29 giugno 1987, il primo trofeo del Milan di Berlusconi
29 giugno 1987. Primo importante successo, prestigioso sia pure non ufficiale, per il Milan da un anno presieduto da Silvio Berlusconi, che a San Siro si aggiudica la terza e ultima edizione del Mundialito per club; un trofeo decisamente ‘casalingo’, dal momento che la rassegna venne ideata da Canale 5 per radunare, con cadenza biennale, a partire dal 1981, a San Siro i club che si erano aggiudicati almeno una volta nella loro storia la Coppa Intercontinentale.
Le prime due edizioni, svolte nel 1981 e nel 1983, avevano visto il successo delle due storiche rivali rossonere, prima l’Inter e poi la Juventus, con un Milan ancora alle prese con la difficile fase di transizione degli anni funesti seguiti alle due retrocessioni in serie B tra varie vicissitudini societarie, ma capace comunque di dignitose prestazioni con blasonate rivali.
Piuttosto ‘snaturata’ rispetto al formato originale, tuttavia, quella rassegna: oltre ai due club padroni di casa, infatti, aderirono all’invito i freschi campioni d’Europa del Porto, a poco più di un mese di distanza dal successo di Vienna sul Bayern Monaco, che l’Intercontinentale l’avrebbero vinta in dicembre nella neve contro il Penarol a Tokyo; il Barcellona del bomber inglese Gary Lineker, capocannoniere un anno prima ai Mondiali messicani, che fino a quel momento non aveva mai conquistato né la Coppa dei Campioni-Champions League né, tantomeno, il titolo mondiale per club, così come i francesi del Paris Saint Germain.
Malgrado rinunce e defezioni e nonostante il caldo dell’estate appena iniziata buona fu la risposta del pubblico meneghino alla rassegna, soprattutto da parte della tifoseria rossonera desiderosa di lasciarsi alle spalle la prima, non proprio esaltante, stagione intera dell’era Berlusconi che, a dispetto di una sontuosa campagna acquisti, si era conclusa con una risicata qualificazione alla Coppa Uefa strappata alla Sampdoria al termine di un duro spareggio a Torino risolto nei tempi supplementari da Massaro; qualificazione che, sul finire di stagione, sembrava ormai compromessa, ma che Fabio Capello, subentrato all’esonerato Liedholm nelle ultime giornate, riuscì a conquistare mettendo in mostra, da debuttante assoluto su una panchina di serie A, tempra e carisma da vincente che il popolo rossonero avrebbe meglio conosciuto nel decennio successivo; ma sul momento il tecnico friulano era consapevole di essere un reggente pro tempore, avendo deciso il patron rossonero di affidare la panchina, per la stagione successiva, a uno sconosciuto ma promettente tecnico di provincia che, alla guida del Parma, squadra di B, aveva stupito tutti espugnando due volte la San Siro rossonera in Coppa Italia: Arrigo Sacchi. Così come consapevoli di essere al termine della loro avventura milanista molti dei giocatori a disposizione di Capello in quell’ultima fatica stagionale, dal deludente difensore ex romanista Dario Bonetti, primo acquisto concluso da Adriano Galliani, ad un Agostino Di Bartolomei ormai a fine carriera, all’inglese Ray Wilkins, che con il connazionale Mark Hateley, dopo tre anni di dignitosa militanza a Milanello aveva ricevuto lo ‘sfratto’ per far posto alla ventata di novità olandese rappresentata da Ruud Gullit e Marco Van Basten; ma per l’occasione c’è spazio anche per due volti nuovi, nell’occasione compagni ma destinati a diventare, di lì a poco, involontario terreno di scontro tra Berlusconi e Sacchi: l’argentino Claudio Daniel Borghi, fantasista di cui il patron milanista si era “innamorato” dopo averlo visto in azione a Tokyo nella finale Intercontinentale di due anni prima Juventus-Argentinos Jrs e al momento non tesserabile a causa dei regolamenti dell’epoca che non consentivano ai club di A di ingaggiare più di due stranieri per rosa, in attesa di un primo allargamento, a tre, per la stagione 1988-89, e l’olandese Frankie Rijkaard, amico e connazionale dei due nuovi colpi di mercato, in quel momento proprietà dello Sporting Lisbona ma che mister Arrigo avrebbe, l’anno dopo, forzatamente imposto come terzo straniero a dispetto dei desideri presidenziali, costringendo Braida e Galliani ad una a dir poco problematica trattativa con il club portoghese, che si sarebbe conclusa positivamente nonostante l’assedio dei tifosi lusitani alla sede dove era in corso la firma del contratto, che l’allora diesse dovrà nascondere nei pantaloni prima di riparare in aeroporto, scortato dalla polizia portoghese.
