MN - Salvio (SportWeek) tra infortuni, metodologie e allenamenti: "In Italia si lavora troppo sulla forza"

MN - Salvio (SportWeek) tra infortuni, metodologie e allenamenti: "In Italia si lavora troppo sulla forza"MilanNews.it
© foto di Alberto Fornasari
giovedì 9 dicembre 2021, 21:30Primo Piano
di Manuel Del Vecchio

Fabrizio Salvio, giornalista de "La Gazzetta dello Sport" e firma di SportWeek, è intervenuto durante #Replay, live di MilanNews.it in collaborazione con Alessandro Jacobone - Milanista Non Evoluto, per parlare delle differenze tra calcio italiano ed europeo, di infortuni, metodologia di lavoro in allenamento ed altro. Queste tutte le sue dichiarazioni, a partire dal match di martedì sera di Champions League: “Il Liverpool è venuto a San Siro con una squadra priva di tutti i titolari tranne tre: Alisson, che ha effettuato una sola parata su Kessie quando il punteggio era già sull’1-2, Mané, che praticamente non si è visto, e Salah, che ha segnato quasi per sbaglio e poi non ha più tirato in porta. Nonostante questo il Liverpool ha fatto al Milan pelo e contropelo. Banalizzando si potrebbe dire che le riserve del Liverpool sono più forti dei ricambi del Milan, ma secondo me il discorso non è questo. Si dovrebbe capire perché i ricambi del Liverpool sono più forti di quelli del Milan. A chi dice che è per i mezzi economici, i ricavi tv e tutto il resto rispondo che è sicuramente vero, ma neanche questo è sufficiente. Qual è il problema che investe il Milan e tutto il calcio italiano? È un tasto sul quale io batto spesso, ed è un nervo scoperto per i nostri club. È l’idea di calcio che sta alla base del calcio inglese, tedesco e spagnolo. Un'idea che parte dal presupposto di curare la tecnica, a cominciare dai giovani, più di ogni altra cosa: la tattica e il lavoro atletico a secco, cioè senza pallone".

Il lavoro sui fondamentali: "A marzo ho pubblicato su Gazzetta un’inchiesta sulla preparazione atletica del nostro calcio. Visto che la mia opinione è poco importante vi riporto invece quelle dei preparatori, e soprattutto quelle di Maurizio Viscidi, che è il responsabile delle categorie giovanili dell’Italia. Di quello che diceva mi è rimasto impresso che “In Serie A gli allenatori non insegnano a passare la palla, che sembra un’assurdità. Come fa un calciatore in Serie A a non saper passare la palla? Perché non basta” – mi spiegava Viscidi – “passare la palla. È il modo in cui si passa, la forza con cui si passa, la precisione con cui si passa”. Ieri nel Liverpool, nonostante anche loro giocassero sul campaccio di San Siro, perché tale è il terreno di gioco in questo momento, abbiamo visto una precisione tecnica anche nei più giovani, che per noi italiani è un problema generale. A Pioli va dato atto di aver dato al Milan un gioco europeo, moderno, veloce, aggressivo ed intenso. Evidentemente basta in Italia ma non basta in Europa. In Italia i dati dicono che il Milan è la prima squadra del nostro campionato per strappi, per punte di velocità. Non è la prima per km percorsi, però essendo la prima come strappi di gioco vuol dire che il Milan da questo punto di vista è una squadra europea, e infatti ora giustamente è primo in classifica. Come il Milan c’è l’Atalanta, che ha cominciato probabilmente anche prima da questo punto di vista: un gioco fatto di ritmo, di intensità, di aggressività. Quello che abbiamo visto ieri (martedì, ndr) nel Liverpool: nonostante abbia giocato in pantofole abbiamo visto che i Reds venivano a prendere i giocatori rossoneri in quattro o in cinque, e come ha ammesso Pioli a fine partita, i centrocampisti del Milan hanno passato la palla più indietro che in avanti. A me quello che colpisce è che Tyler Morton, un giocatore di 19 anni con una presenza in Premier League quest’anno, ha giocato da veterano. Quello che mi stupisce e preoccupa è Kessie che in Italia fa la differenza, senza entrare nel merito del discorso contratto, in Europa invece viene saltato da Chamberlain di netto sul primo gol. Può essere un caso, ma in generale, e come mi hanno spiegato preparatori atletici italiani che hanno lavorato fuori, all’estero si cura l’uno contro uno. In Serie A nessuno fa l’uno contro uno in allenamento, perché dicono che hanno paura che i calciatori si facciano male. In Italia insomma si fa troppa tattica. CI vantiamo di essere il campionato più tattico e difficile del mondo, ma cosa ci porta tutto questo? Da quanti anni non vinciamo la Champions? L’Europa League l’abbiamo mai vinta? Arriviamo in fondo in qualche competizione europea? L’Inter di Conte, che l’anno scorso ha stravinto lo scudetto, ha preso gli schiaffi dal Borussia Mönchengladbach perché corrono di più, perché giocano un calcio più intenso, più moderno, un calcio di uno contro uno. Mi hanno spiegato che all’estero, e per estero intendo i campionati europei più importanti, insegnano la tattica individuale. Si fa anche il due contro due, il tre contro tre nella fase offensiva, per lasciare ai giocatori la libertà di esprimersi, di inventare. Pioli ci bada a questa cosa, ha voluto Messias per questo. Vuole giocatori che sappiano puntare l’uomo. Quindi non è un discorso che riguarda il Milan, ma è un discorso generale”.

