2.13 - La legge del Pipita

Non è facile parlare di qualcosa globalmente noto. O già conosciuto nei dettagli. O ampiamente sviscerato in ogni particolare in precedenza. Se il tema è sulla bocca di tutti, significa che praticamente tutto sarà stato detto. Il rischio di cadere nel banale è immenso, quasi come lanciarsi in salto da un grattacielo all’altro. Serve dunque focalizzarsi su di un particolare, un dettaglio, un punto di vista alternativo mai esplorato prima. Ma andiamo con ordine, parliamo di Gonzalo Gerardo Higuaín. Destino lo vuole nativo di Brest, città portuale francese, nell’unica stagione in cui il padre Jorge prova l’esperienza lontana dalla sua Argentina. Ci torneremo.
Per quanto possa sembrare paradossale, la genetica mischia le attitudini di papà e mamma nel gracile Gonzalo, bimbo sballonzolato dal nord della Francia a Buenos Aires, ricomponendone i gusti al contrario. Da Jorge riceve poco o nulla, solo la vocazione verso el fútbol, ma dal mestierante difensore palla o gamba si tiene ben lontano. Da Nancy, Zalo prende l’infatuazione per il bello, il gusto della pennellata, un passione per la pittura ed un modo di muoversi in campo coerente con l’amore verso l’arte, nella quale è immerso fin da niño. Sembra danzare palla al piede, tanto potente quanto in controllo del proprio corpo e dello spazio a disposizione. Tutte nozioni che mamma, prima della malattia, gli instilla inconsciamente nel proprio calcio. La maniera di fluttuare tra i difensori avversari è pittoresca, con questi piccoli passi in sequenza che gli permettono di calciare al volo o di saltare il portiere, senza differenza di coefficiente di difficoltà. Elegante quanto decisivo, raffinato quanto letale. Un mix che, in 13 anni di carriera, lo porta ad essere uno degli attaccanti più forti del mondo. Con scalpi avversari e bandierine piantate praticamente ovunque.
Il figlio del Pipa, in italiano il figlio del “nasone”, non conosce mezze misure. È oltraggioso in campo e nelle statistiche. I numeri quasi lo offendono, ma dal suo sbarco nel pianeta Serie A vanno obbligatoriamente analizzati. Prima del Milan, solo due squadre hanno goduto dei suoi servigi: rispettivamente Napoli e Juventus. Dall’agosto 2013 al maggio 2018, Pipita non ha avuto rivali. Nessuno come lui, nessuno dominante come lui, nessuno incisivo come lui: in 177 gare di Serie A, i palloni recapitati in fondo al sacco sono 111. Allargando i criteri a tutti i match disputati con le due formazioni nostrane (dunque coppe incluse, italiane ed europee) il conto sale ad un vertiginoso 147 timbri. Non bastasse, il figlio di Nancy ha deciso anche di regalarsi un posto indelebile nella leggenda del campionato, cancellando e superando il primato all-time di Nordahl con 36 marcature in 35 sfide. La sua presenza in area porta il panico per chi lo affronta, venendo perseguito penalmente dalla legge 2.13. Meglio nota come legge del Pipita. Quando una squadra schiera il classe ’87 al centro del proprio attacco, l’argentino porta automaticamente in dote per la propria formazione 2.13 punti a partita. Avete letto bene, nessun errore di calcolo. E attenzione, trattasi di media totale della sua esperienza in Serie A, perché i numeri della scorsa stagione sono ancor più spaventosi. Nell’annata 17/18, con 35 presenze all’attivo nella massima serie, la legge del Pipita ha toccato un massimo di 2.46 punti a partita. Come vincere prima di iniziare, come partire automaticamente con un gol di vantaggio. Giunto a Milano, ora a San Siro c'è un nuovo sceriffo, pronto a far rispettare le proprie regole. Ed imporre severamente la legge 2.13, la legge del Pipita.

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