G.Galli: "Allegri un fenomeno. Pulisic può giocare ovunque"

G.Galli: "Allegri un fenomeno. Pulisic può giocare ovunque"MilanNews.it
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Oggi alle 16:10News
di Federico Calabrese

Giovanni Galli è stato ospite sul canale YouTube di Carlo Pellegatti.

Su Berlusconi.
"Chi ha avuto il piacere di conoscerlo nel mondo dell'imprenditoria già sapeva con bchi aveva a che fare. Quando un personaggio del genere entra nel mondo del calcio, tutti arrivano con grandi proclami, e poi alla fine in pochi ci riescono. Il presidente era venti anni avanti a tutti, vedeva già oltre. Ciccio Graziani dice "sono talmente avanti che quando mi guardo indietro vedo il mio futuro", Berlusconi era questo. A Firenze stavo bene, arrivai al Milan con un presidente nuovo, con una storia recente difficile dei rossoneri. Accetto la sfida, ho accettato la sfida avendo l stesso ingaggio di Firenze. Ma dissi "se deve essere una sfida, che lo sia fino in fondo". Decisi con il mio procuratore di mettermi un premio personale per ogni trofeo che avremmo vinto. Non mi interessavano i soldi, l'importante era vincere le sfide".

I premi sulla coppa li hai ispirati tu?
"Non voglio prendermi meriti che non credo di avere, è stata una sfida lanciata a me stesso. Nell'85/86, l'ultima gara con la Fiorentina la giocai contro il Pisa. Vincemmo, andammo in Coppa Uefa e il Milan rimase fuori con il Pisa che andò in Serie B".

Il portiere come si trova con Sacchi?
"Avevo già una certa predisposizione, mi conosceva perché era stato un anno nella Primavera della Fiorentina. Sapeva che spesso stavo fuori dall'area di rigore, con Arrigo dovevi stare attento e concentrato perché un rinvio lungo avversario poteva diventare pericoloso. Dovevi essere attento, presi tanti senza voto al Milan ma Arrigo mi fece i complienti perché mi vedeva applicato, dentro la partita. Qualche parata ogni tanto poi riusciva anche a me".

Sulla difesa.
Era una difesa in crescita, Costacurta aveva 19 anni, Maldini anche, circa. Ragazzi che stavano crescendo, maturando. Facile giocare con quella difesa? Sì, se guarda la carriera che hanno fatto, ma all'inizio dovevamo imparare qualcosa di nuovo. Tassotti si è trasformato, al Milan arrivò con Liedhom e iniziò ad applicarsi sulla tecnica di base, con Sacchi divenne un martello. Arrigo lavorava per il gruppo, in funzione della squadra ma con un'applicazione sui singoli e sul reparto. Eravamo organizzati, avevamo fiducia lo'uno dell'altro, sapevamo i movimenti da fare e ci muovevamo in funzione del movimento. Baresi era il leader, dettava la linea e io dovevo fare le stesse cose. Quando dovevamo alzarci lo facevo anche io, bisogbava essere attenti Era piacevole, divertente. Sacchi spesso lo ricorda, ci faceva fare dieci contri cinque e non riuscivno a tirare in porta. Lì poi c'erano Van Basten, Gullit, non giocavamo contro la Primavera. 

La parata su Rush e quella su Careca.
"Giocando in quella maniera a volte subivamo, con Rush successe due volte in quella partita. Come arrivò sulla palla, io ero preparato a chiudere lo specchio. L'altra la rividi un po' di tempo fa, sono in ginocchio e rilancio immediatamente, questo era quello che voleva Arrigo. Eravamo una grande squadra difensiva del Mondo, difendevamo 20 metri lontani dall'area di rigore. Quando recuperavamo palla avevamo poco tempo per attaccare, all'epoca tutti si difendevano al limite dell'area di rigore. Arrigo ci ha spostato avanti, rimanendo compatti, corti, recuperando palla e ripartendo in velocità".

Il 50- del 19 aprile 1989, contro il Real Madrid. Nasce lì la leggenda del Milan di Sacchi?
La consapevolezza che ce la potevamo giocare anche a livello europeo, nell'estate dopo la vittoria del campionato. Giocammo a Manchester, Eindhoven, andando a fare queste partite prendemmo consapevolezza a livello europeo. Ora la domenica e il mercoledì devi sempre resettare il cervello, un conto è il campionato e un conto è l'Europa. Anche gli arbitri hanno parametri diversi, competizioni che ti portano via tante energie. Perdere dopo la Champions era più facile perchè ti portava via tante energie, dormivi poco, c'erano tante difficoltà. Era più difficile ricaricare le batterie dopo la Coppa.

La sfida contro il Mechelen ti ha consacrato?
"Due ce ne sono state, anche la partita di Belgrado contro la Stella Rossa. Quella partita fu uno spartiacque, se fossimo andati fuori la leggenda del Milan non sarebbe mai nata. Dieci giorni prima feci una grande partita in finale di Copp Italia contro la Juve, poi Mechelen e dopo andammo a Torino. Sacchi mi chimò: "Ho bisogno di te, sei in grandissima forma e la squadra era in difficoltà. Ho bisogno di te, delle tue prestazioni. Domenica a Torino giochi". Ero pronto. Giochiamo a Torino, fu una debacle in una giornata caldissima, perdemmo solo 3-0. Eravamo fermi. La domenica dopo c'era il derby, pensavo di essere riconfermato. Quando fece la formazione, non ero titolare. Lì decisi che il mio percorso al Milan probabilmente era terminato. 

L'abbraccio con Gullit dopo la sfida al Benfica.
"Eravamo un gruppo di uomini veri, uomini di parola. Ruud aveva avuto un infortunio, quando arrivò nello spogliatoio gli dissi che doveva solo recuperare che l'avrei portato io in finale e lui me l'avrebbe fatta vincere. Sapeva quale fosse il mio futuro, in quel momento capì il mio stato d'animo, mi venne ad abbracciare e fu un gesto che mi è sempre rimasto nel cuore".

Su Allegri.
"Penso che sia un fenomeno, sento tanti detrattori, questi filosofi che parlando di bellezza del calcio, come se fosse legato solo alla bellezza. E' solo una delle componenti, non quella fondamentale. La Coppa dei Campioni l'ha vinta Mourinho, Di Matteo, Klopp, Guardiola, Sacchi. Se ci fosse uno stile di gioco per vincere, tutti lo seguirebbero. Conta capire i tuoi calciatori e metterli nei ruoli in cui possono darti il contributo, senza forzature tattiche. Altrimenti si sblocca il talento, si toglie l'iniziativa. Di Allegri mi piacciono due cose: ha ridato certezze alla difesa, ha trovato tre interpreti, e sono felicissimo per Gabbia. Umile, mite, ha il Milan nel cuore e vederlo protagonista mi fa piacere".

Il gol di Pulisic al Torino ricordava un po' le movenze di van Basten in area?
"La velocità di esecuzione, la differenza è che Pulisic è un giocatore tutto offensivo, puoi farlo giocare ovunque, sa interpretare il ruolo ed è rapido nelle scelte. Marco era un talento, baciato sulla fronte dal Signore. Non ce ne sono stati tanti, Pulisic sta diventando un cecchino come lo era Marco nelle esecuzioni in ara di rigore. Ma anche se la forma è simile, uno era un panettone e l'altro è pandoro".