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Albertini: "Gigio predestinato, Ibra fuoriclasse. Vi racconto di Maldini, Van Basten e del mio Milan leggendario"

ESCLUSIVA MN - Albertini: "Gigio predestinato, Ibra fuoriclasse. Vi racconto di Maldini, Van Basten e del mio Milan leggendario"
© foto di Albertini
venerdì 13 novembre 2020, 14:00ESCLUSIVE MN
di Redazione MilanNews
fonte intervista di Antonio Vitiello

L’ex centrocampista rossonero, Demetrio Albertini, è intervenuto in esclusiva a MilanNews.it per commentare il suo libro “Ti racconto i campioni del Milan”, in libreria dal 5 novembre con Gribaudo.

Cosa ti ha spinto a scrivere un libro sul Milan e sui fuoriclasse che hanno fatto la storia di questo club?

"Da una parte ho avuto tanti corteggiatori, mi hanno chiesto più volte di scrivere un libro, ma non ho mai voluto farlo su me stesso, normalmente si fa una biografia. Invece in questo libro è un pò quello che facevo in campo, il regista, quindi parlo degli altri. Quello che ci siamo immaginati è un genitore seduto sul divano che racconta in maniera figurativa ad un bambino chi era Van Basten, Baresi, Ancelotti, Gullitt... Oggi si parla tanto di marketing, penso che Ruud sia stato il primo giocatore a livello di marketing più importante al mondo".

Cos'è stato per te il Milan?

"L'ho scritto ampiamente, quando parlo di casa Milan, di seconda famiglia, non è una frase fatta. A dieci anni ho firmato il primo cartellino, mi ricordo anche le prime due partite. Ricordo le persone che mi hanno visto crescere da bambino fino all'età adulta, condividendo vittorie e anche anni di delusioni. La parola famiglia è questo: condividere un percorso della tua vita al fianco di persone che hanno fiducia in te e ti aiutano, essendo stimolanti, confortevoli, aiutandoti quando sei giù o gioire con te".

Chi è stato il giocatore più forte con cui hai giocato?

"Il più forte con cui ho giocato è Marco Van Basten, non me ne vogliano altri campioni, ma quello che ha fatto Marco lo ha fatto in un lasso di tempo molto breve. Vincere tre Palloni d'Oro non era così semplice, non come adesso che ci sono Messi e Ronaldo che se li contendono".

Chi invece ti ha fatto crescere di più a livello umano e professionale?

"A livello professionale i miei maestri sono stati Frank Rijkaard e Ancelotti, mi avevano preso sotto la loro ala protettiva. Un po' rubavo guardando, un po' chiedendo. Mi hanno aiutato tanto anche in campo. La forza di quel Milan è che non eravamo solo competitor per un ruolo, eravamo compagni di squadra. Uno poteva essere arrabbiato con l'allenatore, non con chi giocava al posto tuo. Con Paolo Maldini ho condiviso momenti importanti della mia vita, è stato il mio capitano tra Milan e Nazionale, poi Billy Costacurta. Siamo stati quelli che hanno ereditato la gestione dello spogliatoio dalla vecchia guardia, Franco, Tassotti, Ancelotti. Poi noi lo abbiamo trasferito ad altri come Gattuso".

A pagina 95 c'è il capitolo sul Milan che diventa leggenda, cos'è stata per te quell'esperienza?

"E' stata la mia prima stagione con la prima squadra, ero un bambino, avevo 17 anni. Essere partecipe di un'attesa, perché ovviamente io non giocai la partita, e successivamente la gioia da tifoso ma con l'opportunità di festeggiare nello spogliatoio e nel ritorno a casa. Era un sogno. La Coppa del Mondo la vedi ogni quattro anni, la Champions League la vedi tutti gli anni, il sogno per alcuni è più raggiungibile. E' la coppa del Milan, il Milan che diventa leggenda".

Tra i campioni che illustri nel tuo libro c'è Zlatan Ibrahimovic, si può definire un giocatore immortale?

"Nessuno è immortale, ma un grande giocatore fuori dalle righe sì. E' il suo talento che fa la differenza per poter essere ancora incisivo a quest'età. E' il calciatore che è riuscito a far crescere tutti gli altri giocatori, non solo sportivamente. Ha tolto un po' di responsabilità ai più giovani, per poter poi restituirgli con i passaggi e con i gol. La parola fuoriclasse a volte è abusata, ma a lui si addice veramente tanto".

Un altro capitolo lo dedichi a Donnarumma, che definisci predestinato, pensi che possa continuare il suo rapporto col Milan?

"Ho voluto descrivere Donnarumma perché è un po' della stirpe del settore giovanile del Milan. Predestinato perché è quasi impossibile essere così forte a quest'età, oggi ci siamo abituati a quello che è. Dipenderà molto da lui, da quello che il club gli potrà dare come obiettivo nella propria carriera personale. Sarà una sua scelta più che quella dei concorrenti esterni, lasciare il Milan per andare a giocare in altri palcoscenici oppure decidere di diventare una delle bandiere della storia di questo club".

Cosa sono stati per te Berlusconi e Galliani?

"Berlusconi è stato il Presidente, come dire famiglia. Con lui sono diventato da talento emergente a titolare della squadra ed infine uno della vecchia guardia. E' stato sempre generoso e disponibile, lo ha dimostrato con le parole e con i fatti. Ha avuto sempre le parole giuste ad ogni tappa della mia vita, sempre rimanendo il presidente. Galliani è il braccio operativo del presidente, è riuscito a trasformare le sue idee in realtà, anche nella gestione. E' la persona che era più a stretto contatto con noi giocatori. Come scrivo nel libro, ricordo quando io, Paolo e Billy abbiamo trovato un accordo per un rinnovo con una stretta di mano, una stretta di mano che si è poi verificata anche nella realtà".

Il Milan attuale è sulla strada giusta per tornare in Champions? Rispetto agli scorsi anni c'è qualcosa in più?

"C'è la continuità, non solo nei risultati. C'è un Milan pre lockdown ed uno dopo il lockdown, da lì abbiamo visto un Milan diverso. E' un proseguimento di quanto costruito dopo la chiusura. Non sono d'accordo che il Milan si debba accontentare, nel momento in cui punti al massimo devi gestire qualche critica in più ma alla fine raccogli molto di più di quello che avresti pensato all'inizio dell'anno. Nel 1999 l'ho vissuto, venivamo da due anni molto difficili dopo una ricostruzione. Era una situazione diversa ma ci sono delle analogie. Non siamo stati tante volte primi, abbiamo dovuto rincorrere sempre. Lì c'era un gruppo solido di vecchia guardia, qui ci sono tanti giovani che stanno costruendo, c'era forse un po' pià di consapevolezza. Oggi c'è Ibra, all'epoca c'erano tanti calciatori importanti per lo spogliatoio".

Perché Albertini non torna al Milan?

"Non c'è mai stato un contatto, una situazione. Il Milan è la mia famiglia, rimanere la mia casa anche vista da tifoso. Non dipende da me. A livello pour parler con i tifosi questa domanda esce, ma continuo da anni un percorso con la Federazione, sono impegnato su altri fronti. Ho sempre voluto fare il dirigente ed oggi faccio il dirigente".

intervista di Antonio Vitiello