Serginho ricorda Berlusconi: "Era inimitabile, unico"
Intervistato questa mattina dai colleghi de La Gazzetta dello Sport, l'ex Milan Serginho ha svariato su più temi, da quelli delicati, come la morte dell'amato figlio Diego, a quelli spensierati come i ricordi dei suoi anni in rossonero.
Serginho, partiamo dall’argomento più duro. Poco più di un anno fa, nell’agosto del 2024, se ne andava suo figlio Diego. Come si convive con un dolore del genere?
"Non si può spiegare a parole la ferita che ti lascia un dramma così. Non mi abituerò mai a parlare della morte di Diego. Da quando non c’è più ho rimesso in discussione tutte le certezze che avevo. È il dolore più forte che un essere umano possa sopportare. Oggi vivo per lui, sono sicuro che ci aspetta un’altra vita in cui staremo insieme per sempre".
È successo tutto in fretta, anche le cause a lungo non sono state chiare…
"Aveva un dolore alla spalla, ma non capivamo. Era un atleta, faceva Ju Jitsu. Gli facemmo fare delle analisi, erano perfette. Poi, in un paio di settimane, è peggiorato. Ma quasi improvvisamente. So che la colpa è del fumo: passava tutto il giorno a “svapare” con la sigaretta elettronica. Era diventato un vizio".
I tifosi rossoneri le sono stati vicini?
"Tantissimo. Ho sentito tanto affetto nel momento più difficile, non lo dimenticherò mai».
Passiamo ora al suo Milan, facendo un salto indietro nel tempo. Si ricorda quando la prese Braida?
"Pensi che il giorno prima era venuto a vedermi Ancelotti, che in quel periodo allenava la Juve: facemmo un’amichevole a Fortaleza con la nazionale brasiliana. Lui ai bianconeri segnalò me, Dida e Marcio Amoroso… poi però arrivò Braida e anticipò tutti. Mi convinse in dieci minuti. Si presentò accompagnato da Edinho, un ex difensore con più di cento presenze in Serie A con l’Udinese. Tempo un mese ed ero in Italia agli ordini di Zaccheroni".
Già Zaccheroni, l’inizio con lui non fu facile…
"Un incubo! Passavamo almeno mezz’ora a fare sedute di tattica. Io mi chiedevo “ma quando lo usiamo il pallone?”. Allenamenti in cui facevamo 11-0, cose per me inconcepibili. Ero triste,soffrivo il freddo e volevo andare via".
Poi è arrivato Cesare Maldini ed è cambiato tutto.
"Devo ringraziare lui e Ancelotti. Maldini mi ha salvato la carriera: mi diceva di pensare solo ad attaccare, con lui vincemmo 6-0 il derby . Io ero sempre il migliore in campo. Poi è arrivato Carlo e la musica è cambiata definitivamente. Eravamo una squadra incredibile, la più forte del mondo in quegli anni".
A proposito di derby, ricorda quei 6 giorni tra le due semifinalI?
"Un’agonia, ricordo Berlusconi che entrò in spoglitoio a darci la carica. So che Nesta, Pirlo, Gattuso e gli altri se la vivevano molto male, complici giornali e tv. Noi brasiliani eravamo più sereni, lontani da questa pressione".
Il rigore segnato in finale resta il momento più importante della carriera?
"Sì, in generale la vittoria della Champions. Prima del rigore, con Buffon davanti, la porta sembrava piccolissima. Per fortuna, però, è andato tutto bene".
Negli anni vi siete tolti tante soddisfazioni. Grandi vittorie e due Champions alzate, che potevano essere tre…
"Io sono dell’idea che a Istanbul avremmo perso anche se avessimo giocato per una settimana intera. Era una serata maledetta, irreale. La parata che Dudek fece sul tiro di Sheva è sovrannaturale, ne ho parlato anche con lui anni dopo. In panchina, già prima dei rigori, eravamo demotivati e sicuri che sarebbe andata male. Lo dicemmo pure a Carlo: “Mister perdiamo, è stregata”. E infatti dal dischetto sbagliammo io, Pirlo e Shevchenko, i tre migliori tiratori dagli undici metri. Fu una questione mentale, non tecnica. O se vuole di stregoneria…".
Si dice che all'intervallo c'era chi festeggiva...
"Tutte caz...e. Successe invece il contrario: litigammo tutti, volarono anche parole. Capitava spesso infatti in quella stagione di subire cali di concen- trazione al rientro in campo. E si verificò anche a Istanbul. Ma si figuri se qualcuno ha osato festeggiare".
Quella squadra poteva contare su una grande dirigenza e un presidente d’altri tempi come Berlusconi. Conserva tanti ricordi?
"Eccome, potrei scrivere un libro. Era inimitabile, unico. Veniva spesso in spogliatoio, dando consigli di tattica e dicendo di dare spettacolo. Capitava anche che pranzasse con noi a Milanello. Le racconto questa: un giorno mi prese da parte per insegnarmi a difendere. “Ti spiego io come fare, devi giocare d’anticipo”, mi disse. E si mise in campo con una guardia del corpo e un paio di sagome a farmi vedere i movimenti".
Dopo la carriera Galliani e Braida le proposero di continuare con il Milan, creando un legame tra il club e il Brasile. Come andò?
"Mi chiamò Galliani mi chiese di svolgere questo ruolo: una specie di ponte tra la società e il Brasile. Abbiamo fondato un Milan Junior Club, coinvolgendo tanti ragazzi. In più, cercavo di suggerirgli alcuni talenti, girando per il Paese. Gli segnalai Miranda e Thiago Silva, Braida si innamorò del secondo. Aveva già un pre contratto con l’Inter e sul giocatore c’era pure il Villarreal. Ma gli parlammo e scelse i rossoneri in cinque minuti. Lo convinse il blasone del club e l’idea di crescere al fianco di uno come Nesta. Con il senno di poi direi che ha fatto bene, con buona pace dei cugini nerazzurri…»

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