L'attesa infinita per Alexandre Pato

Alexandre Rodrigues da Silva, semplicemente Pato per i più, è il più grande dilemma che abbia attanagliato gli appassionati rossoneri, e non, negli ultimi anni.
Giocatore dalle doti calcistiche innegabili, abbagliante rappresentazione di un calcio fatto di forza, esplosività e tecnica, gioiello dolceamaro di un Milan che non sembra ancora del tutto suo. A quei mezzi incredibili Pato abbina una fragilità muscolare ed un’indolenza tale, che non gli lasciano la piena fiducia di molti addetti ai lavori.
Nel suo editoriale, con il quale impreziosisce la nostra testata, Luca Serafini ha saputo strappare quella fotografia perfetta che vede Pato nei panni di una donna stupenda, ma inaffidabile e poco coinvolta, che ti lascia sorgere dubbi all’infinito, sino a quando decidi che è il momento di lasciarsela alle spalle, prima che ti appaia ancora una volta in tutta la sua bellezza, cancellando in pochi secondi tutti i dubbi e le incertezze, per lasciarti coinvolgere nuovamente dalla passione che nutri per lei (mi scuserà Luca Serafini per la sintesi di una figura retorica irripetibile).
Il paragone è il più calzante possibile, il ragazzo di Pato Branco ha saputo ammaliare tutti gli appassionati di calcio, a suon di gol e giocate da funambolo, allo stesso tempo ha mostrato il suo lato più fragile ed insofferente, dagli infortuni alle partite in cui è stato abulico protagonista di una prova indegna, tanto della maglia quanto, e soprattutto, delle doti personali, in cui passeggiava stanco e svogliato, senza infiammare uno stadio che ha saputo sorreggerlo e criticarlo.
Alexandre Pato è ad un passo dal suo rientro, l’ennesimo, lavora sodo (?) per essere presente il prima possibile, per tornare a fare ciò che gli riesce meglio, correre insieme al pallone (perché uno come lui non gli corre dietro, è il pallone che l’accompagna sin da quando si sono incontrati per la prima volta) sino ad invitarlo, più o meno delicatamente, a depositarsi alle spalle di quel portiere che guarderà ancora verso il cielo, allibito dall’ennesima giocata mostruosa del ragazzo di Pato Branco.
Alexandre Pato deve trovare continuità e consacrazione, lo meritano i suoi piedi, lo merita la sua storia, difficile molto più di quanto ci si aspetti, sin da quel tumore che ha colpito un ragazzino di soli 10 anni, passando per la separazione con la moglie dopo più o meno un anno, concludendo con i ripetuti problemi muscolari che gli hanno fatto versare lacrime a catinelle.
Il numero 7 rossonero (maglia pesante, che fu di un certo Shevchenko, espressione massima della continuità propria dei giocatori dell’est, splendido bomber dalla classe immensa) ha bisogno di fiducia e di essere spronato, stimolato, per diventare amante fedele di quel pubblico che non attende altro che un suo sorriso, di quel pallone che è lì, da sempre, ad attendere una sua carezza, che accetterebbe di buon grado anche una sferzata, purchè sia capace di spedirlo in quel paradiso di cotone che si erge alle spalle di un portiere imprecante.
Tutto il popolo rossonero è lì, ansimante, che non cerca dichiarazioni d’amore, ma che aspetta solo fedeltà e sicurezza, quella che hanno saputo regalare Van Basten e Shevchenko, bomber unici, che da anni provano a lanciare a Pato quel fil rouge (et noir) fatto di gol per il diavolo, adesso sta solo a lui chinarsi e coglierlo, con la speranza che nel farlo non incappi nell’ennesimo risentimento fisico…

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