E proprio contro il Porto campione d’Europa esordisce nel torneo, un girone unico a cinque squadre, il Milan di Capello, schierando l’olandese e l’argentino contro i biancazzurri, nelle cui fila spiccavano l’attaccante algerino Rabah Madjer (eroe nella finale di Vienna con lo splendido gol di tacco che dava inizio alla rimonta sul Bayern completata, nel finale, dall’ex Inter e Avellino Juary, che un anno dopo sarebbe stato prima acquistato e poi clamorosamente scaricato dall'Inter di Trapattoni, per problemi fisici che faranno preferire al club nerazzurro l'esperto argentino Ramon Diaz come terzo straniero da affiancare ai tedeschi Matthaeus e Brehme) e l’astro nascente del calcio lusitano, Paulo Futre, destinato purtroppo ad una carriera rovinata dagli infortuni maturati nella breve parentesi italiana dove avrebbe transitato per un anno anche a Milanello, senza praticamente mai scendere in campo se non nell’ultima, ormai simbolica, partita contro la Cremonese già retrocessa.
Vince abbastanza nettamente il Milan contro una rivale che negli anni a venire sarebbe stata spesso protagonista di accessi confronti in Champions League: 2-0 con reti di Virdis e dello stesso Borghi, che nella sua prima apparizione a San Siro mostra subito buoni numeri, non meno tuttavia di Rijkaard, tra i migliori in campo.
Due giorni dopo tocca al Paris Saint Germain, che nella prima gara ha impattato 0-0 contro l’Inter; nel finale è Massaro a risolvere una gara su cross di un Borghi ancora in spolvero; nell’altro match netto 3-1 dei nerazzurri contro il Barcellona; i tifosi rossoneri sembrano davvero iniziare ad innamorarsi del funambolo sudamericano, che in queste uscite amichevoli sembrerebbe non soffrire dei problemi di ambientamento tipici dei suoi conterranei nel calcio europeo; ma Gullit, in tribuna con Van Basten e il nuovo mister, parlando di Rijkaard si lascia andare ad un profetico :”sarebbe bello giocare tutti e tre insieme qui”.
Il centrocampista olandese dopo due presenze si congeda (temporaneamente) da Milanello, richiamato dallo Sporting che però è costretto da intoppi burocratrici a darlo in prestito agli spagnoli del Real Saragozza, lasciando che le ultime due uscite siano la passerella d’addio per Wilkins; prima c’è il derby contro i nerazzurri che, per poter sperare di vincere il trofeo, devono vincere e sperare che nell’ultimo turno, dove non giocheranno, le rivali pareggino tra loro. Ne nasce invece uno 0-0 con poche emozioni, a parte le scintille in campo tra Borghi e il capitano interista Beppe Baresi, con falli e interventi duri .
Il pareggio, comunque, rappresenta per il Milan ipoteca quasi certa del successo finale, essendo sufficiente ai ragazzi di Capello, nell’ultimo match contro i catalani, un pareggio.
Invece arriva la terza vittoria, propiziata da un rigore contestato dai catalani che l’arbitro Lanese assegna e Virdis trasforma: ancora una volta è tuttavia Borghi la stella in campo, mentre il capocannoniere mondiale Lineker la vede pochino in campo; l’argentino fornisce a Wilkins due assist che l’inglese, alla sua ultima apparizione a San Siro, non riesce a trasformare. Al fischio finale applausi e complimenti per tutti da parte di Berlusconi, che nel dopopartita ha grandi elogi per Filippo Galli (“la stella di questo Mundialito. Costruiremo il nuovo Milan attorno a lui”) e ovviamente per il suo pupillo sudamericano (“ha fatto vedere più lui in queste partite che il Milan in tutta la stagione”). Capello alza la coppa e, sia pure momentaneamente come Rijkaard, si congeda lasciando il posto a Sacchi, che invece, come detto, sull’argentino Borghi la penserà diversamente dal presidente; e infatti, “parcheggiato” temporaneamente a Como nella stagione successiva, al primo vero contatto con la durezza del calcio italiano, dimostrerà tutti quei limiti che nei giorni del Mundialito non erano apparsi così evidenti; appena sette presenze in campo, incomprensioni con i due tecnici che in quell’annata si succederanno alla guida dei lariani, prima Aldo Agroppi poi Tarcisio Burgnich (da lui in seguito aspramente criticati per i loro metodi di allenamento) che al genio e alla sregolatezza dell’argentino preferiranno sistematicamente la regolarità e lo stile di Eligio Notaristefano, enfant prodige del vivaio comasco.
Sacchi arriverà al punto da minacciare le dimissioni se non verrà esaudita la sua richiesta di acquistare Rijkaard, e i fatti dimostreranno quanto avesse avuto ragione il mister di Fusignano, le cui perplessità sull’argentino non sarebbero venute meno, nei giorni successivi la conquista dello scudetto 1988, con le due positive prestazioni contro Manchester United all’Old Trafford e Real Madrid a San Siro, ideali passerelle per celebrare il tricolore appena conquistato, condite da tre reti che però, di fatto, rappresentano la fine di quello che avrebbe potuto essere e non sarà; la carriera di Borghi, dopo una breve parentesi in Svizzera al Neuchatel, si sarebbe invece snodata e poi conclusa in Sudamerica, tra Brasile, Cile e Argentina, senza particolari acuti fino al 1998 quando, a 34 anni, è costretto al ritiro a causa di un grave infortunio; intraprende la carriera di allenatore, che lo porta anche a guidare nel 2012 la nazionale cilena, dove è molto rispettato per il suo periodo al Colo Colo, la squadra più titolata del Paese.
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