Caldara saluta il calcio giocato: "Il Milan era la mia grande possibilità"

Caldara saluta il calcio giocato: "Il Milan era la mia grande possibilità"MilanNews.it
© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews
Oggi alle 11:48Gli ex
di Enrico Ferrazzi

Mattia Caldara, ex difensore del Milan, ha scritto una lunga lettera pubblicata da gianlucadimarzio.com nella quale ha annunciato il suo addio al calcio giocato. Questo l'estratto sul suo suo arrivo in rossonero e l'inizio del suo calvario:

"L’inizio della fine

Sono arrivato al Milan. Era la mia grande possibilità. In quei colori erano racchiuse le mie speranze. Ottobre, un allenamento come tanti altri. Stavo correndo, all’improvviso una sensazione mai provata prima, come se qualcuno mi avesse sparato sul tendine. Pensavo che qualcuno mi avesse calpestato la caviglia. Mi ero voltato a guardare: non c’era nessuno. Ricordo la faccia di Maldini mentre ero sul lettino. Leggevo il dispiacere sul suo volto: avevo capito tutto. Mesi per recuperare, a marzo ero pronto per scendere in campo. Sono rientrato in Coppa Italia contro la Lazio.

“Mattia Caldara è tornato”. Ero pronto per il mio debutto in campionato. Musacchio era squalificato, sarebbe toccato a me. Sarei tornato a giocare in Serie A, finalmente. Quanto avevo aspettato quel momento. Mi sentivo bene. Mi sentivo bene anche in quell’allenamento del giovedì. Avevo aspettato quel momento per un anno. Tutto finito in pochi secondi. Ho quell’immagine davanti a me. Borini mi cade sul ginocchio. “Crack”. Mi sono rialzato in piedi per tornare a correre, non potevo essermi rotto ancora. Appena ho appoggiato il piede, sono crollato a terra. La gamba non mi reggeva, il mio ginocchio era spappolato. Un suono, un secondo, un istante. La mia anima era devastata. Qualcosa era cambiato in me. Dal tendine mi ero ripreso, il ginocchio era diverso. Lo sentivo. “Non tornerò più quello di prima”. Una pagina della mia vita si era chiusa per sempre. Io ancora non lo sapevo. In quella settimana la mia vita è cambiata. Cambiata per sempre. La mia testa non era pronta per sopportarne le conseguenze. “Mattia Caldara è finito”.

Calvario
L’inizio del mio calvario. Stava iniziando una nuova pagina della mia vita. Una pagina buia che sarebbe finita solo anni dopo. Nel mezzo un tendine rotuleo rotto e il problema alla cartilagine della caviglia che mi ha costretto a smettere. Ma tutto è cambiato con quell’infortunio al ginocchio. In quell’allenamento una parte di me è morta per sempre. Era stato messo la parola fine a delle pagine che avrei potuto scrivere. Pagine rimaste vuote, bagnate dalle lacrime e dalla frustrazione. Passi una vita intera dietro a un pallone. Poi basta un infortunio per cancellare tutto. Ogni giorno diventa uguale, fatto di dolore, dubbi, incertezza. Da vivere, passi a convivere. Convivere con una presenza costante, pesante, buia. Dal voler tornare ai tuoi massimi livelli all’arrivare a livelli accettabili e compatibili con il dolore provato. Un crack. Il mio mondo era stato (s)travolto. “Quando finirà tutto questo? Quando avrò un po’ di pace?”.

Il malessere mentale non è semplice da spiegare a parole. Finché non lo vivi, non se ne conoscono sembianze ed effetti. È simile a un velo. Invisibile, ma capace di opprimerti. Da fuori non si vede, ne osservi solo le conseguenze. E, con il suo silenzio assordante, piano piano ti cambia. Ti offusca i pensieri, ti fa perdere lucidità, ti crea una bolla in cui sei rinchiuso e di cui diventi prigioniero. Nuove realtà, nuove regole, nuove logiche. E così è stato per me. Un mio mondo fatto di malessere in cui ero convinto di stare bene. Cure, trattamenti e allenamenti continui. Doversi gestire. La testa che durante le partite è concentrata a non farsi male. Fingere di stare bene. Così per anni. Tanti pensieri che viaggiavano incontrollati nella mia testa. Ogni giorno. Ogni mattina. “Devi tornare a essere il Caldara dell’Atalanta”. “Continua a lavorare, devi farlo”. “Ma Caldara quando rientra?”. “Dov’è Caldara?”. Frasi, voci, dubbi. La testa era piena, i pensieri aumentavano. Incessanti, sfinenti. E io volevo dimostrare di esserci ancora. Dimostrarlo al mondo del calcio, a compagni e allenatori, ai miei cari, a me stesso. Aspettative, aspettative, aspettative".