Il mondo reale di Stefano Pioli. Alla faccia delle griglie e delle solite polemiche strumentali

Minuto sessantasei di Roma-Milan. In un momento di totale controllo - o meglio, dominio - rossonero, Rade Krunic viene atterrato sulla trequarti difensiva dal giovane Felix Afena-Gyan. L'arbitro Maresca, che fino a quel momento aveva fischiato praticamente ogni contatto (alla fine saranno 32 i falli totali, di cui 19 giallorossi) ed elargito cartellini senza alcun criterio logico, non interviene e fa proseguire l'azione. Theo Hernandez, un po' goffamente, stende Pellegrini al limite dell'area e rimedia un sacrosanto secondo giallo, che gli impedirà di disputare il derby in programma domenica prossima. É senza dubbio l'episodio decisivo in una partita caratterizzata da troppe polemiche, molte delle quali strumentali. Così, José Mourinho ha potuto nascondere la pochezza espressa dalla sua squadra (e non è la prima volta che accade) sotto il solito tappeto dei "torti" subiti, mentre l'ennesima grande prova del Milan di Stefano Pioli è stata offuscata e sminuita.
É l'episodio decisivo perché il contatto (che c'è, nonostante alcune istantanee pubblicate sui social mostrino faziosamente altro) tra Ibanez e Ibrahimovic e il rigore trasformato da Kessié avvengono nella fase di massima pressione del Milan e di massima confusione della Roma, dopo il cambio tattico "rivedibile" effettuato all'intervallo dalla copia sbiadita - lo è già da alcuni anni - di uno Special One nervoso e attaccabrighe fin dal primo minuto. Il raddoppio, rimandato due volte in precedenza per questione di centimetri, sarebbe arrivato ugualmente, o almeno questa è l'impressione avuta da chiunque stesse guardando la partita. Giova sottolineare ancora una volta che il VAR non può assolutamente intervenire, su episodi valutati dall'arbitro, quando non è presente il "chiaro ed evidente errore". Per questo motivo anche il fallo subito da Krunic non può essere oggetto di revisione nonostante il metro tenuto da Maresca sia stato tutt'altro che permissivo. E nemmeno il contatto Kjaer-Pellegrini al 94', che c'è e ricorda vagamente quello di una settimana fa tra Alex Sandro e Dumfries, anche se ha una dinamica completamente diversa. Poteva invece essere rivisto il calcione rifilato da Veretout a Tonali negli ultimi secondi, ma a quel punto non ci aspettavamo nulla di diverso.
In ogni caso, non si ragiona con i "se" e con i "ma". Per chi ha visto "Ritorno al Futuro" o più recentemente la serie tv "Loki", non dovrebbero essere nozioni nuove: linee temporali diverse, tanti risultati possibili. Nel calcio, come nella vita, va così. Ogni singolo evento genera una serie infinita di variabili. Quindi non è assolutamente detto che la Roma avrebbe vinto se non fosse stato concesso il rigore su Ibrahimovic così come non è detto che avrebbe pareggiato se fosse stato assegnato il rigore nel finale. E non è detto che i rossoneri l'avrebbero portata a casa se fosse stato ravvisato il fallo su Krunic, anche se fino a quel momento non avevano praticamente mai sofferto.
Al netto dei ragionamenti da V(b)ar, a cui abbiamo dedicato sin troppo tempo e che purtroppo spostano i fatti su un altro piano di valutazione, la sensazione avuta è quella di un Diavolo in forma. Una squadra ben disposta in campo, tecnicamente sontuosa, veloce, che ha giocato in scioltezza per 80'. Una squadra che al completo può davvero sognare in grande ma che, nonostante una continuità spaventosa di risultati anche in piena emergenza, non viene incensata come meriterebbe. Dall'Ibra-dipendenza nel post-lockdown al presunto vantaggio di giocare negli stadi chiusi, fino ai "rigorini" della scorsa stagione, la storia continua a ripetersi. La verità è una: chi guarda solo gli errori arbitrali (ce ne sono in ogni partita e il Milan finora ne ha subiti almeno un paio davvero "chiari ed evidenti") e non riconosce quanto siano cresciuti calciatori e allenatore, è intellettualmente disonesto. L'unico cruccio, aspetto su cui si dovrà sicuramente lavorare, è quello di aver riaperto una sfida meritatamente chiusa dopo un'ora con un'ingenuità e un atteggiamento troppo rinunciatario, che il Milan non può permettersi perché la difesa a oltranza non è prevista nel copione di un gruppo che pratica un calcio propositivo. Come contro l'Atletico, il Milan in 10 ha smesso di attaccare e si è deliberatamente consegnato agli assalti dei capitolini. Tra i tanti pregi di Giroud non c'è quello di essere bravo a far salire la squadra; quel 5-3-1 senza un giocatore in grado di "strappare", abbozzare un contropiede o essere in grado di saltare l'uomo, poi, ha fatto il resto.
Così, il finale concitato era quasi fin troppo prevedibile. A Bologna il calo mentale fu più eclatante perché il Milan si ritrovò in doppia superiorità numerica, non in inferiorità; se si vuol fare il salto di qualità definitivo, allora, si dovrà evitare di rimettere in discussione match di questo tipo e imparare a gestire determinate situazioni, cercando possibilmente di non complicarsi la vita da soli. A quel punto, nessuna narrazione distorta potrà sottrarre alla squadra e a Stefano Pioli i meriti per lo straordinario lavoro svolto. Dieci vittorie su undici, alla faccia delle griglie di "merito" stilate a inizio campionato in base soltanto alla storia dei tecnici: per quanto il passato di qualcuno sia stato ricco di successi, bisognerebbe cercare di vivere più nel presente, nel mondo reale, e dare a Stefano Pioli quel che è di Stefano Pioli. Sembrava che Allegri - la panacea di tutti i mali della Juventus - dovesse surclassarlo; che Inzaghi, Sarri, Gasperini e Spalletti dovessero tenerlo alla larga dalla zona Champions. Quanto al Santone Mourinho, l'eremo sul quale si è rintanato da tempo lo ha reso vulnerabile, lontano parente di quell'allenatore-psicologo che anni fa faceva impazzire i rivali ed esaltava le folle. Ora è solo "uno tra tanti", seppur strapagato: un tecnico che scarica le responsabilità sui calciatori, sulla società, sulla classe arbitrale. É anacronistico, tatticamente superato, maledettamente "normale". La differenza è abissale.
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