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Albarella (prep. atletico): "Infortuni, aspetto mentale e programmazione: i tanti impegni ravvicinati condizionano tutto"

ESCLUSIVA MN - Albarella (prep. atletico): "Infortuni, aspetto mentale e programmazione: i tanti impegni ravvicinati condizionano tutto"MilanNews.it
© foto di DANIELE MASCOLO
sabato 25 dicembre 2021, 13:30ESCLUSIVE MN
di Manuel Del Vecchio

Nel mondo del calcio, complici diversi fattori esterni non controllabili, il tema infortuni e quello riguardante l’aspetto atletico sono diventati sempre più centrali. Da un paio d’anni a questa parte ne sanno qualcosa anche i tifosi rossoneri, inermi spettatori davanti ai vari problemi di natura muscolare, ma non solo, che hanno bersagliato la squadra allenata da mister Stefano Pioli. È evidente che a Milanello un problema ci sia e qualche errore sia stato commesso, nascondere la testa solo la sabbia sarebbe solo ulteriormente dannoso, ma è anche vero che lo stress fisico e mentale a cui sono sottoposti i calciatori di tutti i top campionati europei è aumentato a dismisura rispetto al passato.

Cercare di isolarne le cause è difficile, se non impossibile, senza avere a disposizione tutti i dati e i rilevamenti specifici. Invece è possibile cercare di imbastire un discorso più generale, ma comunque interessante e informativo, per quello che riguarda la parte fisica, mentale e di recupero nel mondo del calcio ad alti livelli. Per farlo la redazione di MilanNews.it ha contattato Eugenio Albarella, preparatore atletico da sempre legato ad Alberto Zaccheroni, con cui ha collaborato anche ai tempi in cui l’allenatore emiliano sedeva sulla panchina rossonera.

Da preparatore che idea si è fatto della situazione infortuni al Milan?

“Noi preparatori in particolare dovremmo avere un’indennità come capri espiatori (ride, ndr). Perché nel mondo del calcio l’equazione “se non si vince è perché non si corre” oppure “se ci sono degli infortuni è causa della preparazione” ormai è data per scontata a priori. Noi preparatori, essendo uomini di metodo, abbiamo la necessità e il dovere secondo me, prima di dare dei giudizi, che sono sempre difficili da dare, di conoscere i particolari, perché solo vivendo le sfumature dello spogliatoio puoi cogliere quelle piccolezze che ti fanno avere il quadro molto più completo. Allora devi contestualizzare il momento della stagione anche agli impegni, confrontare le problematiche della squadra in esame, che come tutte le squadre di alto livello ha ormai questo calendario così fitto che porta a convivere con infortuni. In un contesto di picchi periodici i problemi fisici li hanno ormai gran parte delle squadre che giocano per le parti nobili della classifica. Sono solo i particolari che ti fanno avere le conoscenze in profondità, ma la gran parte delle squadre va incontro a periodi di maggiore concentrazione di infortuni”.

Come lo spiega l'alto numero di infortuni muscolari, in particolari al flessore, che il Milan ha sofferto nell'ultimo periodo?

“Per il problema sul flessore ci sono degli studi voluti dalla UEFA. È uno degli infortuni più comuni nel mondo del calcio, anche perché il flessore è il volano della ciclicità delle gambe, di conseguenza spesso è soggetto a questo tipo di infortuni. Ribadisco, solo i particolari possono dare un’analisi approfondita e completa. Una squadra come il Milan, ma anche come Inter, Napoli, Juventus e Atalanta, che lotta ad alti livelli e ha avuto competizioni internazionali, ad oggi, a 100 giorni dall’inizio della stagione, ha già sommato 25 partite tra Serie A e Champions League. Questi club hanno gran parte delle rose composte da nazionali; a queste 25 partite con il club vanno sommate almeno altre 5-6 partite che gli atleti hanno disputate con le rispettive nazionali. Questo fa una media di giorni/gara di circa 3. Ogni 3,3, ogni 3,5 giorni i giocatori hanno avuto una massima competizione. Per chi fa metodologia, per chi gestisce queste rose è estremamente difficile poter organizzare e programmare un lavoro in salute. Avendo questa frequenza di partite dove tu hai solo 3 giorni e mezzo di media per proiettarti alla prossima, se nei primi due giorni, perché ormai è stato dimostrato che fisiologicamente il picco di fatica arriva nelle 24/48h successive alla gara, ecco che tu hai solamente un solo allenamento di preparazione alla sfida successiva per poter gestire lo stato di salute. Questo innalza notevolmente gli indici di infortuni”.

