The making of Camarda, il suo 1° allenatore: "Per fermarlo dovevo metterlo in porta"
È arrivata finalmente la firma di Francesco Camarda al Milan. Il wonderkid rossonero si lega fino al 2027 col club che riesce ad allontanarlo dai grandi club europei grazie anche alle condizioni economiche da predestinato. Ai microfoni di MilanNews.it è intervenuto il suo primo allenatore, Massimo D'Amaro, che l'ha visto crescere all'Afforese.
Massimo D'Amaro, un suo allievo sta scalando con impressionante velocità le gerarchie del calcio. Come si sente?
"Io sono contentissimo per Francesco. Ha fatto fin qui un percorso fantastico, giusto da premiare come dimostra la finale dell'U17 dove ha dimostrato che le qualità le ha e non sono sporadiche".
Si è capito immediatamente che aveva a che fare con un predestinato?
"Guardi, di solito un giocatore passa in 3-4 squadre prima di entrare in un club professionista. Da noi è arrivato che non aveva nemmeno 6 anni e dopo poco più di un anno l'ha preso il Milan. Di fatto sono l'unico allenatore di un settore giovanile non professionista ad aver allenato Francesco, sicuramente mi fa un certo effetto. Del resto avevano subito visto delle doti fuori dal normale. A parte che era più grande fisicamente dei pari età, ma tecnicamente faceva vedere cose che difficilmente vedi a quell'età. Perciò il nostro lavoro su di lui era relativo. Certo, gli insegnavi la tecnica di base ma lui era già bravo di suo e apprendeva molto facilmente. Classico esempio di talento naturale".
Si aspettava questa esplosione così repentina?
"Diciamo che su di lui ci ho sempre creduto, coltivo da sempre l'idea che ce la farà, tanto che custodisco gelosamente il suo cartellino come un cimelio di valore. Questo è per dire quanto credo nella sua carriera. Sta bruciando tappe su tappe ma certo non mi aspettavo lo facesse con questa velocità".
Che bambino era Francesco?
"Molto competitivo per l'età che aveva. Se tu lo cambiavi durante la partita non dico che piangeva ma ci rimaneva molto male, non concepiva il cambio".
Vi sentite ancora?
"Sì, abbiamo mantenuto un rapporto di amicizia con lui e la famiglia, ma sin da subito. La mamma, peraltro, era dirigente dell'Afforese".
Ha un aneddoto sul Francesco bambino?
"Segnava valanghe di gol, ma parliamo pur sempre di bambini di 5-6 anni che quindi vanno gestiti. Perciò per bloccarlo, per cercare di limitare la quantità di gol che faceva ero costretto a metterlo in porta. La cosa bella è che a volte usciva palla al piede e segnava come portiere (ride, ndr). È qualcosa di incredibile, ma considerate che era 20 cm più alto dei bambini della stessa età e aveva questa capacità naturale nel saltare l'uomo".
Un consiglio che si sente di dargli?
"Di continuare a sognare. Finora ha sognato e ha raggiunto gli obiettivi. Arrivare in A è un sogno per tutti e lui ce la sta facendo".
Possiamo dire che c'è ancora talento in Italia?
"In 15 anni che alleno o seguo le scuole calcio mi sono capitati due casi notevoli: uno è Camarda, l'altro si chiama Manuel Trezzi ed è un 2011 della Pro Patria. Il problema a livello giovanile e che si cerca sempre di far fare ai ragazzi quello che vuole il mister quando in realtà bisogna coltivare la fantasia. Va bene insegnarli la tecnica di base, ma non devi bloccare un bambino. Se Francesco faceva una rovesciata gliela lasciavo fare, parliamo sempre di bambini che devono divertirsi. Il problema è sempre quello di anteporre il risultato a tutto il resto".
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