Milan-Como in Australia? Il Commissario dell'UE per lo sport dice no alle partite fuori dall'Europa

Milan-Como in Australia? Il Commissario dell'UE per lo sport dice no alle partite fuori dall'EuropaMilanNews.it
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Oggi alle 19:22News
di Enrico Ferrazzi

Glenn Micallef, Commissario europeo per l'equità intergenerazionale, la gioventù, la cultura e lo sport nella Commissione von der Leyen II, ha detto la sua attraverso una nota inviata alla Gazzetta dello Sport in merito alla possibilità che Milan-Como si giochi in Australia: "Il calcio europeo appartiene all'Europa. Nelle ultime settimane quella che dovrebbe essere un’ovvietà è stata messa in discussione dalla decisione della Liga e della Serie A di disputare incontri di campionato al di fuori dell'Europa, negli Stati Uniti e in Australia. Quando ho sentito la tesi secondo cui giocare una sola partita di campionato fuori dall'Europa su 380 partite totali sarebbe innocuo, non potevo essere più in disaccordo. Una sola partita di campionato al di fuori dell'Europa è già una partita di troppo. Non si tratta di un semplice problema di programmazione. È una questione di principio, non di numeri. I club si basano sulla lealtà e sull'impegno dei tifosi e delle comunità, molti dei quali fanno grandi sacrifici personali per sostenerli in ogni circostanza. Privarli delle partite non è innovazione ma tradimento della fiducia. E questo è letteralmente un caso di 'privazione'. Non c'è un solo gruppo di tifosi che sceglierebbe di vedere la propria squadra giocare meno partite in casa. Da un recente sondaggio è emerso che oltre l'80% dei tifosi è contrario a veder disputare partite della Liga negli Stati Uniti: molti hanno citato a motivazione 'una disconnessione dalla comunità e dalla tradizione'. 

Anche l'Associazione spagnola dei calciatori professionisti (AFE) si è opposta a questa opzione, così come l’allenatore del Como, una delle due squadre italiane coinvolte nel caso in questione. Il calcio europeo appartiene all'Europa. Nelle ultime settimane quella che dovrebbe essere un’ovvietà è stata messa in discussione dalla decisione della Liga e della Serie A di disputare incontri di campionato al di fuori dell'Europa, negli Stati Uniti e in Australia. Quando ho sentito la tesi secondo cui giocare una sola partita di campionato fuori dall'Europa su 380 partite totali sarebbe innocuo, non potevo essere più in disaccordo. Una sola partita di campionato al di fuori dell'Europa è già una partita di troppo. Non si tratta di un semplice problema di programmazione. È una questione di principio, non di numeri. I club si basano sulla lealtà e sull'impegno dei tifosi e delle comunità, molti dei quali fanno grandi sacrifici personali per sostenerli in ogni circostanza. Privarli delle partite non è innovazione ma tradimento della fiducia. E questo è letteralmente un caso di 'privazione'. Non c'è un solo gruppo di tifosi che sceglierebbe di vedere la propria squadra giocare meno partite in casa. Da un recente sondaggio è emerso che oltre l'80% dei tifosi è contrario a veder disputare partite della Liga negli Stati Uniti: molti hanno citato a motivazione "una disconnessione dalla comunità e dalla tradizione". Anche l'Associazione spagnola dei calciatori professionisti (AFE) si è opposta a questa opzione, così come l’allenatore del Como, una delle due squadre italiane coinvolte nel caso in questione.

Il calcio è comunità. Lo so non solo come politico, ma anche come tifoso. Crescendo, ho seguito la mia squadra locale a Malta, lo Żabbar St Patrick, nella quale ho anche giocato e di cui sono stato membro del comitato esecutivo. I risultati del club erano i risultati di tutta la comunità. Quando la squadra vinceva, le strade si riempivano di bandiere, i vicini festeggiavano insieme e le organizzazioni della comunità – religiose, musicali e giovanili – mettevano da parte le differenze per sostenere la squadra e gioire insieme. Il calcio non è solo un gioco, fa parte della nostra identità. È un bene pubblico e uno dei legami più forti che ci tiene uniti come Europei. Milioni di persone in tutta Europa condividono i miei sentimenti e le mie convinzioni. Per loro il calcio significa appartenenza, portare i figli allo stadio, incontrare amici e condividere qualcosa tra generazioni. Il calcio non è solo un prodotto e i tifosi non sono meri consumatori o clienti, ma una parte essenziale della comunità. Una comunità senza la quale il calcio europeo non sarebbe quello che è oggi.

Per anni i tifosi di calcio hanno subito le conseguenze negative di accordi e decisioni. I prezzi dei biglietti sono aumentati ripetutamente. Gli abbonamenti a TV e servizi di streaming sono sempre più costosi. Eppure, nonostante la frustrazione, i tifosi hanno accettato questi oneri e sono rimasti fedeli ai loro club, nella buona e nella cattiva sorte. Sanno che i club hanno bisogno di risorse per restare competitivi, e contribuiscono emotivamente e finanziariamente. Ora viene chiesto loro di rinunciare a qualcosa di inestimabile: il diritto di vedere la propria squadra giocare in casa. E non è la prima volta. In alcuni paesi sono già state giocate finali di coppa all'estero. Tifosi che avevano aspettato decenni per vedere il proprio club in finale si sono visti negare quell’occasione forse irripetibile. In passato inoltre alcune leghe avevano cercato di spostare partite di campionato all'estero. Diciamo le cose come stanno: l'unica vera motivazione dietro questo piano è il profitto. In tale contesto, è importante notare che il calcio europeo ha già registrato entrate record per 38 miliardi di € nella stagione 2023/24, con una crescita dell'8% rispetto alla stagione precedente. E se il motivo alla base del progetto di spostare le partite in questione al di fuori dell'Europa è la sostenibilità finanziaria, allora possiamo aprire un confronto per trovare soluzioni in linea con i fondamenti del modello sportivo europeo. Ho in programma di tenere una tavola rotonda sulla governance nel calcio per affrontare questa e altre preoccupazioni.

Ciò che è in gioco qui è proprio l’integrità del modello sportivo europeo, che è fondato su club forti e basati sulla comunità. Senza la comunità, il modello crolla. Portare le partite di campionato nazionali fuori dall'Europa significa minare il cuore stesso del calcio europeo. L'aspetto territoriale delle competizioni è un principio cardine. Questo è il primo importante banco di prova per la governance dello sport dopo i tentativi falliti da parte di alcuni dei principali club europei di costituire una Superlega. I tifosi avevano ragione allora, e ce l’hanno anche oggi: il calcio appartiene a loro. Se si trattasse del mio club locale, sarei tra i primi a protestare per far sì che il messaggio arrivi chiaro: questo non deve accadere. Perché, in fondo, è semplice: le competizioni europee devono essere giocate in Europa. Non ci sono obiezioni a che altre competizioni siano disputate al di fuori dell'Europa, ma le partite di campionato nazionali sono un altro paio di maniche. Questo caso dimostra la necessità di un quadro più solido per limitare delocalizzazioni di competizioni nazionali dettate da considerazioni commerciali. Dovrebbe esserci maggiore certezza giuridica per tutelare l'integrità e l'equilibrio competitivo delle competizioni, preservando al contempo le fondamenta culturali e sociali su cui lo sport si regge. In preparazione della comunicazione della Commissione europea dal titolo "Una visione strategica per lo sport in Europa: rafforzare il modello europeo dello sport", a settembre sarà avviata una consultazione pubblica. Spero che i veri tifosi di calcio in Europa facciano sentire la loro voce. Il calcio europeo appartiene all'Europa".