla squadra per cui tifano. Tutto l’odio verso Vinícius arriva dai tifosi del Barça, e tutto l’odio verso Lamine Yamal dai tifosi del Real Madrid”.

I tifosi messicani, i più fedeli

"Sì, Credo che i tifosi messicani siano i più fedeli. In ogni Mondiale siamo il Paese con più presenze sugli spalti. Anche quando giochiamo negli USA, lo stadio è pieno. Dovremmo anche sostenere i giovani, a prescindere da dove provengano o per quale club giochino”.

L'obiettivo e il sogno col Messico

“Quello che voglio trasmettere a tutti è che bisogna sempre pensare in grande. Nel calcio puoi vincere, pareggiare o perdere, specialmente nei playoff del Mondiale. Ma bisogna sempre pensare a diventare campioni del mondo, perché no? Pensare è gratis, sognare è gratis. Se punti in alto, è meglio. Se pensiamo solo a raggiungere il quinto match o i playoff, non lo raggiungeremo. Dobbiamo pensare oltre, a vincere il Mondiale. Abbiamo l’allenatore perfetto in Javier Aguirre e l’assistente perfetto in Rafa Márquez, tutti conoscono la loro autorità, il loro amore per il Messico, e ce lo trasmettono ogni giorno. Ci fanno sentire il peso della bandiera ad ogni partita”.

Maestri e insegnamenti, il rispetto di Santiago verso chi lo giudica

“Una cosa che mi interessa è il rispetto, perché io sono dell’idea che la persona viene prima di tutto. L’allenatore ideale è colui che riesce a tirare fuori il massimo in termini di fiducia da ogni giocatore, ma che allo stesso tempo sia vincente. Alla fine giochiamo tutti per vincere. Deve avere la leadership per trasmettere ai suoi giocatori ciò che vuole”.

La vita a Milano

“Ogni volta che possiamo, usciamo a esplorare un po’ i dintorni della città. Lo facevamo anche in Olanda. Ci piace molto camminare, prendere un caffè e tutto quel genere di cose. E ci siamo resi conto che qui bisogna darsi una svegliata con il modo di vestirsi, perché altrimenti ti squadriano da capo a piedi”.

La passione per la moda

"Ora che siamo arrivati a Milano, sto cercando di interessarmi di più alla moda e devo dire che mi piace parecchio. Parlando di gusti personali, di solito mi compro un orologio quando succede qualcosa di importante nella mia vita, come quando mi sono sposato o quando ho vinto un titolo. E quell’orologio rappresenta quel momento”.

L'amore, il sentimento verso sua moglie Fer

"Quando l’ho conosciuta, ho capito che sarebbe stata l’amore della mia vita. Ci completiamo molto bene: io sono molto tranquillo, lei è un po’ più folle, più libera. Insieme siamo una sola cosa, insieme a Dio. Siamo in una bellissima relazione e ogni giorno giochiamo alla vita insieme”.