La fortuna, gli aiutini e il leader cattivo. La banda di ragazzini ora fa davvero paura

Lunedì sera, durante la trasmissione Tiki Taka, Tiziano Crudeli commentava con la solita enfasi le ultime prestazioni del Milan, mentre in studio si incensava - giustamente - la magnifica Atalanta di Gian Piero Gasperini. Nulla di eclatante, se non fosse per un piccolo dettaglio: quando il buon Tiziano ha cominciato a parlare degli assenti nella sfida di sabato (e non solo), Chiambretti e i suoi ospiti l'hanno subito buttata in caciara. È un argomento che merita uno spunto di riflessione: il Milan che finora ha vinto e convinto, lo ha fatto quasi sempre in condizioni di grande emergenza, ma ciò non toglie che rinunciare ogni volta a 4-5 titolari sia molto complicato. Non dimentichiamo che l'Atalanta qualche mese fa sfiorava la semifinale di Champions e lottava per lo Scudetto, staccando i rossoneri in classifica di ben 12 punti. Oggi ne ha 7 da recuperare ma sembra esattamente il contrario. Di Inter e Juventus neanche stiamo a parlare, perché dovrebbero giocare un torneo a parte.
E quindi è già "crisi Milan". O meglio, è finito il "culo". La verità è che non sembra esserci una grande onestà intellettuale nel giudicare quello che sta faticosamente costruendo il Diavolo. Tra fortuna (!), aiuti arbitrali (i sondaggi sui rigori, le battutine di Gasperini e Zapata...) e demeriti altrui, sembra che l'attuale primato sia figlio solo di episodi casuali e che le recenti sconfitte siano tutte ineccepibili, quasi inevitabili. Al Milan (e solo al Milan) non si concedono alibi di alcun tipo. E questo, per carità, è meraviglioso perché è il frutto della strategia comunicativa di Pioli e della dirigenza. Mai una protesta, mai una scusa, mai una lamentela. Vietato fare le vittime, insomma, poiché in questo periodo storico è perfettamente normale lavorare in mezzo a mille difficoltà. Però dobbiamo anche essere capaci di analizzare a fondo quello che è successo: resta un mistero come in pochi abbiano sottolineato l'importanza dell'asse Romagnoli-Bennacer-Calhanoglu nella fase di costruzione della manovra; è soprattutto per questo motivo che i bergamaschi hanno dominato, costringendo i rossoneri ad affidarsi prevalentemente al lancio lungo. Qualora l'Atalanta fosse scesa in campo a San Siro priva di 4 elementi fondamentali, probabilmente la differenza non sarebbe stata così marcata. E probabilmente, in caso di sconfitta, avremmo riconosciuto alla Dea tutte le attenuanti del caso, piuttosto che produrre lodi sperticate e a senso unico.
Da un k.o. contro i nerazzurri a un altro, il Derby di Coppa Italia ha lasciato strascichi peggiori, nonostante sia piuttosto evidente la decisività di quel rosso nell'economia della partita. Il Milan, oltre a essersi riscoperto "umano", adesso è diventato troppo "fragile", sul campo e nella testa. Colpa, manco a dirlo, di Zlatan Ibrahimovic, che ha perso mediaticamente lo scontro tra titani con Romelu Lukaku. Uno scontro che ha fatto emergere, come spesso accade, una marea di contraddizioni: il belga è il "gigante buono", può dire tutto senza che la sua buona fede venga messa in discussione. Le sue frasi (censurabili e minacciose, dopo la sceneggiata per un fallo "normale" di Romagnoli) sono solo la conseguenza della provocazione del "mostro". È una retorica, quella che poi porta addirittura a gridare al razzismo e alla lunga squalifica solo per lo svedese, che ha davvero stancato. Confondere un episodio di campo (e chi ha bazzicato quelli dall'Eccellenza in giù sa bene cosa intendo) con qualcosa di più grave trascende la logica. Ha senza dubbio sbagliato nell'alludere a un fatto privato per innervosire l'avversario, ma non c'era alcun intento discriminatorio. Ha sbagliato e pagherà, come sta pagando un errore ancor più imperdonabile: aver dimostrato di non essere tornato in Italia solo per godersi una ricca pensione o lavorare da babysitter.
A 40 anni, Ibra è ancora un calciatore vero, capace di fare la differenza, con tutti i pregi e i difetti che lo hanno sempre contraddistinto. Fino a quando il Milan navigava in acque burrascose, la sua figura è stata esaltata. Il campione che corre in aiuto del suo vecchio amore e prova a riportarlo ai fasti di un tempo suscitava simpatia, ammirazione. Poi sono arrivati i gol (tanti) e le vittorie, e magicamente è riemerso il suo lato oscuro, arrogante e presuntuoso. Intanto, la banda di ragazzini da lui capeggiata è cresciuta, ha preso la testa della classifica e non l'ha più abbandonata. Forse il Milan non fa paura come un tempo, ma è diventato credibile nella lotta al titolo anche se gli obiettivi di inizio stagione erano altri. Nelle ultime settimane ha cominciato a perdere qualche colpo ma guai a lamentarsi, perché la sentenza è già stata scritta: il Milan è fortunato, aiutato dagli arbitri e in balia di un leader che sa dare solo il cattivo esempio. Non è meritevole di sedersi al tavolo delle pretendenti allo Scudetto. Quello che dovrebbe essere considerato un semplice calo fisiologico, si è trasformato in qualcosa in più di un banale campanello d'allarme. Senza correre il rischio di passare troppo per tifosi (lo siamo tutti), diciamo solo che ci vorrebbe un maggiore equilibrio.
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