Quindi questa finestra ridotta per il recupero incide molto?

“Dalle mie parti c’è un detto: “tanti pochi fanno assai”. Tante situazioni ridotte ne creano una molto più grande. È un problema di difficile gestione, soprattutto poi quando va sommato a quello che io definisco “allenamento invisibile”. A queste difficoltà oggettive vanno aggiunte anche altre componenti che biologicamente sono difficili da rilevare. Quando gran parte di questi giocatori nazionali che sommano in un anno quasi 90mila km di viaggio tra club e le proprie selezioni c’è anche un assorbimento di jet lag non indifferente. Atleti sudamericani che rientrano dalle proprie nazionali e che si presentano nel proprio club con meno di 24/36h dalla prossima partita, e devono assorbire 6/7 ore di jet lag… Questo sposta anche il bioritmo del recupero e accentua notevolmente il rischio di infortuni”.

E secondo lei la componente mentale ha un peso?

“Il peso della maglia conta moltissimo. Essere giocatori del Milan non è da tutti. Se non hai un quadro psicologico che ti aiuta a gestire le pressioni che l’ambiente stesso ti dà questo può aumentare di parecchio gli indici di stress, che vanno ad incidere notevolmente sul rischio d’infortuni. Ognuno di noi, nel momento in cui fa qualcosa, ha una reazione interna legata al proprio stato emotivo. Possiamo avere ansia in funzione a quelle che possono essere le nostre esperienze, che ci danno la possibilità di tenere a bada questo stato emozionale. È un fenomeno interno che va a combattere il fenomeno esterno che è lo stress, dovuto a quello che stiamo facendo: questo in un primo momento può aiutarci ad alzare la nostra prestazione, ma se protratto nel tempo diventa controproducente. Si è diventati bravi a gestire gli aspetti metodologici, tattici, alimentari e di recupero degli atleti, ma si è capito che oggi i margini stanno nella capacità degli atleti di trasferire le energie nervose, soprattutto quando si hanno competizioni frequenti, ogni tre giorni. Sono lì i margini di miglioramento. Non tutti gli atleti hanno la capacità di saper gestire questo stato di stress. Vediamo i calciatori come macchine perfette, ma sono uomini come noi. E in più parliamo soprattutto di ragazzi giovani, ognuno con un percorso diverso e un carattere diverso. Questa capacità di aprire e chiudere lo stato di stress, che la competizione stessa ti porta, fa la differenza nell’indice di recupero in vista della partita successiva. È fondamentale anche per il recupero da un problema fisico. Se non si ha questa capacità di recupero, io la definisco “finestra di stress in gara”, allora diventa difficile. Ci si prepara alla partita e si può andare sotto stress una quantità di ore prima ed eventualmente anche un tot di ore dopo. Se non si ha questa capacità di “aprire e chiudere” questo stato di stress acuto nelle 24/48h post gara, se si hanno partite ogni 3 giorni il rischio è di tenerlo sempre aperto. La fase acuta di gara diventa cronica, che di conseguenza va a creare squilibri ormonali, ad esempio sull’ormone dello stress, il cortisolo, che abbassa gli indici di testosterone e di forza e di conseguenza innalza i rischi di infortunio. Il top player infatti ha queste caratteristiche, ovvero il saper trasferire le proprie energie nervose subito dopo la fine della partita senza farsi influenzare da quello che è appena successo. Invece ci sono atleti che vivono uno stato d’ansia prolungato nel tempo facendosi influenzare nel modo di fare e di gestirsi. Parlare di queste cose non è semplice purtroppo, perché siamo in un mondo in cui quando si inizia a parlare di psicologia sembra che si voglia generalizzare, e invece dal momento in cui stiamo parlando di macchine di Formula 1, quali sono gli atleti di altissimo livello, dove i meccanici sono di primo livello e hanno la capacità di mettere a posto e a punto il motore nel modo migliore, poi dopo sta nella qualità del pilota stesso fare la differenza”.

