MISSIONE MONDO!
Puntuale come sempre, nel mese di Dicembre si assegna il titolo di Campione del Mondo per Club, quello che oggi è chiamato Mondiale per Club e che fino al 2003 era la mitica Coppa Intercontinentale. Inutile e superfluo ricordare che la Coppa Intercontinentale veniva assegnata alla vincente della sfida tra la squadra Campione d’Europa per club (la vecchia Coppa dei Campioni, attuale Champions League) e la squadra vincitrice della Coppa Libertadores (che designa i campioni del Sudamerica). Le prime edizioni assegnavano il titolo attraverso due partite di andata e ritorno che si disputavano nei rispettivi continenti, ma dopo l’edizione del 1969, a causa del clima intimidatorio e poco sportivo che si “respirava” in Sudamerica, si decise di disputare il trofeo in gara unica da disputarsi in campo neutro, a Tokyo.
La gara “unica” giapponese, ha sempre rivestito un fascino particolare, soprattutto per chi ha avuto la fortuna di disputarla e viverla. Per “quelli” che non hanno mai avuto l’opportunità di disputarla si tratta di un insignificante “torneo dell’amicizia”, ma per chi a Tokyo ci è arrivato, rappresentava l’opportunità di “quadrare il cerchio”, e cioè di fregiarsi del titolo di campione del mondo dopo essersi laureato campione del proprio continente. Che non si trattasse di un torneo di scarso valore, lo dimostrava l’accanimento feroce con cui le squadre si giocavano la vittoria (soprattutto quelle sudamericane), segno tangibile che tutti, una volta arrivati lì, ci tenevano molto a mettere quella coppa in bacheca.
Fu proprio attraverso un’autentica battaglia che il Milan conquistò la sua prima Coppa Intercontinentale, quella epica della Bombonera contro l’Estudiantes (a cui abbiamo già dedicato una puntata a parte lo scorso anno) nel 1969. Da allora i rossoneri non avevano più avuto la possibilità di disputarsi il trofeo, e quindi, non avevano mai avuto la possibilità di mettersi in viaggio per il Giappone. La voglia era tanta, soprattutto per il “fascino” che quella gara esercitava. Quando nei primi anni 80 Canale 5 trasmise la finale tra la Juventus e l’Argentinos Juniors (vinta dai bianconeri ai calci di rigore dopo una partita spettacolare), noi italiani scoprimmo quelle immagini patinate che arrivavano dall’Oriente, ma, soprattutto, scoprimmo “le trombette” dei tifosi giapponesi, un suono incessante per tutta la durata della partita che dava la sensazione che si giocasse in un gigantesco alveare. Quella sera nacque il sogno di vedere almeno una volta il Nostro Milan giocare quella finale. In quegli anni per un milanista un “sogno” sembrava destinato a rimanere tale, visto che nella prima metà degli anni ottanta eravamo impegnati a fare la spola tra la serie A e la serie B, e d il massimo dell’ambizione poteva essere una qualificazione in Coppa Uefa. Quando nel 1986 Silvio Berlusconi divenne proprietario del Milan, la “mission” dichiarata fu quella di “riportare, in pochi anni, il Milan sul tetto del mondo”. Mamma mia! Che peso che avevano quelle parole: significava che il Nostro Milan avrebbe dovuto vincere prima lo scudetto, poi la Coppa dei Campioni e quindi, dulcis in fundo, la Coppa Intercontinentale. Ecco, proprio la Coppa Intercontinentale avrebbe dovuto essere la ciliegina sulla torta di una scalata inimmaginabile ed impensabile anche per il più fanatico dei milanisti. Ed invece, come promesso, nel giro di un paio d’anni il Milan conquistò in sequenza prima il suo 11° scudetto e poi la sua terza Coppa dei Campioni. Arrigo Sacchi aveva appena dato l’avvio alla costruzione di quella che sarebbe diventata la squadra di club più forte di tutti i tempi. Subito dopo il fischio finale di Milan-Steaua, la mente corse alla possibilità di prolungare quel momento magico con la disputa delle competizioni supplementari rappresentate dalla Supercoppa Europea e dalla Coppa Intercontinentale. La possibilità di incrementare il bottino era allettante. Dopo la conquista della Supercoppa Europea contro il Barcellona, nel mese di Dicembre del 1989 (precisamente il giorno 17) il Milan avrebbe dovuto incontrare all’Olympic Stadium di Tokyo i colombiani dell’Atletico National di Medellin. Quando arrivò la notizia che a contenderci il titolo mondiale sarebbe stato il Medellin, tutti tirammo un sospiro di sollievo per il fatto che non avremmo dovuto affrontare le blasonate e temute squadre brasiliane e argentine.
Come poteva una onesta squadra colombiana impensierire la corazzata di Sacchi? Col tempo cominciarono a trapelare le prime notizie! I colombiani erano guidati da Francisco Maturana, una sorta di santone del calcio del suo paese, che disponeva la sua squadra a zona. Il suo giocatore più rappresentativo era il portiere, tale Higuita, di cui si raccontava di tutto: un estremo difensore che prediligeva l’uso dei piedi a quello delle mani, che si spingeva spesso fuori dall’area con la palla al piede, e che spesso si incaricava di tirare anche i calci di punizione. Il quadro che ne veniva fuori faceva pensare più ad un personaggio goliardico che ad un portiere di calcio. Insomma, non ci sarebbe dovuto essere match!
