Identità ed appartenenza: il Milan statunitense non conosce queste parole. Eppure gli esempi giusti ci sono

Identità ed appartenenza: il Milan statunitense non conosce queste parole. Eppure gli esempi giusti ci sonoMilanNews.it
giovedì 15 maggio 2025, 12:00Primo Piano
di Manuel Del Vecchio

E così ci ritroviamo a dover raccontare dell'ennesimo insuccesso stagionale del Milan, la solita partita preparata male e giocata peggio di un gruppo che da qualche tempo riesce ad essere efficace solo a parole: peccato che poi nel calcio l'unica cosa che conta siano i 90 minuti in campo.

Per il terzo anno consecutivo il Milan di RedBird e Gerry Cardinale finisce la stagione in modo disastroso: derby di Champions in Semifinale perso in modo umiliante, figura indescrivibile in Europa League contro la modesta Roma di De Rossi e trofeo perso contro un Bologna che non vinceva da 51 anni. Tre anni, tre "tragedie" sportive che lasciano i tifosi interdetti. La cosa peggiore però è che non è questo l'aspetto più grave.

Il Milan di Cardinale è un Milan che nel tempo ha perso anima, identità e senso di appartenenza. Dalla cacciata di Maldini in poi (vissuta quasi come un evento da festeggiare) tutto quello che si temeva potesse accadere è effettivamente accaduto. Ci si fregia dello stadio pieno, delle vendite record nel merchandising e di come le terze e quarte maglie facciano incassare cifre record. Si parla di stadio nuovo (ma si parla solo), si parla di pionierismo calcistico e metodologie innovative. Poi però il Milan scudettato preso da Cardinale dopo tre anni si ritrova ottavo in classifica, fuori dalla Champions, con l'ennesima umiliazione sportiva subita e con una tifoseria che non ne può più di vedere i vari Scaroni e Furlani a rappresentanza della LORO squadra.

Arriveranno i bacchettatori seriali a dire che non è corretto fare confronti, ma un modello che funziona, seppur seguendo logiche "straniere", è sotto gli occhi di tutti. È proprio il Bologna di Joe Saputo: proprietario presente e vicino alla squadra e all'ambiente. Dirigenti capaci e che conoscono le pieghe e le sfumature del calcio italiano. Figure riconoscibili in dirigenza con ruoli chiari, senza sconfinamenti nelle aree altrui.

Da questa parte invece c'è un proprietario latitante che manca a San Siro dalla partita contro il Venezia ad inizio campionato, diserta la festa per i 125 anni del Club e non è presente per la finale di Coppa Italia di ieri sera, senza neanche il disturbo di far trapelare la solita scusa degli impegni pregressi. In società c'è un gruppo di lavoro che dopo anni crea ancora confusione nel tifoso: chi decide? Chi fa cosa? Chi ha l'ultima parola? A prescindere dalle risposte, è evidente che, e ora è un'ovvieta confermata dai fatti, chi abbia deciso di scartare il Conte della situazione per presentarsi con Lopetegui (!!!!!!) prima e Fonseca poi (Paulo alla fine della fiera aveva provato ad affrontare, a modo suo, le storture di questo ambiente malato) non è all'altezza di un club come il Milan.

A Bologna, prendiamo sempre i felsinei come esempio, c'è coesione, compattezza, un ambiente che respira all'unisono con squadra e club. A Milano c'è una società che parla il corporatese e tratta i tifosi come clienti da spremere e drenare. Ma occhio, perché oltre al portafogli si sta prosciugando anche la passione: in questa giornata di tre anni fa si giocava Milan-Atalanta, ultima partita casalinga del campionato che poi ha portato allo Scudetto di Pioli, Maldini e Massara. Chi scrive ha avuto la fortuna di assistere dal vivo alla partita: un San Siro del genere, pulsante e pieno di passione pura, è uno spettacolo difficile da dimenticare e che rimarrà per sempre nel cuore di chi era presente. Se quel giorno qualcuno avesse provato a predire che oggi ci si sarebbe trovati in questa situazione sarebbe stato preso per pazzo.

È giusto comunque aver dato tempo visto che i progetti non si giudicano in pochi mesi. Ma dopo tre anni si può dire: strutturato in questo modo il progetto americano di RedBird è fallimentare. Al tifoso non importa nulla di merchandising, ricavi, business plan e via discorrendo: sono tutte cose fondamentali nel calcio moderno e nessuno lo mette in dubbio, ma piazzarle al centro di tutto e vantarsene pure è una scelta suicida, folle e idiota. Nel calcio, nello sport, conta solo competere per provare a vincere al massimo delle proprie possibilità! Questo Milan invece dà l'impressione di mettere questo aspetto all'ultimo posto delle sue priorità. Poi non è detto che si vinca sempre e sconfitte come quelle di ieri sono all'ordine del giorno nelle competizioni professionistiche. Ma è come ci si è arrivati, alla sconfitta, che monta la rabbia,  dà sconforto e crea disillusione. 

A San Siro l'hot dog non attecchisce, è tempo che chi di dovere lo capisca.