Albertini: "Sacchi mi chiamò in prima squadra a 17 anni, mi fece diventare un giocatore di calcio, prima ero solo un calciatore”

Albertini: "Sacchi mi chiamò in prima squadra a 17 anni, mi fece diventare un giocatore di calcio, prima ero solo un calciatore”MilanNews.it
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Ieri alle 19:25Gli ex
di Enrico Ferrazzi
fonte figc.it

Villa Raverio ha 1.200 abitanti, è una piccola frazione di Besana in Brianza: quante possibilità esistono che un ragazzo che gioca a pallone all’oratorio possa diventare un grande campione del calcio dei grandi? Onestamente poche, eppure nella vita mai dire mai. È proprio in quel campo di calcio a 7, infatti, che ha mosso i suoi primi passi Demetrio Albertini, il cervello, oppure come più piace a lui, il ‘metronomo’ del centrocampo del grande Milan di Sacchi e Capello, nonché perno della Nazionale negli anni ’90. È proprio Albertini il protagonista della nuova monografia pubblicata su Vivo Azzurro TV: un viaggio nella vita e nella carriera di un calciatore che esordì giovanissimo sia con il Milan che con l’Italia. In maglia azzurra ha giocato 79 partite, debuttando a 20 anni (nel dicembre 1991) a Foggia in un Italia-Cipro vinta 2-0 con i gol di Baggio e Vialli e chiudendo 11 anni dopo nella vittoria in amichevole a Leeds contro l’Inghilterra (in quel marzo 2002 decise la doppietta di Montella).

ALBERTINI “Mio padre faceva il capomastro muratore, mentre mamma era casalinga - racconta alla OTT della FIGC -. Papà era amante del calcio, è stato anche il mio primo allenatore come spesso accade in un contesto di paese. In quegli anni all’oratorio ho vissuto esperienze meravigliose, anche perché la passione per il calcio era una delle poche cose che avevo. Ricordo i vetri rotti, oppure quando scavalcavamo il cancello della parrocchia per andare a giocare: il richiamo era sempre la palla”. La vita del giovanissimo Demetrio cambia a 10 anni, quando il papà lo porta a fare un provino a Seregno. In realtà viene buttato subito in campo in una partita nel ruolo di mezzala: giocò bene, fece anche gol e dopo sei mesi “mi ritrovai a firmare il mio primo cartellino con il Milan. Nei primi anni, allenandomi due-tre volte a settimana facevo avanti e indietro con mia madre prendendo autobus e treni. A 14 anni ho iniziato ad andare a Milano da solo e a 17 anni era il momento di trasferirmi in collegio per giocare con la Primavera, ma a settembre Sacchi mi disse che sarei stato aggregato alla prima squadra in pianta stabile e lì è cambiato tutto”.

SACCHI E CAPELLO Quello con Arrigo Sacchi è un matrimonio durato negli anni, prima col Milan, poi in Nazionale e successivamente anche appesi gli scarpini al chiodo, nella seconda carriera di Albertini, quella da dirigente: “Il rapporto con lui è meraviglioso, anche perché conosco tutti i suoi difetti e li accetto (sorride, ndr). Mi ripete sempre che sono stato l’unico calciatore che dopo aver smesso ha avuto il coraggio di lavorare con lui. C’è un rapporto di stima straordinario, anche perché mi ha insegnato a diventare giocatore di calcio, mentre prima ero solo un calciatore”. Anche a Fabio Capello Albertini deve molto: “Mi ha messo in campo titolare a 20 anni in una delle squadre più forti del mondo. Alla fine quando si gioca si cresce e il merito va alla sua scelta”.