Quindi si aspetta che i club mettano ancora più attenzione in questo aspetto, magari con nuove figure nello staff?

“Nei paesi anglosassoni la gran parte delle squadre si sono strutturate con i cosiddetti dipartimenti di performance: creano strutture e hanno delle professionalità che hanno la possibilità di ottimizzare quel poco tempo che si ha a disposizione tra un impegno e un altro. Oggi l’allenatore non è più l’artigiano che in funzione del tempo riesce a modellare la materia a propria immagine e somiglianza. Oggi l’allenatore e lo staff, giocando ogni tre giorni, di conseguenza sono diventati dei killer che hanno poche possibilità per incidere e non possono permettersi di sbagliare. Allora avere una struttura che sia in grado di ottimizzare quel poco tempo che si ha a disposizione, migliorare la comunicazione tra i vari dipartimenti che vanno a mettere mano sui calciatori fa la differenza. Mettere allenatore e staff nella condizione di poter gestire al meglio qualsiasi aspetto abbassa notevolmente il rischio di infortuni”.

Né per la FIFA e né per la UEFA però sembra esserci l’intenzione di ridurre il numero di impegni, anzi:

“Chi gestisce oggi il mondo del calcio deve capire che se da una parte si può ragionevolmente condividere il fatto di dover produrre più, perché il business è diventato così grande e i costi sono quelli che sono, dall’altra parte non si può cadere nell’errore di volere a tutti i costi fare quantità a discapito della qualità: i risultati si vedono nei numeri degli infortuni all’anno, e ribadisco che sono in tutte le squadre e in tutti i campionati; ad esempio i dati di Premier League e Serie A sul lungo periodo sono sovrapponibili. E poi, se si mette a confronto il calcio di oggi con quello di qualche anno fa sembra che si stiano paragonando due sport completamente diversi; ci si rende conto che in quegli anni lì una partita sviluppava in 90 minuti 450/500 azioni, oggi se ne sviluppano allo stesso tempo quasi il doppio. Mentre in quegli anni lì un calciatore rischiava di andare a contatto con un avversario ogni cinque azioni ora invece rischia di andare a contatto ogni due azioni. Oggi il calcio ha aumentato il volume: se negli anni ’90 se ne giocavano una quarantina all’anno adesso, tra nazionali e club, si arriva anche a più di 70 partite in un anno. Oggi i campionati sono completamente stravolti, e in più quest’anno ci stiamo portando le scorie del post lockdown: è un anno e mezzo che il calcio non si ferma. Alla ripresa del campionato dopo il lockdown da giugno 2020 non ci si è mai fermati, tra recupero di Serie A, preliminari di coppe europee e inizio della nuova stagione, conclusasi con gli Europei in estate. Chi fa metodologia oggi non ha più il tempo di creare adattamenti”.

Ma è vero che in Italia si lavora troppo sulla forza?

“Io non penso che sia vero, credo che siano luoghi comuni. Soprattutto le squadre che competono ad alti livelli non possono permettersi di fare dei lavori che oggi sono improponibili, perché non c’è il tempo per creare adattamenti”.

Ci racconta qualcosa sul Milan di Zaccheroni?

“La fortuna di Alberto in quel periodo lì è che per due anni consecutivi il Milan non fece grandi risultati ed ebbe la possibilità di poter lavorare, senza impegni internazionali, durante il periodo di preparazione. Gettò le basi per formare la squadra a sua immagine e somiglianza. Oggi è impensabile poter lavorare in quei termini”.

Quindi pensa che il Milan possa trarre beneficio dalla mancanza di un impegno europeo da qui a fine stagione?

“Per il Milan è un grandissimo vantaggio potersi allenare durante la settimana. Quando devi andarti a confrontare con le squadre che hanno a disposizione la “settimana tipo” è un confronto impari. Oggi la possibilità di allenarsi con continuità fa la differenza. Quindi sicuramente i rossoneri avranno grandi vantaggi da questa situazione, nonostante il prestigio del Milan lo voglia sempre a competere a livello internazionale. Ma dal momento in cui si ritrova fuori dalle coppe è tra le squadre che può giocarsi fino in fondo il campionato”.

intervista di Manuel Del Vecchio.