Sui tanti infortuni: “Anche qui quello che potrei dire io lascia il tempo che trova, è un’opinione come un’altra. Io lascio parlare i numeri. Mi sono rivolto al sito che all’unanimità è considerato il più completo a livello europeo nella statistica degli infortuni: noisefeed.com, al quale fanno riferimento le stesse società anche se spesso non gli piace ammetterlo. Gli stessi club si rivolgono a noisefeed affinché monitori la situazione infortunati della squadra. Nelle ultime due stagioni in Premier, in Bundes e in Liga ci sono stati mediamente cento infortuni muscolari in meno rispetto alla Serie A. Torniamo così al discorso dell’idea di calcio: quando ho intervistato Ciro Immobile, calciatore del Borussia Dortmund allora allenato da Jurgen Klopp, gli chiesi: “Ciro qual è la differenza più grossa che noti tra la Bundes e la Serie A?”. Non mi disse gli stadi, le strutture, i campi bellissimi, i soldi, che è comunque tutto vero, ma mi disse: “Qui la palestra non esiste. Con Klopp entriamo in campo e facciamo tutto con la palla, inclusi i famosi lavori di forza”. All’estero fanno quasi tutto sul campo con la palla tra i piedi, inclusi i lavori di forza".

La teoria della dottoressa Bertelé: "Laura Bertelé è una fisiatra, ha una clinica vicino Lecco, ed è la dottoressa che ha scritto “Basta Vedere”, che è un libro che parte dal caso Ronaldo il Fenomeno. La Bertelé, questo è il suo racconto, venne chiamata da Moratti quando Ronaldo si fece di nuovo male al ginocchio al tendine rotuleo qualche mese dopo il precedente infortunio. Moratti disperato chiama questa dottoressa, lei vede Ronaldo steso sul lettino e dice: “Le sue ginocchia come possono reggere una massa muscolare così sviluppata?”. E lei ci ha scritto un libro su questo. Non farò nomi per questioni di privacy, ma ho visto dei video in cui la dottoressa Bertelé ha letteralmente rimesso in piedi giocatori che praticamente non giocavano più per continui infortuni muscolari. Lei non ha fatto altro che stirare questi muscoli ormai compressi, gonfiati. Ma perché questo? Perché in Italia ci sono i famosi lavori a secco, i lavori per la forza, i lavori con gli attrezzi e così via. Certo che bisogna lavorare sulla forza, ma come e quanto? Questo è il grosso problema. Si può fare, come succede generalmente all'estero, solo o soprattutto con la palla e non utilizzando pesi? Fino a che punto è utile sviluppare la parte superiore del corpo? Ed è vero, come mi hanno detto alcuni preparatori nell'inchiesta sulla Gazzetta, che, per ottenere risultati, un circuito sulla forza andrebbe sviluppato nell'arco di settimane, insistendo solo su quella, e non per una o due mattine a settimana? Di questo mi piacerebbe parlare con qualche preparatore di club di A, ma finora le mie richieste non hanno ricevuto risposta. E allora voi mi direte, in Italia i preparatori non sanno fare il loro mestiere? Non è questo il problema, ma il problema è, come per tutti quanti noi, che diventa difficile mettersi in discussione quando si è convinti che la propria linea di condotta sia la migliore. Ad un certo punto nella storia del calcio italiano, in tempi più o meno recenti, si è sviluppata l’idea che per giocare a calcio bisogna essere grandi, grossi e forti. Ho parlato con i dirigenti di una squadra di calcio minore, e mi hanno detto che quando gli osservatori delle grandi squadre italiane vanno a visionare i calciatori la prima cosa che chiedono e vedono è la prestanza di un calciatore, quanto è alto e se è già sviluppato fisicamente. Io sono convinto che in Spagna non è così, altrimenti mi dovete spiegare come mai Xavi e Iniesta hanno fatto la carriera che hanno fatto. Nel calcio vanno allenate, parole di Laura Bertelé, l’agilità, la destrezza, la velocità. La forza muscolare fine a sé stessa, appesantisce e rallenta un calciatore. Basta vedere le foto di tanti, che in pochi anni di carriera sono diventati assai più grossi e muscolosi".