Calabria: "Durante l’ultimo anno e mezzo a Milano ho vissuto un momento personale molto, molto complicato fuori dal campo. Ora ho una psicologa"
Davide Calabria, ex capitano rossonero, è stato intervistato da Rivista Undici. Il terzino, che ora gioca al Panathinaikos di Rafa Benítez dopo una parentesi al Bologna, si apre come mai prima d’ora.
Ti sei fatto aiutare nei momenti difficili?
"Assolutamente. Da giovane non ero preparato. Ma ora ho una psicologa che mi aiuta da un po’ di tempo. È come se parlassi con un’amica diciamo, non solo nei periodi difficili. Anche se tutto è nato da lì, durante l’ultimo anno e mezzo a Milano ho vissuto un momento personale molto, molto complicato fuori dal campo. Ho avuto grosse difficoltà, nessuno sapeva niente. Forse qualche mio compagno più stretto poteva immaginare, pochi amici e genitori, ma nessuno sapeva, non volevo che si sapesse per essere totalmente concentrato sul campo o anche perché sono uno molto privato. Il calcio era la mia ancora, l’occasione per poter staccare la testa, o almeno provarci. Ma in realtà faticavo a trovare stimoli positivi in quel momento, ero davvero giù, è difficile da raccontare. È brutto perché pubblicamente non si sa niente, però poi ci sono le prestazioni e tutto il resto. Dovevo bilanciare le cose, separare vita personale e lavoro.
Ero arrivato a un punto in cui l’unica cosa che mi interessava era uscire dal momento buio. Dovevo fare qualcosa. Avrei voluto dare ancor di più a livello di leadership in un momento non semplice della squadra, ma qualche volta non ce la facevo ad aiutare come avrei voluto, faticavo ad aiutare me stesso in primis, era tosta. Farsi aiutare è fondamentale, ed è un mondo, la psicologia, che mi sta piacendo tanto. Si sta sdoganando adesso, mi auguro che in futuro tutte le società, anche a livello nazionale, facciano qualcosa da questo punto di vista, per sensibilizzare e dare una mano a chiunque. Il Milan forse è stata una delle prime società a muoversi, già nel settore giovanile c’era qualcuno, ma era un po’ troppo superficiale ancora. Tornassi indietro approfondirei prima questo mondo. Per un periodo ho avuto anche un mental coach, anche se è diverso dallo psicologo. Con lui parlavamo o facevo degli esercizi specifici sulla prestazione calcistica o sulla gestione consapevole delle pressioni varie, sono stati altrettanto interessanti e mi han fatto capire meglio certe cose. Si tratta veramente di un aspetto essenziale: se stai bene con la testa, rendi. L’importante è trovare la psicologa giusta. Come gli allenatori: con uno ti trovi benissimo, con un altro meno. È un aspetto molto soggettivo che cambia a seconda della persona. C’è anche un’altra questione".
Quale?
"Non basta dire alla psicologa “ok, ho capito”, voltarsi e dimenticare tutto. Non serve avere fretta, è necessario lavorare sui concetti, assimilare. Si tratta di un percorso lungo".
Come ci si isola dalle critiche in un momento duro?
"Dipende dal carattere di una persona e tante altre cose. Ho letto di Araujo che ha chiesto al Barcellona di fermarsi. Io non volevo fermarmi perché non era una questione di critiche, ma non volevo giocare male in un periodo buio personale, magari avrei dovuto, non lo so, non lo puoi sapere… A un certo punto decisi di aprirmi con i dottori del Milan per capire cosa poter fare per farmi aiutare e risolvere la situazione, insieme alla mia psicologa. Ripeto, della critica non me ne importava niente né me ne importerà mai. Anzi, in quel periodo ancora meno in realtà, era una questione tra me stesso e basta. Anche se a volte servirebbe avere più tatto nelle cose. Sono stato abituato da subito a essere esposto mediaticamente. Un ragazzo cresciuto in una realtà diversa dal Milan magari sarebbe crollato. Dipende davvero dal carattere e dall’esperienza che ognuno si ritrova, poi ci sono vari fattori e pensieri, quindi dipende. È personale".
E quindi chi è oggi Davide Calabria?
"Un uomo soddisfatto, ma in continua crescita e con ancora tante ambizioni e sfide davanti a sé. Sono molto contento d’aver vissuto momenti così brutti. È troppo facile vivere solo quelli belli, non ti aiutano molto. Passare attraverso esperienze dure, in cui magari non vorresti fare niente per giorni ma devi, ti forma a livello personale. Ho ventinove anni e sono contento del punto in cui sono arrivato. Credo sia più rilevante essere una brava persona, prima ancora che un buon calciatore. Saper stare al mondo, star bene con se stessi e nella società, sapersi relazionare con le persone. Poi tutti hanno pregi e difetti ovvio. Oggi sono felice".
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