Il 17 dicembre puntammo la sveglia alle 4 del mattino, e nel cuore della notte ci mettemmo davanti alla tv con la convinzione di dover sbrigare una formalità. Invece, come spesso accade nel calcio, per più di due ore sembrò di vivere un autentico incubo.
Arrigo Sacchi, privo di Ruud Gullit, inizialmente schierò questa formazione:
Giovanni Galli, Tassotti Maldini, Fuser, Costacurta, Baresi, Donadoni, Rijkaard, Van Basten, Ancelotti, Massaro.
Maturana rispose con: Higuita, Escobar, Gomez, Herrera, Cassiani, Pèrez, Arango, Alvarez, Arboleda, Garcia, Trèllez.
L’incubo era rappresentato dal fatto che sembrava che il Milan giocasse contro sé stesso, allo specchio. Stesso modulo, stesso “credo”, stessa applicazione, stessa attenzione ai minimi particolari. Venne fuori una delle partite più “equilibrate” della storia del calcio. I colombiani adottarono un atteggiamento speculare che aveva come obiettivo quello di portare il Milan ai calci di rigore; consapevoli della loro inferiorità, i sudamericani lasciarono il pallino del gioco al Milan, badando esclusivamente a difendersi attraverso una attenta copertura di tutte le zone del campo. Il brillante Milan di Sacchi fu irretito per tutti i 90’ dei tempi regolamentari, non riuscendo praticamente mai ad impensierire il famoso Higuita. Sacchi provò a dare una svolta mandando in campo Evani e Simone al posto di Fuser e Massaro. Niente di fatto, equilibrio totale anche nei supplementari. Tra l’incredulità, la rassegnazione ed il sonno, i calci di rigori ci sembravano inevitabili. Ma al 119’ il lampo: dopo due ore di gioco, Marco Van Basten interruppe il tran-tran con uno scatto che sembrava quello giusto! Un difensore colombiano, nell’unica circostanza in cui fu sorpreso, fu costretto a commettere il fallo praticamente al limite dell’area. Punizione. Intorno al pallone ci sono diversi milanisti, mentre Renè Higuita dispone la barriera. Nessuno, nel frattempo, ha chiesto la distanza all’arbitro Fredriksson! Chicco Evani, accortosi che la barriera non copriva bene il palo, decide di provare la battuta a sorpresa. Il tiro, rasoterra, aggirò la barriera e si insaccò nell’angolino basso alla destra del sorpresissimo portiere colombiano. Finalmente! Come d’incanto l’incubo si trasformò in un dolcissimo sogno, e finalmente si potè lanciare l’urlo di liberazione che squarciò il silenzio dell’alba.
Le immagini ci mostrarono lo scatto di Adriano Galliani, in cappotto, verso il centro del campo per andare ad abbracciare i “suoi ragazzi” che rincorrevano Evani. Per fortuna si arrestò in tempo. Altrettanto storico l’abbraccio di Silvano Ramaccioni ad un invasato Arrigo Sacchi. Non ci fu neanche il tempo di riprendere a giocare. Il fischio finale dell’arbitro sancì la conquista del Milan del titolo Intercontinentale.
Una gioia immensa, la realizzazione di quanto promesso dal nostro Presidente: il Milan, dopo vent’anni, era tornato sul tetto del Mondo. E non sarebbe neanche stata l’ultima. La banda di Sacchi si sarebbe ripresentata sullo stesso campo anche l’anno successivo, per completare un altro slam internazionale. Dopo la seconda Coppa Campioni consecutiva (contro il Benfica) e la seconda Supercoppa Europea consecutiva (contro la Samp), arrivò anche la seconda Coppa Intercontinentale consecutiva ai danni dei paraguayani dell’Olimpia di Asuncion. Finì 3-0 con gol di Rijkaard (doppietta) e Stroppa e con una partita memorabile di Marco Van Basten.
Pazzagli, Tassotti, Maldini (sostituito al 25’ da F.Galli per infortunio), Carbone, Costaurta, Baresi, Donadoni, Rijkaard, Van Basten, Gullit e Stroppa furono gli uomini che fecero l’ennesima impresa di quello splendido ciclo sacchiano: il Milan, sotto la guida del tecnico di Fusignano, vinse tutte le finali alle quali partecipò! Ma quello che più rimase negli occhi di tutti fu il modo con cui tali vittorie arrivarono, attraverso un gioco di grandissima qualità.
Per fortuna i viaggi giapponesi del Milan non finirono lì, ma questa è già un’altra storia.
di Gianpiero Sabato
Clicca QUI e leggi la terza pagina di MilanDay
Testata giornalistica Aut.Trib. Arezzo n. 8/08 del 22/04/2008
Partita IVA 01488100510 - Iscritto al Registro Operatori di Comunicazione al n. 18246
Direttore editoriale e responsabile: Antonio Vitiello
© 2024 milannews.it - Tutti i diritti riservati