Modric: "Al Milan si deve giocare solo per vincere. Qui per chiudere un cerchio"

Modric: "Al Milan si deve giocare solo per vincere. Qui per chiudere un cerchio"MilanNews.it
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di Lorenzo De Angelis

Intervistato dai colleghi de Il Corriere della Sera, Luka Modric, il calciatore più longevo di tutta la Serie A, ha parlato di Milan, del suo presente, passato e futuro, toccando anche qualche delicato tema legato alla sua vita privata. Di seguito alcuni estratti della sua chiacchierata con i colleghi Aldo Cazzullo e Carlos Passerini. 

Luka, è vero che da piccolo era milanista?
"È vero. Ero milanista per via dell’eroe della mia infanzia: Zvonimir Boban, capitano della Croazia che sfiorò l’impresa al Mondiale di Francia del 1998".

La Croazia subì un torto clamoroso: in semifinale Thuram segnò il gol del pareggio dopo aver commesso un fallo evidente.
"Per noi fu comunque qualcosa di incredibile. Un Paese piccolo, che usciva da una guerra devastante, si affacciava sul mondo. Tutti ci sentivamo molto orgogliosi. Non avevo ancora tredici anni, e mio papà mi regalò la tuta del Milan".

Ed eccola qua, a Milanello.
"La vita ti sorprende sempre. Succedono cose che non avresti mai creduto possibili. Ero convinto di chiudere la carriera nel Real Madrid, invece... Questo però l’ho sempre pensato: se avessi mai avuto un’altra squadra, sarebbe stata il Milan. Sono qui per vincere".

Lo scudetto è possibile?
"Al Milan si deve giocare sempre per vincere, solo per vincere".

Già quest’anno?
"È possibile. Ma è lunga. Nel calcio devi pensare partita per partita. Se cominci a programmare a distanza di mesi, ti perdi".

Qual è il segreto della longevità sportiva? Come si fa a giocare al suo livello a quarant’anni?
"L’amore. Amare il calcio, pensare calcio, vivere per il calcio. Il calcio, con la famiglia, è la cosa più importante che ho. Il segreto è la passione. La dieta, l’allenamento sono cose secondarie. Per restare in alto a lungo serve il cuore. Io agli allenamenti sono felice come quando giocavo da bambino".

Ma il segreto di Modric non è tutto qui. Lei è uno dei più grandi calciatori in attività, ma sembra una persona normale.
"Appunto. Amo la normalità. La famiglia normale, la vita normale, le piccole cose. Non mi sento unico. Nella mia vita non ho mai pensato, neppure per un secondo, di essere superiore a qualcun altro. Se non avessi fatto il calciatore, mi sarebbe piaciuto fare il cameriere". 

La Croazia ha meno di quattro milioni di abitanti. Eppure eccelle nello sport, a cominciare dal calcio. In Russia nel 2018 e in Qatar nel 2022 l’Italia neppure c’era, voi siete arrivati secondi e terzi. Qual è il segreto?
"La mentalità. Saper soffrire, non arrendersi mai. Ci hanno insegnato che per ottenere qualcosa devi combattere. E poi devi difenderla. Il talento conta, ma non basta. Credo che l’esperienza della guerra abbia inciso, sotto questo aspetto, su tutta la mia generazione". 

Il calcio italiano invece è in enorme difficoltà. È la mentalità che manca?
"Forse sì. Ma spero di rivedervi al Mondiale. Io sono cresciuto con il mito del calcio italiano". 

In molti rivedono in lei Pirlo.
"Li ringrazio, il paragone mi onora: Pirlo ha sei anni più di me, ha aperto una strada. Ma il mio idolo, Boban a parte, era Francesco Totti. In Serie A avevate calciatori favolosi. Li guardavo e mi dicevo: quello è il calcio che voglio giocare". 

L'Italia si qualificherà al Mondiale americano?
"Non è facile, gli spareggi sono due partite secche, prima con l'Irlanda del Nord e poi in caso di vittoria Galles o Bosnia. Ma ho fiducia". (Dalla porta alle spalle di Modric suca Max Allegri, e sorridendo abbraccia il suo campione: "Mi raccomando, ascoltate bene il maestro: ha sempre ragione").

Che rapporto ha con Allegri?
"Finché non esce dalla stanza non posso dirvi niente! A parte gli scherzi, ha una personalità incredibile. Somiglia un po’ ad Ancelotti: sensibile, divertente, ama fare scherzi. Ma sul campo, come tecnico, è un grandissimo. Sa di calcio come pochi. Non lo conoscevo cossì bene, ma sono felice che oggi sia il mio allenatore". 

Appunto, Ancelotti?
"Carlo è il numero uno. Difficile trovare parole. Per il suo modo di essere, non solo per le sue qualità in panchina. Abbiamo parlato tante volte di Milano e del Milan, quando eravamo a Madrid. Anche per lui questo posto era unico. Ricordo quando lo conobbi. Io ero solo in città. Lui mi telefonò e mi disse: “Su, vieni a cena con me”. Parlammo per ore, di tutto. Di calcio, della famiglia, della vita. Di solito gli allenatori non danno confidenza ai giocatori. Lui sì".

Mourinho?
"Speciale. Come tecnico e come persona. Fu lui a volermi al Real Madrid, senza Mourinho non sarei mai arrivato. Mi spiace averlo avuto una sola stagione". 

Il più duro dei tre?
"Mourinho. L’ho visto fare piangere negli spogliatoi Cristiano Ronaldo, uno che in campo dà tutto, perché per una volta non aveva rincorso il terzino avversario. Mourinho è molto diretto con i giocatori, ma è onesto. Trattava Sergio Ramos e l’ultimo arrivato allo stesso modo: se doveva dirti una cosa, te la diceva. Anche Max è così: ti dice in faccia quello che va e quello che non va. L’onestà è fondamentale". 

Con Ibra, oggi consulente di RedBird, il fondo che controlla il Milan, che rapporto ha?
"Buono. Quando ci vediamo, parliamo nella nostra lingua, serbo-croato, e nessuno ci capisce".

Ibra nel 2020 è tornato al Milan a quasi quarant’anni. E ha vinto lo scudetto.
"Vediamo se riusciamo a rifarlo. Siamo inuna situazione buona di classifica, manca ancora molto e ci sono molte avversarie forti, ma può succedere. Mai dire mai. Abbiamo molti margini di miglioramento, il mister sta facendo un grandissimo lavoro. Il nostro obiettivo deve essere puntare sempre al massimo. Siamo il Milan ed è giusto così. Per me essere qui è aver chiuso un cerchio. Ora però pensiamo giorno per giorno, nel calcio come nella vita non bisogna mai ragionare troppo sul futuro. Dopo ogni partita, ce n’è un’altra".