Altro che "closed", il VAR è uno strumento imprescindibile. Il problema è altrove

A leggere ed ascoltare le enormi polemiche generate da dirigenti, influencer sportivi (influencer perché il giornalismo è altra cosa) e conduttori sghignazzanti (ma non c’è niente da ridere) sembra quasi che il VAR, inteso come strumento, sia un fallimento. E invece non è assolutamente così, anzi. Il Video Assistant Referee è uno strumento che ha ridato valore al calcio, producendo cambiamenti positivi anche nella classe arbitrale.
Per capirlo bisognerebbe avere anche la giusta elasticità mentale: parliamo di un qualcosa, tra strumento e protocollo, decisamente giovane. Non ha neanche 10 anni di vita ed ogni stagione vede apportati cambiamenti e correttivi secondo quelle che sono le indicazioni dell’IFAB. È importante avere bene in mente cosa è e cosa non è: non è e non sarà mai una macchina che prende decisioni al posto dell’uomo (anche perché non esiste nulla del genere e dovrebbe essere comunque programmata, tra miliardi di variabili, da mano umana) ma un qualcosa che può dare una mano enorme a chi è in campo, arrivando perfino ad oggettivizzare alcune situazioni.
Al termine della passata stagione, era maggio, il designatore AIA Rocchi raccontava che: “Sono stati 1820 i check ufficiali (durante lo scorso campionato, ndr). Senza questo strumento avremmo avuto 129 errori in più. Ci sono stati, invece, 12 chiamate errate nonostante l’utilizzo del VAR, visto che dietro a ogni tecnologia ci sono sempre delle persone. Tutti chiedono la perfezione, ma gli esseri umani non sono perfetti, quindi sarei molto contento se finissimo con questi numeri che comunque cerchiamo di migliorare. Il VAR è uno strumento straordinario”.
È logico e scontato che l’utilizzo, ma come per qualsiasi altra cosa, possa essere migliorato, ma i numeri (e non le chiacchiere di chi ha “nostalgia” di tempi discutibili) parlano chiaro. Certo, andando a ridurre e di molto il margine d’errore quando si incappa in una valutazione errata è "normale" che mediaticamente sia vista come la fine del mondo.
Ma a questo proposito sarebbe buon costume, se non proprio necessario, che i protagonisti del calcio, giocatori, allenatori e dirigenti, parlino con cognizione di causa. Non si pretende che lo facciano anche i giornalisti, per la maggior parte ormai wannabe-influencer che fanno a gara a chi la spara più grossa per due interazioni in più, ma sarebbe di grande aiuto che chi va in tv a parlare dopo le partite abbia almeno le nozioni base per discutere di questi temi in modo da non creare ulteriore confusione.
Prendiamo in esame l’ultimo caso, accaduto proprio ieri. Al termine di Empoli-Milan il tecnico dei toscani Aurelio Andreazzoli (che da sempre si contraddistingue per il suo fair play) va in conferenza stampa e sbotta: “Una schifezza. Che un polpastrello condizioni una gara e anche il futuro di una squadra, ma dai, c’è il regolamento che deve dirci se è volontario o meno. Tutte le sere si parla soltanto del cazzo di Var, invece di parlare del gioco, lo ripeto è una schifezza. Io non ce l’ho con gli arbitri, che sono dentro a questo meccanismo e anche loro ci stanno capendo poco, anzi devono sopportarlo. Ci sono mille interpretazioni, non si capisce più niente, con la stessa situazione che viene gestita in modo diverso. Non va bene perché si va a perdere di credibilità, e ne va del futuro di questo sport, la gente cosi non ci capisce più niente e invece di agevolare si va ad incasinare il tutto".
Dichiarazioni, purtroppo, normali verrebbe da dire. E invece no. Sempre con il massimo rispetto per un uomo esperto come Andreazzoli la frase: “Che un polpastrello condizioni una gara e anche il futuro di una squadra, ma dai, c’è il regolamento che deve dirci se è volontario o meno” non ha nessun tipo di valenza. E vi diciamo, come dovrebbe fare qualsiasi persona che voglia parlare di queste cose senza bias particolari, il perché.
Regolamento del giuoco del calcio. Falli e scorrettezze, contatti “mani (braccia)/pallone”. Pagina 91.
“Al fine di determinare un fallo di mano, il limite superiore del braccio coincide con la parte inferiore dell’ascella. Non ogni contatto del pallone con una mano o un braccio di un calciatore costituisce un’infrazione. È un’infrazione (“fallo di mano”) se un calciatore:
- tocca deliberatamente il pallone con le proprie mani / braccia, per esempio muovendo mani o braccia verso il pallone.
- tocca il pallone con le proprie mani/braccia quando queste sono posizionate in modo innaturale aumentando lo spazio occupato dal corpo. Si considera che un calciatore stia aumentando lo spazio occupato dal proprio corpo in modo innaturale quando la posizione delle sue mani / braccia non è conseguenza del movimento del corpo per quella specifica situazione o non è giustificabile da tale movimento. Avendo le mani / braccia in una tale posizione, il calciatore si assume il rischio che vengano colpite dal pallone e di essere quindi sanzionato”.
Va da sé quindi che le dichiarazioni dell’allenatore dell’Empoli non trovano riscontro nel testo del regolamento, unica fonte autorevole quando si discutono questi episodi. Ma il nostro non è assolutamente un discorso contro Andreazzoli, figurarsi. Di esempi se ne potrebbero fare tanti, come quando l’anno scorso Thiago Motta si innervosì parecchio in conferenza stampa post Bologna-Milan, ignorando che lo “step on foot” sia una situazione di gioco codificata e che quindi su Rebic era calcio di rigore. Ma anche qui, niente contro l’ottimo allenatore del Bologna (qualcosa da dire invece su come vengono gestite le conferenze stampa, con conseguente impossibilità di parlare al microfono se si prova a far notare certe cose, ci sarebbe).
Di esempi calzanti ce ne sarebbero a bizzeffe, ma il punto ormai dovrebbe essere chiaro: innanzitutto diffidate di chi per qualche interazione in più fa i salti mortali sui social (ma anche in tv e sui giornali) contro ogni tipo di deontologia, leggete il regolamento per avere basi solide con cui affrontare discussioni (lo trovate qua) e apprezzate il primo passo dell’AIA, con "Open VAR" su DAZN, di aprirsi al grande pubblico. Sarà un processo lungo, dovrà essere trovato un linguaggio comune con cui parlarsi e tutte e due le parti in causa dovranno fare degli sforzi per avvicinarsi l’un l’altra, ma un mondo mediatico senza corbellerie come “danno procurato” e “disponibilità del pallone” (castronerie che purtroppo si sentono ancora in tv e si leggono ancora sui giornali) è possibile. Siamo all’inizio di un percorso che durerà nel tempo, è importante guardare la luna e non il dito perché il VAR è tutt’altro che “closed”.
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