Il Milan non è ancora una squadra. Così si spiega il plebiscito per AG. Jashari-Lookam: le cucuzze non sono uguali

Il Milan di Allegri non è ancora una squadra. Non possono bastare un paio di amichevoli di alto livello per stabilirlo. E nemmeno le dichiarazioni convinte di alcuni esponenti (da ultimo proprio Rafa Leao che comincia a parlare da leader del gruppo) possono stabilire sulla carta il passaggio da un nucleo di talenti sparsi in un solido team calcistico. I motivi sono più di uno: 1) perché nel frattempo il mercato in entrata è solo all’inizio e quindi non c’è una definizione della rosa; 2) perché dagli arrivi successivi (a cominciare dal terzino destro più centrocampista e centravanti) dipenderanno le scelte definitive sul sistema di gioco. Sono poi molto… preoccupato per gli elogi che arrivano dalla “setta” mediatica che aveva eletto Max Allegri nemico pubblico numero uno del calcio italiano. Sono preoccupato perché mi sembra una virata furba in attesa di sparare a palle incatenate al primo risultato negativo. È infatti molto presto per indovinare quale sarà il futuro di questo Milan perché al momento Napoli e Inter -checché se ne dica- sono nettamente in prima fila alla partenza del prossimo campionato.
Plebiscito per Galliani- Improvvisamente è spuntato dai social un plebiscito per Adriano Galliani. Nato sull’onda emotiva di un incontro avvenuto in Versilia, è diventato argomento di dibattito e si è trasformato in una campagna mediatica per una serie di motivi che proverò qui a sintetizzare. Il primo: perché si riconosce all’attuale Milan una carenza gravissima in fatto di rappresentanza politica (in Lega, Figc e settore arbitrale). Il secondo: perché dopo l’avvenuta cessione di Fininvest del Monza calcio al fondo guidato da un nuovo gruppo dirigente, Adriano Galliani è in uscita dal club della sua infanzia di tifoso e sarebbe un peccato mortale non approfittare della sua esperienza e del suo carisma ritagliandogli un ruolo del genere all’interno del Milan coprendo così quel vuoto. Terzo e ultimo motivo: perché la comunicazione di Paolo Scaroni, voluta o non voluta, diventa puntualmente una sorta di “mina vagante” come gli è capitato di recente in occasione dell’ultima assemblea di Lega serie A con quella frase su Jashari.
Attenti alle uscite- Ho spesso qui citato un motto di Silvano Ramaccioni che ammoniva testualmente: “Si può sbagliare a comprare un calciatore, non si può sbagliare a venderlo”. Tranne naturalmente per motivi economici come dimostra l’attuale esperienza. Lo ripeto perché continuo a leggere di un intento di mettere sul mercato Okafor per poi procedere a individuare un altro eventuale sostituto da mettere dietro Leao. Non mi faccio influenzare dai due gol al Liverpool, dico solo che tocca allo staff tecnico oltre che al ds il compito di stabilire se Okafor può diventare una risorsa per il calcio verticale di Allegri oppure no. Di sicuro eviterei di accogliere le richieste del Bologna che puntano come al solito a chiederlo in prestito fissando una cifra per il riscatto che non eserciteranno rispedendolo indietro come hanno fatto con Pobega per risparmiare qualche milione.
LE CUCUZZE NON SONO UGUALI- Sulla trattativa per Jashari intervengono tutti ogni ora del giorno e della notte ma una tesi, legittima intendiamoci, mi ha incuriosito. Dice Fabrizio Biasin: “Se il Brugge chiede 40 cucuzze per il calciatore, 40 cucuzze devi cacciare!”. Non fa una piega. Banale obiezione: “Perché allora se l’Atalanta chiede 50 cucuzze per Lookman, l’Inter non deve cacciare 50 cucuzze ma dovrebbero bastare 42 più 3?”. Ah saperlo…

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