Joe Jordan ricorda: "Quando seppi del Milan decisi di andare. Serie B? Avremmo potuto fare meglio"
Intervistato dai colleghi de La Gazzetta dello Sport, l'ex Milan Joe Jordan ha ripercorso i suoi momento in Italia, e in rossonero, tornando anche su quella famosissima lite con Gennaro Gattuso al termine dell'ottavo di finale di Champions League tra il Diavolo e il Tottenham del 2011.
Joe, perché scelse l’Italia?
"Volevo giocare all’estero. Nel 1975 mi voleva il Bayern di Beckenbauer, ma il mio club di allora disse no. Nel 1981 ero al Manchester United ed ero felice: si erano interessati a me un paio di club inglesi, io volevo giocare all’estero e quando seppi del Milan decisi di andare".
Il suo impatto col calcio italiano?
"Arrivai con mia moglie e i miei tre figli e la società, allora il proprietario era il signor Colombo, si prese cura di me. La moglie del signor Colombo portava spesso mia moglie al supermercato. Adattarsi alla vita in Italia avrebbe potuto essere un problema, invece non lo fu mai. Il problema era vincere le partite: il Milan era un grande club, ma quello era un momento difficile. Prima che arrivassi io erano stati in Serie B (retrocessi per il Calcioscommesse, ndr) ed erano appena tornati in A".
Nella sua prima stagione italiana il Milan retrocesse in Serie B sul campo.
"Penso che tutti, me compreso, dobbiamo accettare la responsabilità di non aver fatto meglio, perché avremmo decisamente potuto fare meglio. Non ci fu un singolo fattore a determinare la nostra retrocessione, ma un insieme di tante cose".
In quel Milan c’erano Franco Baresi e Mauro Tassotti.
"Erano giovani, ma avevano già tanta esperienza: Franco, ad esempio, aveva già vinto uno scudetto. Erano tutti bravi ragazzi, mi hanno aiutato: ricordo che andavo spesso agli allenamenti in macchina con Buriani, Tassotti, Antonelli. C’erano tanti bravi ragazzi diventati poi ottimi giocatori, non solo Baresi e Tassotti".
Nel 1982-83 giocò col Milan in Serie B.
"La squadra cambiò profondamente, entrarono tanti giovani che approfittarono della chance: non fecero bene solo quella stagione ma proseguirono la loro carriera ad alto livello, diventando ottimi giocatori".
Perché l'anno dopo andò a Verona?
"Non ne sapevo molto, ma mi avevano impressionato giocandoci contro in Coppa Italia e tutti quelli a cui chiesi mi dissero che era un ottimo club. Parlai con Ciccio Mascetti (il d.s. di quell’Hellas, ndr), mi fecero una buona impressione sia lui sia i piani futuri della società. Trovai un’ottima squadra, con un ottimo allenatore, e una bellissima città in cui vivere. Andai via a fine stagione per tornare a casa, ma sapevo che stavo lasciando un’ottima squadra, che l’anno dopo vinse uno scudetto assolutamente meritato".
Tra i compagni e gli avversari, chi l'ha impressionata di più in Italia?
"La Juve, che aveva sia stranieri che italiani di altissimo livello. Ma i giocatori italiani di quegli anni...l'Italia vinse il Mondiale nel 1982. E io ricordo che andai a quella finale".
Come?
"Ero a Marbella con degli amici, Franco Baresi mi procurò i biglietti e andammo a Madrid, nel ritiro dell’Italia. Incontrai Franco, Marco Tardelli e tanti altri. Era difficile scegliere il migliore di quell’Italia, erano tutti fortissimi. Tifai Italia ovviamente, dopo la finale andai a festeggiare ma eravamo nello stesso albergo della Germania: incrociai 5 giocatori in ascensore e non erano felici. Quella finale la vinse la squadra migliore".
Perché la chiamavano Lo Squalo?
"Non lo so, forse perché non avevo due denti davanti, persi per un calcio in bocca nella mia prima partita in Inghilterra, dove ero arrivato a 18 anni dalla Scozia. Ho aspettato fine carriera per una soluzione permanente, quando arrivai al Milan ne avevo perso anche un altro".
Perché in Italia si ricordano ancora di lei?
"Dovreste chiederlo ai tifosi. Arrivai al Milan in un momento per loro molto difficile e la mia prima stagione non fu buona. Finimmo in Serie B, ma io volevo restare e fortunatamente anche il Milan voleva che restassi e le cose migliorarono. Ho provato a dare il meglio, come a Verona".
Sarebbe venuto prima in Italia, ripensandoci ora?
"Gli stranieri fino al 1980 in Italia non potevano giocare. Se non fossi venuto, sarebbe stata una perdita enorme per me: sotto tanti aspetti, è stata la mossa migliore che potessi fare. In Inghilterra ho giocato per ottimi club come Leeds e Manchester United, ma l’esperienza di giocare in un paese diverso, di vivere in modo diverso, è qualcosa che sono felice di aver potuto fare e che sarebbe stato un rimpianto enorme non fare".
Un’altra cosa di cui i tifosi si ricordano è l’incidente tra lei e Gennaro Gattuso nel 2011.
"Penso che lui abbia perso un po’ la testa: era stato espulso, doveva uscire dal campo, mi passò davanti e ci fu un faccia a faccia. Per nessuna ragione avrei permesso si andasse oltre: come giocatore, quando sei in preda alle emozioni, puoi fare cose di cui poi ti penti, ma da allenatore devi avere sempre disciplina. Sono sicuro che adesso che è allenatore anche lui la pensa allo stesso modo. Per me comunque era già tutto finito dopo la partita".

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