Ricordo struggente delle grandi sfide del Milan di Gullit con l’immenso Diego. Paragoni e suggestioni dopo l’ultimo confronto di Napoli e col futuro

Ricordo struggente delle grandi sfide del Milan di Gullit con l’immenso Diego. Paragoni e suggestioni dopo l’ultimo confronto di Napoli e col futuroMilanNews.it
giovedì 26 novembre 2020, 00:00Editoriale
di Franco Ordine

È inevitabile affacciarsi al nuovo giorno con un ricordo-testimonianza di Diego Armando Maradona, il più grande dell’era moderna. Nella storia recente incarna un duello spettacolare che ha infiammato il calcio italiano rendendolo ancora più attraente agli occhi dell’Europa e del mondo. C’è un episodio che lega Diego indissolubilmente al Milan e sono i match scudetto cominciati nell’88 e andati avanti fino al ’90, la stagione della monetina. Qualche giorno prima della sfida decisiva del 1 maggio’88, Diego Armando provò a dare la carica ai suoi che sembravano sfiduciati e anche preoccupati dall’arrivo del Milan. “Non voglio vedere nemmeno una bandiera rossonera” chiese il Masaniello. E Napoli rispose dipingendo d’azzurro tutto lo stadio. Solo uno spicchio minuscolo fu riservato ai curvaioli del Milan ritornati poi con lo stesso aereo di calciatori e giornalisti la sera dello spettacolare 3 a 2 concluso dagli applausi dei tifosi napoletani. “Guardale, guardale, guarda le bandiere, Maradona, sono rossonere”: così cantavano la loro sfrenata gioia gli ultrà, preludio all’inizio di quella straordinaria cavalcata che è stata l’epopea berlusconiana del Milan.

Il Milan di oggi è un’altra storia, ha un’altra proprietà (a proposito, dopo gli ultimi documenti pubblicati dai siti calcioefinanza e derbyderbyderby il dibattito mi appare chiuso) egualmente solida come la Fininvest di quegli anni e sembra rivivere le stesse emozioni di quei primi mesi dell’87 quando con uno sconosciuto in panchina e tre olandesi a disposizione, furono piantate le radici di un trentennio unico e irraggiungibile, scandito da trionfi memorabili. Tra le possibili analogie se ne possono ricavare anche cento altre. Perché il primo Gullit, accolto come un profeta, con quei cappellini con le trecce che divennero il simbolo di quel Milan, somiglia in qualche modo all’ultimo Ibra. Entrambi hanno dato coraggio fisico e calcistico a un team che arrivava da un lungo periodo di stenti economici (ai tempi di Farina presidente il ristorante di Milanello veniva affittato per ricevimenti) e di modesti risultati patendo la florida posizione dell’Inter passata da Fraizzoli a Ernesto Pellegrini.

       Al tempo di Diego, il rivale numero uno di quel Milan, la sfida del 1 maggio ’88 segnò il passaggio del testimone scudetto dai napoletani ai milanisti e può avere una qualche parentela con il recentissimo esito della sfida di domenica scorsa, dominata da cima a fondo dalla sagoma gigantesca di Ibra. Uscendo definitivamente dalla suggestione di un parallelo molto ardito, è possibile pensare che soltanto a fine anno e al culmine della striscia di impegni che si fermeranno il 23 dicembre (9 partite davanti tra campionato ed Europa league), si potrà valutare se la tenuta del Milan di Pioli è tale da autorizzare non solo qualche investimento produttivo sul mercato di gennaio ma anche trasformare ciò che oggi è solo una ipotesi in qualcosa di più concreto. C’è una sola evidentissima differenza rispetto a quel magico periodo ed è rappresentata dalla scadenza attuale di alcuni contratti, come quello di Gigio Donnarumma che può essere paragonato al Franco Baresi dell’epoca. Ricordo, per chi l’avesse dimenticato, che quando la trattativa per passare da Farina a Berlusconi stava per decollare, ad Arcore si presentò Dino Armani candidandosi come socio dell’operazione e propose al Cavaliere di cedere subito dopo l’acquisizione del club Franco Baresi alla Samp del suo amico petroliere Paolo Mantovani. Berlusconi capì allora che avrebbe dovuto fare da solo l’affare del Milan.