Gli orbi di Pioli. La traccia di Maldini e il lodo Leao. Ora il campionato è più importante della Champions

Gli orbi di Pioli. La traccia di Maldini e il lodo Leao. Ora il campionato è più importante della ChampionsMilanNews.it
venerdì 10 marzo 2023, 00:00Editoriale
di Luca Serafini

Ogni benedetto giovedì quando mi accingo a scrivere per www.milannews.it ... Ma anche ogni volta che mi siedo in uno studio televisivo o parlo a qualche radio o testata web, sull'argomento Milan, è più forte di me: non riesco a pensare all'ultima partita o alla prossima. No. Mi vengono invece in mente gli anni dal 2013 al 2018, la Pompei berlusconiana e l'inesorabile disfacimento, la transizione del cinese in infradito, l'avvento di un Fondo lontano, remoto, chiuso in una stanza londinese sommerso da algoritmi e quotazioni. Ripenso all'unica ricchezza rimasta tra la sede del club e Milanello: l'incognita. Leonardo e Maldini, poi Boban e Maldini, poi Maldini da solo che si sceglie il fido Massara. La ricostruzione, in slalom tra paletti e indici di sostenibilità, bilancio, norme Uefa, budget inderogabili. Gattuso ostinato e un po' solo in panchina. 

A quel punto ripasso la celebrazione universale della stampa e del mondo del calcio per l'ingaggio del professor Giampaolo, il 5-0 di Bergamo contro l'Atalanta poco dopo l'arrivo di Stefano Pioli: un traghettatore, un medico di campagna, un Brancaleone a capo di un'armata sciatta e senza leader. Fino all'arrivo di Ibrahimovic. Uno dopo l'altro se ne vanno i gioielli di Fassone e Mirabelli, per alcuni dei quali (Conti, Caldara, Rodriguez, Kessie, André Silva, il turco) avevo applaudito per primo. Penso a Kalulu e Tomori. Maignan e Theo, Bennacer e Krunic, Tonali e Brahim, Leao e Giroud. Penso al secondo posto e allo scudetto, con il tormento Rebic e Origi sui quali ho scommesso la mia conoscenza e un po' di credibilità. Ora vedo i rossoneri ai quarti di Champions e in lotta da 3 anni nelle primissime posizioni in campionato, di cui appunto uno vinto.

Mi domando spesso se sia mero aziendalismo, attaccamento al cachet, o la ragione a farmi descrivere uno scenario in cui mi ritrovo, come nelle parole di Paolo Maldini giovedì mattina a Londra dopo aver eliminato il Tottenham: siamo nel bel mezzo del cammino, del percorso. Lui disegna la traccia, lui è il garante di un progetto che va avanti, con l'obiettivo di una rosa sempre più forte (anche passando attraverso qualche errore di valutazione) e uno stadio di proprietà. Da soli. 

Una squadra splendidamente imperfetta con un allenatore capace di sopperire ai molti gap tecnici, con lo spirito di gruppo, l'organizzazione, la convinzione nel lavoro e nella mentalità dei suoi ragazzi. Gli orbi che lo osservano gli rinfacciano errori nei moduli, nei cambi, nelle scelte, negli esordi tardivi degli acquisti, nel preferire Bakayoko a Pobega o Vranckx (gliela faranno questa domanda, in conferenza stampa, prima o poi), attribuendo alla fortuna che arriva solo una volta. Come non si riesca a vedere l'unità dello spogliatoio e della dirigenza intorno al suo allenatore, è una cosa che faccio fatica a spiegarmi. Non sono un oculista, però: non ho alcun titolo per curare gli orbi. 

Dal giorno del sorteggio andavo ripetendo che il Tottenham è una buona, buonissima squadra, ma che se loro nel doppio confronto fossero stati quelli di quest'anno e il Milan quello degli ultimi 3, ebbene sarebbe passato il Milan. E' stato così: una squadra che tra una partita e l'altra tra San Siro e il nuovo White Hart Lane ha tirato 74 volte (West Ham, Chelsea, Sheffield, Wolverhampton) alla porta di Tatarusanu e Maignan è arrivata 3 (tre) volte in180'. Non è per sminuire i meriti proprio adesso - sono molto arrabbiato per non aver vinto anche a Londra come il Milan avrebbe meritato) - ma solo per dipingere il mostro un po' meno brutto di quello che appariva. Da una parte c'era una squadra che fatica ad arrivare tra le prime 4 in Premier e dall'altra una che è sempre lì da 3 anni e che un titolo lo ha vinto. Punto.

Quello che è mancato tra gennaio e Firenze, oltre a tutto ciò di cui abbiamo parlato in queste settimane, è anche il livello individuale, il rendimento dei singoli. Ho detto di Origi e Rebic, aspettiamo sempre DeKetelaere, ma si è un po' smarrito Leao nella continuità, Tonali nella condizione (ma che partita in Inghilterra!), Bennacer nell'integrità, Tomori nella serenità. In compenso sono tornati Maignan, Hernandez al meglio, Florenzi, Ibra. Il passaggio ai quarti di Champions consente (se ho capito bene le parole di Maldini nel prepartita di mercoledi) un ulteriore piccolo sforzo per arrivare al rinnovo di Leao, ma ancora una volta bisogna ripetere che entrambe le parti devono volere la stessa cosa. Rafa è stato molto criticato per la partita di mercoledì, dove pure un paio di palloni decisivi li ha inventati lui: si è esigenti, nei confronti di chiunque giochi con questa maglia. San Siro ha fischiato nella sua storia Rivera, Van Basten, Seedorf, tanto per dire i primi che mi vengono in mente. Si pretende che si sia sempre al top. Non è umanamente possibile, ma questo è quello che vuole il popolo rossonero, come sempre splendidamente rappresentato anche al New White Hart Lane.

Ora lo scompenso tra le montagne russe del campionato e il cammino esaltante in Champions, deve appianarsi: per tornare a giocare nell'Europa che conta, infatti, è più importante la serie A della stessa Champions. Sono molto felice che la new generation, i milanisti ventenni di oggi, imparino a conoscere vibrazioni, palpiti ed emozioni europee. Ma. Ma. Ma... Vuoti di memoria come a Firenze non devono più accadere fino a giugno, per non rischiare di lasciare il passo a qualcuno meno attrezzato e forse meno meritevole, ma più regolare in questo sprint di primavera. Per rivivere quelle emozioni, infatti, è indispensabile tornarci.