La Premier scappa a gambe levate, la Serie A è ferma (per scelta?). Difficile invertire il trend, ma bisogna almeno provarci

Ottocentoventinove milioni di euro. È quello che le squadre di Premier League hanno speso durante la sessione di mercato invernale che ha chiuso i battenti nella serata di martedì, 31 gennaio. Un numero impressionante, anche difficile da quantificare per noi comuni mortali, ma che spicca ancora di più se paragonato a quanto investito negli altri top 4 campionati europei, ovvero in Francia, Germania, Italia e Spagna.
Questi i numeri nel dettaglio, forniti da transfermarkt.it: Ligue 1, 127.9 milioni spesi e 199.4 milioni incassati. Bundesliga, 67.7 milioni spesi e 66.25 milioni incassati. La Liga, 31,88 milioni spesi e 46.10 milioni incassati. Serie A, 32,22 milioni spesi e 67,05 milioni incassati. Per fare il confronto, in Premier i club hanno incassato dalle cessioni “solo” 100.42 milioni di euro, per un saldo negativo di 729,39 milioni di euro. L’unico altro campionato ad avere un saldo negativo è stata la Bundes, ma solo per 1,52 milioni: un dato che segue il trend delle altre leghe piuttosto che di quella davvero Super, quella Inglese.
Inutile e ridondante stare a parlare anche del Chelsea, che dopo i 282 milioni spesi in cartellini in estate questo inverno ha messo sul piatto ben 329 milioni, arrivando in soli sei mesi a più di mezzo miliardo (611 milioni) di euro! Un’anomalia nell’anomalia, che però non cambia di una virgola la realtà che mettono in mostra i dati sopraelencati: anche volendo ignorare i Blues gli investimenti combinati degli altri 4 campionati non raggiungono quelli della Premier League; la spesa dei club di massima serie inglesi ha rappresentato il 79% del totale dei cinque grandi campionati europei.
Dato impressionante e preoccupante, ma che non sorprende. Non sorprende perché, stando alle analisi di Deloitte riguardanti la stagione 20/21, in piena pandemia, i ricavi dai diritti televisivi per le squadre di Premier League sono stati superiori dei ricavi degli altri top 4 campionato: 3,77 miliardi della Premier contro i 3 miliardi di Liga e Bundes, i 2,5 miliardi della Serie A e gli 1,6 miliardi della Ligue 1. Un gap che è cresciuto a dismisura: nell'ultimo anno nella voce "introiti TV", l'ultima arrivata in Premier League ha incassato più del Milan primo in Serie A.
E quindi che si fa? Questo non vuole essere l’ennesimo pezzo in cui vengono sciorinati numeri su numeri da dare in pasto ad un pubblico per indignarlo, anzi. È comunque indispensabile conoscerle queste cifre per capire il contesto attuale del mondo del calcio. Un mondo che, cambiando momentaneamente argomento ma non discorso, vive di un monopolio inattaccabile, quello di UEFA e FIFA. Le recenti modifiche del Financial Fair Play da parte dell’ente di Nyon, entrate in vigore a giugno e che seguiranno un processo di tre anni prima di andare a pieno regime, sono un’ammissione di colpa palese sul fatto che il vecchio FFP non ha fatto altro che cristallizzare una situazione che già al tempo si delineava chiara: i club ricchi hanno continuato ad essere ricchi e competitivi, i club in difficoltà, o alla ricerca di una risalita, si sono trovati davanti una parete liscia, scivolosa ed invalicabile. Che ci fosse malcontento fosse noto, così com’è noto che è sfociato nell’ormai famigerata Super League, capeggiata da Juventus, Real Madrid, Barcellona e abbracciata anche dal Milan. Un progetto che è stato letteralmente rigettato non solo dai tifosi, ma anche da tutti gli enti governativi europei, che hanno preso le difese della UEFA e di Ceferin. La proposta effettivamente era in antitesi a molti principi della meritocrazia sportiva su cui si fonda il gioco del pallone, ma non per questo sbagliata in assoluto. Il mondo, soprattutto ai giorni nostri, è impossibile da classificare in bianco o nero: esiste una vasta scala di grigi. Quella Super Lega, spiattellata all’improvviso e senza particolare cura, era ed è effettivamente destinata al fallimento, ma non lo è il principio che ha guidato questa “rivolta calcistica” contro la “dittatura sportiva” della UEFA.
