Se non bastano otto milioni per amare una maglia...

Se non bastano otto milioni per amare una maglia...MilanNews.it
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport
giovedì 27 maggio 2021, 13:24News
di Nicholas Reitano
fonte Luca Serafini

Ci ha provato e ci è riuscito con tutta la grazia che Iddio e i suoi genitori gli hanno donato: Paolo Maldini si è congedato dal portiere e capitano del Milan, Donnarumma, allargando le braccia e spiegando come oggigiorno bisogna capire che i professionisti scelgono. Se ne vanno.

Paolo non è caduto nella trappola della cavalcata in groppa all’entusiasmo di critici e tifosi, tutti concordi nell’applaudire la fermezza del dirigente ed ex bandiera milanista di fronte alla granitica avidità dei suoi interlocutori. Nel calcio le bandiere, le maglie, l’attaccamento, il senso di appartenenza sono ormai retaggi e li vivono soltanto i tifosi dell’ultima generazione 1900, perché i millennial sembrano più propensi a smanettare sui social, insultando o esaltando, che a frequentare stadi e casomai salotti con tv. Rigorosamente stando lontani dai campi di calcio e per lo più da attività che comportino fatica e sforzo fisico.

Donnarumma non è millennial per un pelo, essendo un febbraio ‘99, ma somiglia a molti dei suoi coetanei per miopia e indolenza. Già adulto nella scelta del più famelico procuratore al mondo, quel Mino Raiola per il quale i contratti sono semplici equazioni inanimate (banale, no? Eppure c’è gente che si indigna e si stupisce), l’ex portiere e capitano del Milan è rimasto invece estremamente e strategicamente ragazzino di fronte a scelte e decisioni: “Faccio quello che mi dice Raiola”, ha ripetuto a Maldini, come se avesse di fronte la maestra dell’asilo.

Gratitudine, passato, crescita, maturazione in una vita rossonera (250 partite a 22 anni con quella maglia sono un imbattibile record) restano impresse sullo scontrino, cifre nude e morte: una proposta di rinnovo a 8 milioni più bonus dal suo amato, amatissimo club non è bastata né a lui né al suo manovratore. Maldini si è alzato dal tavolo in silenzio e gli ha battuto una pacca sulle spalle: grazie, arrivederci, buona fortuna.

Le grandi, miliardarie proposte di altri club non sono mai esistite. È stato Raiola a offrire il ragazzo qua e là come un orologio di valore, come una partita di “Lacoste”, come merce di marca dal produttore al consumatore, senza paura di restare con il cerino in mano. Cosa che sarebbe probabilmente accaduta senza le noie fisiche di Ter Stegen, portiere del Barcellona, cui adesso Donnarumma interessa: e te credo, cartellino a costo zero – era in scadenza di contratto -, ingaggio da discutere. Sarà comunque un affarone come quelli del vecchio Conte Oliver, che li annunciava anonimo da una cabina del telefono in “Alan Ford”.

Adesso i social sono intasati di insulti da parte di una tifoseria entusiasta per la squadra, ma avvelenata infine per i teatrini di Donnarumma (questa era la terza volta in 4 anni che bisognava rinnovare). Riconquistata la Champions dopo 7 anni nel club tanto amato e che per primo lui stesso ha festeggiato in lacrime “Lacoste” a Bergamo, domenica 23 maggio, a 8 milioni l’anno più bonus sarebbe stato bello continuare insieme per altri – che so – 3 o 4 anni, e poi a 25/26 andarne a prendere 100 all’anno in un sultanato qualsiasi.

Già. Forse in una favola in cui il principe sveglia Biancaneve con un bacetto.
Nel mondo reale del calcio invece il club più amato è il Conto Corrente. Corrente perché vi scorrono fiumi di quattrini.

Orgoglio e dignità? Già Lucio Battisti cantava 40 anni fa che non hanno prezzo, quelli. La mela se la mangi la strega: Biancaneve se ne va senza neppure bisogno del principe.

Di Luca Serafini