Nella giornata del 31 gennaio 2023 infatti il tribunale provinciale di Madrid ha pronunciato una sentenza clamorosa, riporta As, in favore della Super League, accogliendo il ricordo contro il Tribunale Mercantile numero 17 e respingendo l’opposizione della UEFA. Secondo il quotidiano spagnolo che è riuscito a visionare diversi documenti, dalle carte si legge che “FIFA e UEGA non possono giustificare il loro comportamento anticoncorrenziale come se fossero gli unici depositari di certi valori europei, soprattutto se questo deve servire come scusa per sostenere un monopolio dal quale poter escludere o ostacolare l’iniziativa di quella che aspira ad essere la sua concorrente, la Super Lega”.
È sicuramente un punto chiave di questa vicenda, che non riguarda UEFA e Super Lega ma tutto il movimento calcistico europeo. La partita non si è mai chiusa, anzi. È appena cominciata.
In questo flusso di coscienza, in questa riflessione partita dal gap incolmabile con la Premier, arriviamo dunque alla nostra Serie A. I numeri del mercato italiano sono un grido d’aiuto palese, se non necessario. Ma è tutto qui l’inghippo: i primi a doversi aiutare sono i club, in collaborazione con la Lega Serie A e la FIGC, in un clima che dovrebbe diventare quanto mai disteso e di unità. Bisogna far fronte comune ed adottare una strategia chiara e definita, con un progetto alla base, per quanto riguarda l’assegnazione dei diritti TV per il prossimo triennio (24/25, 25/26 e 26/27) per provare, almeno in piccola parte, ad avvicinarsi al modello inglese: raggiungere quei numeri richiede anni, pazienza, un progetto molto chiaro e anche un po’ di fortuna. Bisogna però iniziare.
Così come bisogna iniziare a mettere qualche “piccola” toppa qua e la, in attesa di come si vadano a delineare le questioni Super Lega e diritti TV. Fare mercato è più che mai difficile: per ogni fascia di giocatori ci sono squadre inglesi, dalle top a quelle di bassa classifica, che non hanno nessun tipo di difficoltà nell’investimento: pensiamo solamente a Zaniolo, talento di spicco della Serie A che nel finale di mercato ha ricevuto proposte da Milan (prestito con diritto) e Bournemouth (titolo definitivo), squadra terzultima in campionato. Il mercato brasiliano sta per essere monopolizzato, così come quello francese e tedesco: impensabile andare a caccia dell’affare low cost e di alto rendimento. Si inizi a puntare, ma sul serio, sui settori giovanili. La cultura italiana legata in modo assoluto al risultato non aiuta, ma la squadra B della Juventus, che ora ha portato in prima squadra talenti come Miretti e Fagioli, è la dimostrazione di come possa essere una strada percorribile. I costi sono mediamente elevati, è vero, ma nel lungo periodo può diventare una risorsa in più a cui aggrapparsi.
Così come ci si dovrebbe aggrappare agli stadi di proprietà, che in Italia, salvo rari casi, sono diventati una vera e propria chimera. Chiedere a Milan, Inter e Roma per informazioni. Le due squadre meneghine nell’estate del 2019 hanno iniziato un iter con il Comune di Milano per la costruzione di un nuovo San Siro, con abbattimento del vecchio impianto, che non è ancora decollato, anzi. In quasi 4 anni i club e i tifosi non sanno ancora se il nuovo stadio sorgerà a Milano oppure si sarà costretti ad emigrare nell’hinterland, tra Sesto San Giovanni e un’altra opzione ancora segreta, come dichiarato dal presidente Scaroni.
Come si può pensare anche solo di provare a competere senza un strumento così essenziale, che nel resto d’Europa è ormai alla base di ogni club da tanti anni? Come puoi vendere il tuo prodotto se le strutture sono vecchie, gli stadi cadono letteralmente a pezzi? Come puoi pensare di avere credibilità dopo l’ennesimo scandalo tutto italiano, tra plusvalenze e manovre stipendi torbide? Che appeal può avere all’estero un campionato in cui è purtroppo abitudine lasciar partire cori razzisti nei confronti di calciatori di colore o provenienti dall’est Europa? Che valore può avere questa Serie A? E mentre noi ce lo chiediamo, rimanendo fermi e piangendo sui numeri e sui risultati degli altri, il mondo va avanti e non ci aspetta. Scegliere di continuare a rimanere immobili sarebbe delittuoso e non rispettoso verso i milioni di tifosi italiani che ci mettono smodata passione, tempo e soprattutto soldi.